|
|
||
|
Un gruppo di quaranta operaie donne, chiamate velere, fabbricavano le vele delle galee e delle navi lavorando su tessuti assai pesanti con tramatura spessa e fitta, provvedendo al taglio, alle cuciture dei teli (detti ferzi), ai rinforzi dei punti di scotta, ai terzaroli e alla tessitura del robusto gratile, tutte operazioni che richiedevano non solo bravura ma anche una certa forza nelle mani. Le vele, una
volta che erano state tagliate e puntate, venivano poi inviate presso l'ospeal dei
mendicanti oppure l'ospeal de incurabili dove le fanciulle che vi
si trovavano ospitate completavano la cucitura. Riportate successivamente in Arsenale, le vele venivano bagnate in acqua marina, stese ad asciugare e quindi ricoverate nel deposito al terzo piano delle velerie. Il sale marino impediva la formazione delle muffe e manteneva costante il grado di umidità del tessuto, garantendo così una perfetta e duratura conservazione. Per evitare ogni forma di scandalo le velere lavoravano completamente isolate dal resto delle maestranze ed erano generalmente affidate alla sorveglianza di un Ministro in età matura, molto probabilmente forse lo stesso Admiraglio, cioè il capo degli Arsenalotti. Le velere lavoravano
all'interno delle velerie, edificio che però venne
in seguito trasformato in magazzini generali e successivamente quasi
completamente demolito ed abbastanza goffamente trasformata in loggia
dell'Ammiragliato. Nel corso del '500, i lavoratori impiegati quotidianamente nello stabilimento, cioè nel periodo di maggior espansione della produzione, erano circa duemila, con punte anche di tremila uomini nei momenti critici, marangoni da nave e calafai costituivano circa l'80% del personale. |
||
|
|||
|
|||