Tezon dei squadradori

CAXA DE L’ARSENAL

Nel corso del 1557 venne annesso all’Arsenale circa la metà del vasto orto delle monache della Celestia, area che venne subito isolata lungo il lato ovest con la costruzione delle nuove mura di confine.

Successivamente, la nuova area venne prontamente sbancata per ricavarne il canal de le galeazze, opera idraulica che venne completata nel 1564 e che mise in comunicazione diretta la vasca de le galeazze con la darsena dell'Arsenal vecio.

Per ricoverare il legname a stagionare una volta esaurita la fase di purificazione a mollo nell’acqua salmastra del canal de le galeazze, nel periodo immediatamente successivo lungo la sua riva est fu costruito in legno un lungo tezon che venne chiamato gran fabricato a le sieghe, dove stavano ordinatamente accatastati per la loro altezza i tronchi messi a stagionare, assieme alle tavole già segate a misura e pronte per l'utilizzo.

Divenuto ormai vetusto, il gran fabbricato de le sieghe fu completamente demolito ed al suo posto (sulla base di un progetto forse preparato prima del 1738 da Giuseppe Scalfarotto, Proto dell'Arsenale dal 1711 e il 1754) nel 1750 iniziarono i lavori per la realizzazione di un nuovo  edificio in muratura, destinato allo stesso scopo, che fu detto degli squadradori, lavori che alfine terminarono nel 1778.

Prima della parziale demolizione e rimaneggiamenti subiti nel corso dell'Ottocento, il tezon dei squadradori costituiva sicuramente la più imponente costruzione di tutto l'Arsenale: lungo metri 147, largo metri 28, alto metri 16,80 alla gronda e metri 22 al colmo. Esso consisteva in un unico, grandioso vano limitato sul fronte ovest da tredici arcate, ritmate da pilastri riquadrati da un sottosquadro che pare continuare anche sul timpano, fra arco e arco, con la stessa larghezza che ha del pilastro. La teoria delle arcate, in origine affacciate direttamente sull'acqua, era conclusa alle estremità da due testate recanti una porta arcuata sottostante una finestra a occhio circolare e concluso da una semplice trabeazione. Di tutto l'Arsenale il tezon dei squadradori costituisce l'unico sistema bifronte, affacciato cioè su bacini contrapposti, ed anche l'unico che integri con una fabbrica trasversale una serie di scali disposti ortogonalmente al bacino.

Al suo interno vi lavoravano gli squadradori, ovvero gli arsenalotti specializzati nello squadro delle tavole che venivano segate dai tronchi di rovere, acacia, abete, larice, faggio e noce, tutte essenze arboree che servivano alla costruzione delle navi. Per lavorare adoperavano una grande sega fissata al centro di un telaio. La tecnica consisteva nell'operare sul tronco posto su due alti cavalletti e gli uomini, sempre in coppia uno sopra e l'altro sotto il pezzo da lavorare, applicavano all'arnese un movimento alterato, mantenendo con una notevole abilità lo spessore regolare.


Unito il Veneto al Regno d’Italia nel 1886, in ottemperanza al progetto per il riordino e potenziamento dell’Arsenale predisposto da Felice Martini per conto della Regia Marina, nel corso del 1880 il tezon degli squadradori subì profondi rimaneggiamenti che ne alterarono irrimediabilmente l'aspetto e l'assetto originario.

Venne ridotta la lunghezza complessiva dai 150 metri originari a 86,50 mediante l'abbattimento della fronte nord e di cinque arcate successive (con l'ultima arcata e la fronte nord ricostruite ex-novo). Pare inoltre lecito ritenere che il nuovo aspetto esterno impresso al lato ad ovest sia stato suggerito dal motivo ornamentale presente sulla testata: una fascia continua di bianca pietra d'Istria che sottolinea l'imposta degli archi, a loro volta trasformati in finestre a lunetta di tipo basilicale, e l'apertura su ogni campata di una porta arcuata alta metri 6,40 e larga metri 2,90.

Seguì l’alterazione dello spazio interno, che ne comportò il dimezzamento all'altezza dell'imposta degli archi, ad opera di un poderoso solaio formato da grandi tavole di larice e sostenuto all'interno da una doppia fila di pilastri cruciformi. Venne così ricavata al primo piano una grande sala da disegno di metri 26 per metri 85 con le finestre a lunetta poste a filo di pavimento.

Questo enorme vano è servito solo da una scaletta esterna in ferro, addossata in lunghezza alla facciata; dall'aspetto precario, essa è divisa in tre rampe e raggiunge la finestra centrale. A proposito di scale, va osservato che anche l’antica scala di servizio (o almeno ciò che oggi resta di essa), non era meno scomoda, situata com'è fra il secondo e il terzo tezon alto a la scafeta facenti parte della novissimetta, in mezzeria dell'edificio, ma perpendicolarmente ad esso.

Al pian terreno erano visibili fino a poco tempo fa i resti, ormai fatiscenti, di una parchettatura di blocchetti di larice, tessuta a spina di pesce, che formava una superficie perfettamente orizzontale da servire come piano di lavoro agli squadradori nel taglio delle sagome ma anche ai tracciatori per disegnarle, e proprio in parte quale sala a tracciare venne riutilizzato l'edificio quando, ancora viva la Repubblica, venne dichiarata conclusa la sperimentazione del nuovo sistema di essicazione del legname all'asciutto, che non aveva sortito i risultati sperati.

Infine, lungo tutto il fronte che guardava il canal de le galeazze venne creata una fondamenta-banchina che privò definitivamente l'edificio della fondamentale caratteristica di avere la facciata utile a filo d’acqua.

Il tetto, retto da capriate del tipo palladiano, sono distanziate fra loro di circa due metri, oggi purtroppo celate alla vista dall'Ottocentesco controsoffitto.

Oggi l'edificio, in fase di restauro e riutilizzo, unitamente ai contigui tezoni superstiti che formavano la novissimetta, in aderenza lungo il suo lato est, costituiscono insieme un grande complesso ancora fortemente suggestivo per dimensioni ed architettura.

SQUADRADORI

 

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