Repubblica Serenissima

Magistratura senatoria

Aperta

savij a l'eresia

(savi affiancati al santo uffizio dell'inquisizione)

 

istituzione

competenze

dignità politica

bibliografia essenziale

 

Istituzione.

Con Parte del 1249 il Mazor Consejo aveva demandato direttamente ai Vescovi dello Stato l'esame in prima istanza sull'attendibilità delle accuse di eresia che venivano rivolte ai sudditi, riservandone però il giudizio finale esclusivamente alla Signoria.

Quando però, a partire dall'anno 1289, il Sant'Uffizio dell'Inquisizione venne ammesso ad operare anche nel territorio della Repubblica, e ciò solo in seguito alle fortissime pressioni esercitate dal Papa Nicolò IV, seguendo i consolidati canoni di rigida separazione tra il potere spirituale della Chiesa e quello temporale dello Stato, Venezia seppe anche in questo campo conservare un forte connotato di autonomia e laicità, evitando che, come negli altri Paesi, il tribunale dell'Inquisizione si elevasse a forma larvata di governo ecclesiastico, superiore al Governo civile.

Avvenne infatti che, accogliendo il Sant'Uffizio, il Mazor Consejo decretò pure che il Dose avrebbe avuto il diritto di partecipare alla sua attività, aiutandolo così nell'esercizio delle sue funzioni. Contemporaneamente non si tralasciò di istituire anche uno speciale deposito dove sarebbero confluiti i proventi dei beni confiscati agli eretici e da dove sarebbero state tratte le somme necessarie a sostenere almeno una parte delle spese per le inquisizioni, che restavano a carico dello Stato.

Non stimando però tutto questo ancora sufficiente, la Repubblica impose inoltre che l'Inquisitore, tratto prima fra i francescani e poi usualmente dall'ordine dei domenicani e nominato direttamente dal Papa, per esercitare legalmente il suo ufficio avrebbe dovuto prima prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica nelle mani del Dose, con la promessa formale che nulla avrebbe nascosto al Governo riguardo il suo ufficio. Ne conseguiva che qualora l'autorizzazione ufficiale tardasse ad arrivare, al Papa non restava altro che scegliere un altro inquisitore in sostituzione.

Questo efficacissimo status quo si protrasse ininterrottamente fino al 22 aprile 1547 quando, dogando Francesco Donà, con un apposito decreto il procedimento fino ad allora osservato venne ulteriormente modificato tale per cui, accanto ai tre Inquisitori ecclesiastici (il Nunzio Apostolico, il Patriarca di Venezia e l'Inquisitore domenicano), venne da allora associato un ufficio composto da tre nobilomeni, eletti inizialmente dal Consejo dei Diese ma in seguito stabilmente dal Senato, ai quali venne assegnato il titolo di Savij a l'Eresia e l'incarico di assistere alle sedute del Sant'Ufficio con ampia facoltà di poter esprimere il proprio parere sui casi trattati.

 


Competenze.

L'innovazione introdotta nel 1547 consentì un ulteriore giro di vite alla già abbastanza ristretta facoltà d'intervento del Sant'Uffizio, poichè seppure i giudici ecclesiastici rimasero gli unici ad avere diritto di voto, tuttavia la presenza contemporanea dei tre senatori era per legge indispensabile per la validità delle sedute.

Accadeva perciò che quando qualche dibattimento non sembrasse collimare con quella grande tolleranza che informava i rapporti tra lo Stato e le varie confessioni religiose presenti all'interno dei suoi confini (Greci ortodossi, Armeni, Protestanti, Ebrei, Grigioni, Musulmani, ecc.) bastava semplicemente che un senatore abbandonasse l'aula perchè la seduta dovesse venir immediatamente sospesa.

Data la delicatezza dell'incarico, è evidente che i tre Savi venivano scelti con particolare cura tra i senatori più autorevoli, anche perchè se da una parte il loro ruolo doveva essere quello di moderare le pretese del Sant'Uffizio, dall'altra essi dovevano anche all'occorrenza sapersi imporre affinchè, nei casi di riconosciuta eresia, le relative esecuzioni capitali non suscitassero pubblici clamori, così che ai troppo eclatanti roghi venissero preferiti sempre i più discreti annegamenti in mare.

In genere però le pene agli eretici furono abbastanza miti, normalmente ai pentiti s'imponeva di abiurare agli errori, e dopo l'abiura, fatta secondo una formula a stampa, si restituivano alla comunione dei cattolici, dopo aver loro intimata la bolla di Papa Paolo V e l'obbligo al silenzio. Per gli eretici che non confessavano, era usata anche la tortura (per non più di un quarto d'ora), ma non vi si assoggettavano coloro che giuridicamente fossero stati dichiarati incapace a sostenerla; per loro la pena era normalmente il carcere, di cui talvolta si faceva grazia dopo scontata una parte della pena. Al reo era sempre concesso di poter scegliere per la sua difesa un avvocato e di comunicare con esso.

Per il bassissimo numero di sentenze di morte pronunciate dal Sant'Uffizio (in tutto quattordici, di cui quattro in contumacia) rispetto alla mole complessiva dei casi che vennero trattati (ben 1.560!), si può intuire quanto la presenza dei Savi abbia influenzato l'attività del tribunale, attento alle denuncie che vagliava quanto scrupolosissimo nel valutare le prove indiziarie.

La straordinaria moderazione del tribunale fu il prodotto di due visioni diametralmente opposte ma che si ispiravano ambedue ad idee di buon ordine sociale: quella veneziana costituita dalla perfetta tolleranza, quella ecclesiastica della salvaguardia della fede cristiana: fu per questo motivo che esso non potè indulgere in persecuzioni immotivate, cercando di evitare anzi di trovarsi coinvolto in vendette familiari che di religioso assai poco avevano.

Da ultimo va ricordato che il Sant'Uffizio non arrivò mai ad ingerirsi di cause nelle quali l'indiziato fosse un suddito di religione ebraica. Ciò sia perchè ad altre magistrature già era affidata questa facoltà, sia perchè anche da parte ecclesiastica si preferì accuratamente evitare l'insorgere di conflitti istituzionali con la Repubblica: la persecuzione degli Ebrei avrebbe creato più di qualche imbarazzo allo Stato (che delle risorse della popolazione ebraica spesso trasse i mezzi per finanziare il proprio debito pubblico), la cui reazione non sarebbe di certo mancata.

 


Dignità politica.

All'interno della struttura burocratica dello Stato, questo ufficio aveva dignità di Magistratura Senatoria (eleggibile cioè entro il numero dei soli senatori) ed il titolo di aperta.

 


 

Bibliografia essenziale.

FERRO "Dizionario di diritto..." tomo 6, pag.

SANDI "Principi di storia..." P.3^, vol.2, pag.37 segg.

BESTA "Il Senato Veneziano" pag.163

ROMANIN "Storia documentata..." tomo II, pag.18 - tomo VIII, pag.230

 

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