Inquisitori di Stato, un mito sfatato.
Qualora
si abbia raggiunto questa sezione dopo
aver consultato le precedenti, la
speranza è che tanto scrivere sia
stato almeno
sufficiente a rivedere
l’immagine romantica dell’oscura e
fredda saletta rischiarata dalle tenui
luci di ondeggianti fiammelle di
candele, dove potentissimi figuri
decidevano, in perfetta solitudine ed
in spregio alle leggi, della vita o
della morte di poveri cittadini.
I
tre magistrati, arrivati
all'altissimo incarico di
Inquisidori dopo aver
speso praticamente tutta la vita al
servizio della Repubblica, ben
difficilmente avrebbero potuto
stringere fra loro uno scabroso accordo per
commettere quelle terribili iniquità
delle quali, oltretutto, scaduto il
loro breve incarico, sarebbero stati chiamati a rendere
stretto e minuzioso rendiconto ai loro
stessi successori, quando non dagli
stessi Avogadori de Comun o in
Mazor Consejo.
All'interno delle
assemblee politiche dello Stato era
sempre riconosciuta a chiunque la
discussione sull’operato
degli Inquisitori, con una notevole
libertà d'intervento e senza che mai
nessuno, neppure il più accanito
avversario di quella istituzione,
ricevesse per questo delle molestie o
fosse perseguitato.
Naturalmente, ogni opinione era considerata lecita fino al
punto in cui non
sconfinasse oltre i limiti della
corretta opposizione; non
appena la critica scivolava verso
forme di demagogia (magari anche con
qualche accenno ad attaccare direttamente
i titolari dell'ufficio, comportamento che
non fu mai minimamente
tollerato), in questo caso
l’intervento degli organi competenti
non si faceva certo
attendere, e la severa azione
moderatrice veniva portata contro
chiunque, non esclusa la stessa
persona del Dose.
A Venezia la libertà politica non
venne fraintesa come una licenza
concessa per attaccare le istituzioni
dello Stato o peggio per svilire
l'operato dei singoli magistrati che
s'intendevano sempre tesi a servire
gli interessi della Repubblica; la
libertà di esprimere la propria
opinione venne concepita come la
diretta conseguenza dell'indipendenza
interiore di ciascuno, il frutto di
una integrità morale che si doveva
riflettere su ogni atto politico
esteriore. Così il Maranini.
Le leggi e le istituzioni della
Repubblica ebbero il compito supremo
di salvaguardare in ogni modo
l'essenza di questo profondo principio
di libertà collettiva e con esso preservare la
perfetta integrità dell'ordine
costituito, che rappresentava la base
sulla quale si fondava la
dottrina politica veneziana.