organi costituzionali

Repubblica Serenissima

Consejo del Pregadi

o Senato

ORGANIZZAZIONE INTERNA E FUNZIONAMENTO

 

convocazione.

ordine interno.

presidenza dei lavori e la vigilanza sull'assemblea.

ordine dei lavori.

libertà di parola.

durata della dignità del senatore.

doveri e diritti dei senatori.

 

La convocazione.

La convocazione dei senatori, inizialmente prerogativa della Signoria in quanto unico ufficio di presidenza, venne successivamente assorbita fra le competenze del Pien Collegio dopo la sua istituzione, e quindi da questi di regola ordinata.

A questo proposito va notato che la facoltà di richiedere l’adunanza del Senato era riconosciuta per legge anche a tutte le magistrature che in questo Consiglio vantassero il diritto di por Parte (presentare un progetto di legge), ed anzi il Pien Collegio poteva incorrere in gravi sanzioni allorquando, senza un giusto motivo, respingesse la richiesta di convocazione.

Il Senato si riuniva nella propria sala in Palazzo ducale, con riduzioni ordinarie di due ed a volte anche di tre volte la  settimana, tuttavia quando eventi di straordinaria importanza e gravità lo richiedessero, anche tutti i giorni ed a tutte le ore.

L'avviso di convocazione, oltre ad essere comunicato mediante l'invio di comandadori in giro per la città e attraverso l'invio di messi ai Podestà delle isole di Murano, Burano e Torcello per tutti i senatori colà residenti, veniva comunque sempre rammentato mediante il suono della campana mezzana di San Marco.

Se invece, come d'altro canto molto spesso accadeva, la seduta era prevista iniziasse immediatamente dopo che si era conclusa quella del Mazor Consejo, era sufficiente che in questa sede fosse annunciata la riunione susseguente.

Entrati nell'aula, i senatori, uguali per dignità e carica, sedevano dove desideravano; assieme ad essi entravano anche coloro che al momento sostenevano un incarico di Sottopregadi ed anche chi sosteneva la carica presso altri uffici legalmente ammessi.

Di norma l'imminente convocazione veniva ufficialmente notificata anche ai Capi de la Quarantia al Criminal ed ai Consiglieri Inferiori, anche se a questi ultimi era concessa la facoltà di non partecipare.

La presenza del Dose, quale simbolo vivente dell'unità della Repubblica, era sempre vivamente ricercata, tuttavia la sua eventuale assenza non toglieva validità alla seduta, in quanto era previsto che la figura del Capo dello Stato potesse essere rappresentata dal Consigliere ducale più anziano, che assumeva le funzioni di Vicedose

 

L'ordine interno.

All’interno della sala non fu mai sentita la necessità della presenza di un servizio d'ordine che avesse il compito di assicurare il regolare svolgimento dei lavori durante le discussioni; come d'altronde fu sempre assolutamente proibito ai senatori di recarsi all'interno dell'assemblea armati.

Altre norme vietavano severamente di poter sollevare clamori o di fomentare disordini, tanto più che i magistrati incaricati a far rispettare il buon ordine e la quiete delle riunioni, non esitavano mai nell'intervenire per ammonire e ricondurre rapidamente alla ragione anche i più esagitati.

Va ricordato inoltre che poco prima dell'ora stabilita per l'inizio dei lavori, a maggiore tutela e garanzia di sicurezza, tutte le sale attigue a quella del Senato venissero sgombrate ed assoluto era il divieto, per chiunque non fosse autorizzato, di trattenersi all'interno del Palazzo ducale.

Su tutto costituiva comunque un buon deterrente il fatto che i senatori non godessero di alcuna particolare forma di immunità personale, non potendo perciò sperare di poter sfuggire o di ritardare gli effetti delle sanzioni che li avrebbero potuti colpire in caso di gravi intemperanze o di palesi violazioni dei rigidi codici comportamentali stabiliti dalla consuetudine.

 

La presidenza dei lavori e la vigilanza sull'assemblea.

I lavori erano generalmente presieduti dal Pien Collegio, che prendeva posto sulla Banca (la tribuna rialzata) sovrastante l'assemblea, distribuendosi come segue: il Dose sul trono ed i membri della Signoria tre per parte, quindi a destra sedevano i Savi Grandi e i Savi di Terra Ferma, a sinistra i Savi agli Ordini e gli Avogadori de Comun; più in basso, rivolti anch'essi verso l'assemblea, sedevano i Capi del Consejo dei Diese; in mezzo alla sala trovavano invece posto i Censori.

