organi costituzionali

Repubblica Serenissima

Avogadori de Comun

COMPETENZE ISTITUZIONALI

 

i custodi della legge.

l'istituto dell'intromissione.

l'attività verso il Mazor Consejo.

l'attività verso il Consejo dei Diese.

competenza sui giudizi penali di primo grado.

l'istituto dell'intromissione.

i processi d'appello.

la crisi del XVI secolo.

il rispetto della legge.

 

I custodi della legge.

Anche se non in via esclusiva, gli Avogadori furono sempre considerati i massimi custodi del rispetto degli obblighi e dei limiti che incombevano tanto sui membri delle magistrature che sui maggiori consigli politici dello Stato. Gli Avogadori costituivano infatti il presidio a difesa della regolarità delle procedure normative in uso presso la pubblica amministrazione, avendo riconosciuti pieni poteri d’inquisizione nei confronti di chiunque sospettassero di violazione delle leggi nell'esercizio delle rispettive funzioni.

La presenza di almeno uno degli Avogadori era obbligatoria e necessaria ai fini della validità stessa dei lavori del Mazor Consejo, del Senato, del Pien Collegio e del Consejo dei Diese.

Per quanto riguardava gli altri uffici della pubblica amministrazione, gli Avogadori controllavano continuamente gli atti che venivano emessi da coloro che erano chiamati a sostenere l'incarico, affinché nessuno oltrepassasse mai i limiti imposti dal rispettivo capitolare. Essi si interessavano assiduamente anche affinché gli organismi più immediatamente deputati a questo controllo, effettivamente svolgessero il loro compito.

Per evitare che, per amore del quieto vivere, taluni Avogadori riducessero di proposito l’applicazione dei loro importanti poteri, una Parte approvata nel 1306 affidò alla competenza dell’ufficio dei Capi de la Quarantia al Criminal la facoltà di poter denunciare gli Avogadori che si fossero resi colpevoli di negligenza, potendo per questo convocarli a giustificare il loro operato avanti alla Quarantia stessa, oppure, nei casi più gravi, direttamente in Senato oppure in Mazor Consejo.

 

L'istituto dell'intromissione.

Gli Avogadori avevano riconosciuta dalla legge la facoltà, amplissima ma non senza eccezioni, di poter intervenire in ogni momento, direttamente nel merito di provvedimenti assunti, di qualunque natura essi fossero, esercitando la facoltà detta dell’intromissione (ossia la sospensione degli effetti dell’atto).

Il loro intervento poteva riguardare tanto il contenuto di una Parte che si stava approvando od era stata approvata, e che a loro parere conteneva aspetti pregiudizievoli od in contrasto con le leggi e l'interesse pubblico da tutelare; oppure le sentenze criminali di primo grado emesse dai Rettori, dove avessero ravvisato che l'applicazione della legge non era stata rispettata conforme le procedure.

Per quanto riguardava la Parte, il provvedimento di sospensione rimaneva in vigore fino al momento in cui il Senato od il Mazor Consejo non si fossero riuniti per discuterlo nuovamente, previa l'audizione concessa agli Avogadori perchè potessero esprimere pubblicamente il loro parere e producessero quelle prove di illegittimità che avevano provocato il loro intervento. Se, nonostante le loro obiezioni, la Parte veniva nuovamente confermata nella sua validità, la sua applicazione non poteva più subire alcun ritardo ed i suoi effetti venivano confermati pienamente operativi e legali.

Invece l’intromissione sulla sentenza veniva formalizzata mediante  l'invio di un atto o alla Quarantia al Civil vecio oppure alla Quarantia al Civil novo per le cause civili (ma ciò fino a quando la competenza sulla disamina delle richieste di appello non passarono agli Auditori a le Sentenze) oppure alla Quarantia al Criminal per le cause criminali. In base alle risultanze, il documento poteva contenere la richiesta degli Avogadori che la sentenza fosse tagliata (quindi resa nulla) per l'ordine oppure per il merito. L'ordine aveva attinenza con la formazione del processo e con l'osservanza delle procedure; il merito consisteva nella definizione della sentenza e della pena irrogata all'imputato. Oltre a queste due giustificazioni esisteva anche una terza possibilità, definita ne iura partium, con la quale l'Avogador, dietro richiesta formulata dall'avvocato di parte, si riservava di specificare successivamente le motivazioni che avevano dato luogo alla richiesta di sospensione degli effetti della sentenza di primo grado.

Una copia dell’atto veniva inviata, per opportuna conoscenza, anche al Rettore ed appena ricevuta aveva l'effetto di sospendere immediatamente l'esecuzione dell’eventuale sentenza.

Agli Avogadori non era però riconosciuta la facoltà  di intromettere ogni e qualsiasi sentenza. Erano escluse ad esempio quelle emesse adottando il rito inquisitorio delegato dal Consejo dei Diese oppure quelle pronunciate dai Rettori assistiti da Corte pretoria (coadiuvati cioè almeno da due Assessori). Nonostante questo limite, le sentenze considerate troppo miti o sospettabilmente assolutorie, pur se comminate da Rettori con Corte, erano assoggettabili ad intromissione da parte degli Avogadori, grazie anche al fatto che le stesse leggi regolatrici non furono mai chiare in materia, neppure per quanto concerneva gli effetti inoppugnabili della delega del rito inquisitorio del Consejo dei Diese.

A questo proposito, quando venne istituito il Consejo dei Diese fu parimenti stabilito che le sue sentenze fossero da considerarsi assolutamente inappellabili. D'altro canto non fu però mai specificato se gli Avogadori, in quanto supremi controllori della costituzionalità di qualsiasi atto di qualunque organo della Repubblica, avessero o meno la facoltà di esercitare l’intromissione in caso di conclamata irregolarità anche degli atti di questo grave tribunale.

Da questo punto di vista, registriamo che la prassi giudiziaria veneziana talvolta non discusse l'intervento di questi magistrati nell'attività del Consejo dei Diese, come nel 1628 quando l'Avogador Contarini intervenì d'ufficio tagliando, senza che fosse sollevato tema di illegalità, la sentenza di bando pronunciata dal Consejo dei Diese contro il nobilomo Renier Zeno. In altre occasioni gli Avogadori intervennero anche nonostante l’uso del rito inquisitorio del Consejo dei Diese, specie quando questi veniva delegato per processi celebrati dai Rettori in Terra Ferma. In questo caso anzi l’intromissione si dimostrava deleteria poiché faceva perdere a questa particolare procedura giudiziaria la segretezza e rapidità, elementi che ne costituivano il connotato più evidente.

Va ricordato infine che gli Avogadori potevano intervenire intromettendo anche semplici atti penali, come erano ad esempio i proclami, oppure gli ordini di carcerazione ed anche i mandati ad informandum.

 

 

L'attività verso la Serenissima Signoria.

Nei riguardi del Dose, gli Avogadori, in unione con i Consiglieri Ducali, vigilavano costantemente che egli non travalicasse i limiti imposti dalla Promissione ducale, documento sul quale aveva giurato al momento dell'assunzione della carica. In questo senso il Mazor Consejo continuamente si raccomandava che ogni minima infrazione venisse immediatamente rilevata e fatta notare al Dose, con il dovuto riguardo ma senza indugio alcuno.

Ad ulteriore garanzia che tale controllo fosse sempre esercitato, nel 1368 venne stabilito che il Dose non potesse mai prendere la parola durante le riduzioni del Mazor Consejo al solo fine di criticare pubblicamente l’eventuale operato intrapreso dagli Avogadori nei confronti della sua persona.

D’altro canto, onde rafforzare maggiormente la competenza di questo ufficio, con legge del 1413 si volle disposto che per poter placitare pubblicamente il Dose in riguardo a qualsiasi violazione commessa contro la legge, era sufficiente che si raggiungesse l’opinione concorde di due magistrati su tre.

Agli Avogadori competeva anche visionare tutti gli atti prodotti dalla Signoria. Con Parte del 1304 fu ad essi concessa la facoltà di poter placitare i Consiglieri ducali avanti il tribunale della Quarantia al Criminal,  se in base alle risultanze dell’istruttoria, essi si fossero resi colpevoli di trascurare gli obblighi del loro mandato. Nel caso in cui gli Avogadori avessero avuto bisogno di raccogliere ulteriori elementi, anche sottoponendo ad interrogatorio il Consigliere sospettato, questi aveva l'obbligo di acconsentire e di rispondere secondo verità.

 

L'attività verso il Mazor Consejo.

Per i processi istruiti dagli Avogadori contro nobilomeni in Mazor Consejo, in questo caso essi assumevano le funzioni tipiche del pubblico ministero, esponendo direttamente in assemblea i capi dell’accusa relativi all'incriminazione.

Per impedire che torbide minoranze, magari lese nei propri interessi dagli atti di un probo magistrato, potessero facilmente mettere a repentaglio l'onore, i beni, il nome e la libertà personale di un membro dell'assemblea sovrana, speciali erano le cautele adottate. La legge imponeva che il giorno prima in cui gli Avogadori intendevano promuovere il procedimento, dovevano informare la Signoria, affinché ne promuovesse la pubblica notifica, intimando anche a tutti i nobilomeni di partecipare alla seduta, ricercando così nel massimo numero possibile di partecipanti la maggiore imparzialità del giudizio.

All'inizio del dibattimento, l'accusato poteva ascoltare le imputazioni che gli venivano contestate; successivamente però egli doveva allontanarsi dalla sala, seguito anche da tutti i suoi famigliari (i quali venivano a trovarsi nella posizione di cacciati di cappello). A seguire il Mazor Consejo iniziava il dibattimento che, concludendosi sempre con una formale sentenza, fosse essa a favore o contro, veniva ufficialmente pubblicata dopo essere stata redatta nella forma tecnica della Parte.

All’interno del Mazor Consejo, gli Avogadori, uniti ai Censori, ai Capi dei Diese ed agli Auditori a le Sentenze, formavano anche il corpo di polizia interna durante le riunioni dell’assemblea, non esitando ad ammonire duramente coloro che si fossero resi colpevoli di infrazioni. Inoltre, nella reciproca intenzione di voler gareggiare pubblicamente nella massima dimostrazione di zelo nell'applicazione delle proprie competenze, non erano rari quei casi nei quali le magistrature che erano addette a tale compito fossero anche loro severamente richiamate dagli Avogadori ad una maggiore fiscalità. Molto spesso questi rimbrotti costituivano anche causa di attrito con i Capi dei Diese, a loro volta i naturali controllori dell'operato degli Avogadori.

Autorevoli membri del Colleggietto, gli Avogadori erano anche i regolatori, i compilatori ed i gelosi custodi degli speciali libri pubblici che registravano la nascita e sancivano lo stato civile di ogni membro della nobiltà veneziana.

 

L'attività verso il Consejo dei Diese.

Chiamato a partecipare obbligatoriamente ai lavori di questo grave Consejo, l'Avogador non solo controllava che il rito inquisitorio fosse strettamente osservato, ma assumeva la presidenza del collegio inquisitorio interno quanto il reato sospettato fosse relativo alla falsificazione monetaria.

Spettava all'Avogador notificare all'accusato il reato per il quale era inquisito e ancora l'Avogador concludeva ufficialmente i lavori del Consejo invitando, con l'apposita formula di rito, i suoi membri ad esprimere la sentenza e, in caso di condanna, anche la pena da comminare al reo.

Spettava infine sempre all'Avogador recarsi nelle prigioni per notificare ufficialmente all'accusato la sentenza finale e, se del caso, la pena inflitta.

 

Competenza sui giudizi penali di primo grado.

Al loro ufficio apparteneva la disamina di tutte le richieste di appello che venivano inoltrate a Venezia (unico foro competente) contro sentenze penali di primo grado, che nella stragrande maggioranza dei casi erano comminate dai Rettori nelle città suddite della Terra Ferma.

In questo caso gli Avogadori assumevano il ruolo di vigili difensori della corretta applicazione della procedura giudiziaria, non esitando ad intromettere le sentenze nel caso in cui fosse stata accertata una difformità nell'applicazione della legge.

Nella fattispecie gli Avogadori ricoprivano in questo caso il ruolo di giudice medio, competenza riscontrabile anche nell’ufficio degli Auditori a le Sentenze Veci e degli Auditori a le Sentenze Novi, fungendo cioè da collegamento tra i tribunali del Dominio e le magistrature veneziane nelle quali era previsto, per competenza, il ricorso in appello.

 

I processi d'appello.

Nei processi d'appello istruiti dalla Quarantia al Criminal per fatti di criminalità comune accaduti in Venezia, gli Avogadori esercitavano la funzione propria del pubblico ministero, intervenendo nei dibattimenti per tutelare l'interesse dello Stato.

Va ricordato che tutte le sentenze penali comminate da tribunali della Terra Ferma venivano placitate direttamente in Quarantia al Civil vecio, con esclusione però di tutte le sentenze derivanti dal rito delegato appositamente dal Senato le quali, insieme a quelle pronunciate da qualsiasi magistratura in Venezia, erano invece dibattute nella Quarantia al Criminal.

Prima del placito i giudici d'appello dovevano attendere la lettera di risposta dei magistrati di prima istanza, nella quale erano spiegati i motivi che li avevano indotti a pronunciare la sentenza intromessa dall'Avogador.

L'appello veniva in seguito dibattuto in una delle due Quarantie: Poichè all'Avogador competeva difendere la Parte che si era appellata, il ruolo di pubblico accusatore (a sostegno del giudizio di prima istanza) veniva sostenuto dai Contraddittori. Alla fine la sentenza poteva essere laudata (confermata) oppure tagliata (cassata), ma mentre lo spazzo (corruzione dialettale veneziana di dispaccio che definiva il giudizio raggiunto) era inappellabile nel caso di conferma, per la sentenza di taglio era ancora possibile, per la parte soccombente, ricorrere nuovamente al giudice di prima istanza.

 

La crisi del XVI secolo.

Nel momento in cui il Dominio, cussì da tera come da mar, venne estendendosi, la definizione delle cause e dei processi iniziarono a giungere alla conclusione non con la speditezza che il sistema avrebbe voluto, le cause si trascinavano infatti verso la loro conclusione con esasperante lentezza. A peggiorare questo stato di cose contribuivano, colpevoli solo di osservare il pieno rispetto della legge, gli stessi Avogadori che, senza difficoltà concedevano le dilazioni previste, per mezzo delle quali gli imputati si difendevano dal processo e ritardavano artificialmente la pronuncia del verdetto.

Inevitabilmente, già nel corso del secolo XVI si avvertì crescere un forte malessere nei confronti della continua ingerenza esercitata da questa magistratura, tanto che le cronache contemporanee continuamente riportano i forti attriti ed i malumori che con crescente allarme salivano verso la capitale, provenienti specialmente dai Rettori, istituzione periferica dello Stato a quotidiano contatto con la realtà criminale.

Nei primi decenni del secolo XVII l’esercizio dell’intromissione, ed il relativo effetto ritardante sull’applicazione delle sentenze, divenne addirittura così intenso che iniziò a suscitare anche notevoli problemi di ordine sociale e quindi politico. In questo periodo infatti gli Avogadori non solo concedevano largamente i termini di rinvio previsti dalle leggi, ma numerosi altri ancora, per modo che la definizione delle cause non durava più due o tre mesi come si sarebbe voluto, ma due od anche tre anni. Si veniva annullando uno dei principi cardine sul quale si riconosceva lo Stato veneziano: la rapidità della giustizia nel colpire il reo, quale metodo deterrente per possibili altri malintenzionati.

I continui interventi degli Avogadori (finalizzati, lo ricordiamo nuovamente, all'assoluto rispetto delle leggi vigenti) non solo offrivano agli imputati la possibilità di sottrarsi ad un rapido giudizio, ma finivano per aggravare la situazione già abbastanza caotica dell'amministrazione della giustizia, ciò specialmente in periferia, dove i Rettori si scoprivano incapaci di affrontare con le loro sole forze una criminalità resa più arrogante dalla sostanziale impunità.

Cercando di difendersi dai ricorsi che gli avvocati degli imputati inoltravano all'Avogaria, i Rettori scrivevano di continuo al Consejo dei Diese, lamentandosi della troppa lentezza che affliggeva la definizione delle cause e supplicando che i numerosi casi sottoposti ad intromissione venissero finalmente assunti oppure definitivamente delegati.

Alfine, per contrastare quella che parve una pericolosa tendenza ad intromettere quasi in automatico, che avviliva continuamente l’operato dei magistrati di primo grado, intervenne nel 1624 il Mazor Consejo a regolare definitivamente tutta la materia, emanando un’apposita Parte che fissava con maggior precisione le possibilità di intromissione degli Avogadori. Venne stabilito che essi non potessero concedere di propria iniziativa più di una sospensione della durata di un mese per un determinato atto; se però, entro questo termine, l'intromissione non fosse stata espedita, una delle due Quarantie, su richiesta degli Avogadori, poteva rilasciare altre tre proroghe, ciascuna della durata di un mese.

Sembrava così di aver trovato un giusto equilibrio, ma purtroppo nuovi espedienti e cavilli furono scovati per aggirare le limitazioni appena approvate: per acquistare tempo gli imputati, dopo il giudizio di primo grado, si appellavano prima sulla citazione ad informandum e poi, esperiti i termini, direttamente sul proclama.

In alcuni casi esisteva, per legge, anche la possibilità di ricorrere in appello prima addirittura della sentenza stessa, come ad esempio appellarsi preventivamente sulla sentenza futura qualora questa avesse creato all'imputato un danno irreparabile al quale non sarebbe stato possibile rimediare se non con un appello successivo.

Per colmo di beffa alla giustizia, non va dimenticato che, nel frattempo, se un nuovo Rettore era stato inviato a governare la città, la trafila burocratica poteva essere iniziata nuovamente.

 

Il rispetto della legge.

Impegnati a far rispettare le procedure, gli Avogadori continuarono con assoluta intransigenza sia ad intromettere le sentenze che a concedere dilazioni di tempo, del tutto indifferenti alle ragioni sostanziali che, nella definizione di una causa, suggerivano ai giudici di prima istanza di comportarsi in una determinata maniera. Finiva così che troppo spesso il salutare pragmatismo con cui i Rettori, nella loro veste di giudice, informavano l’amministrazione della giustizia nelle città suddite di Terra Ferma, dove essi pur rappresentavano il Governo, si scontrava, purtroppo facilmente soccombendo, con la rigida e burocratica osservanza delle leggi da parte degli Avogadori.

I continui interventi di questi magistrati, pure se rispondenti ad esigenze altrettanto importanti di correttezza e di ordine, non contribuivano quasi mai ad effettivamente sostenere l’operato dei Rettori i quali, impegnati a fronteggiare una crescente criminalità, dovevano adoperarsi spesso in azioni estremamente energiche, a volte non in perfetta sintonia col rigoroso dettame delle disposizioni vigenti.

La legge, che i Rettori per oggettiva necessità di imporre ai sudditi la maestà della Repubblica si trovavano spesso nella condizione di dover travisare ed adattare ai singoli casi, veniva applicata dagli Avogadori secondo il compito del loro ufficio e perciò fatta rispettare da tutti, anche a costo, paradossalmente, di divenire loro stessi il mezzo principale attraverso il quale quella legge, da loro così scrupolosamente applicata, poteva essere spesso facilmente elusa.

 


 

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