Dai loro seggi, gli Avogadori de Comun, i Capi del Consejo dei Diese ed i Censori vigilavano sul buon ordine della riunione, con particolare attenzione sia verso la rigida osservanza delle minute procedure di voto, nonché sul rispetto delle norme che regolavano la pubblica discussione sulle proposte di legge; nel far questo, ciascuno di questi magistrati, animato da profondo spirito di corpo, vigilava inoltre che gli altri preposti a loro volta espletassero il loro dovere.

 

L'ordine dei lavori.

Quando la campana mezzana di San Marco aveva battuto l'ultimo tocco, le porte della sala erano chiuse e chi ancora non era giunto, incorreva inderogabilmente nella pena che, per legge, veniva comminata agli assenti.

Solamente ai membri di alcune magistrature, dato il loro particolare incarico, fu concesso per qualche tempo di poter entrare ed uscire dalla sala in qualunque momento, questa speciale deroga era riconosciuta ai seguenti uffici:

  • Provedadori a l'Armar,

  • Savi della Consulta del Collegio,

  • Cassieri de Terra Ferma.

Chiuse dunque le porte, le chiavi erano tolte dalle toppe e depositate ai piedi della Signoria, l'unico organo dell'assemblea che potesse concedere ai segretari di utilizzarle nuovamente; anzi, la regolamentazione di questa delicata materia (invero delicatissima se si pensa che qualunque deliberazione presa a porte aperte, qui come in qualsiasi altro consiglio, non aveva alcuna validità legale) venne di proposito notevolmente inasprita a partire dal 1476, quando fu disposto che, aperte le porte per una breve pausa dei lavori, un notaio assieme ad un Avogador de Comun od anche con un Capo dei Dieci, annotasse chi però usciva dalla sala senza permesso.

La materia venne comunque rimaneggiata nel corso del 1483, quando si ordinò che l'apertura delle porte divenisse d'ora in poi una competenza collettiva degli Avogadori de Comun, dei Capi dei Dieci e dei Consiglieri Ducali.

Ancora nel 1499 venne previsto che per avere il permesso di uscire prima della fine dei lavori, il richiedente dovesse presentarsi davanti alla Signoria, la quale si esprimeva sulla richiesta con voto segreto e se solo una ballotta era di segno contrario, la domanda era considerata respinta.

 

Affinché potesse validamente deliberare, la legge prevedeva che il Senato fosse riunito nel seguente numero legale:

  • 70 senatori,

  • almeno 4 Consiglieri ducali,

  • almeno 1 Avogador de Comun.

Sulla compilazione della rubrica riguardante l'ordine del giorno, ogni senatore conservava la facoltà di poter intervenire per chiederne la modifica, facendo ricorso alla procedura detta dell'eccitamento, che prevedeva appunto la possibilità di poter esprimere, in una forma legalmente riconosciuta, il proprio contrario avviso su un determinato provvedimento; contrarietà che peraltro la Consulta dei Savi era libera sia di accettare come di rigettare.

L'eccitamento costituiva dunque un'abile scorciatoia costituzionale, accortamente introdotta al fine ultimo di evitare che durante la discussione pubblica insorgessero inutili contraddittori tra il Governo ed i senatori; tale procedura prevedeva che, terminate le piccole elezioni ed udito l’ordine del giorno, il senatore dissenziente, parlando da vicino e senza alcuna pubblicità con il Savio Grando de settimana, spiegasse brevemente quali erano i motivi che lo avrebbero indotto sicuramente ad opporsi, pregando quindi il Savio di voler ritirare oppure di modificare la proposta che stava per essere presentata; se l'osservazione era ritenuta fondata, la variazione era subito concordata e l'argomento si considerava chiuso, in caso contrario, si andava senz'altro alla pubblica discussione in assemblea.

L'inizio dei lavori era caratterizzato dall'esposizione, fatta di norma a cura di un segretario, delle norme più importanti riguardanti l'ordine interno, quindi si proseguiva con la lettura di tutte le informazioni, dei dispacci, degli avvisi e delle suppliche che durante i propri lavori, preparatori alla riunione, il Pien Collegio aveva ritenuto potessero senz’altro essere portati alla conoscenza del Senato senza che vi fosse pregiudizio nei riguardi della tutela del segreto di Stato.

Per qualche circostanza poteva però accadere che le dettagliate Relazioni, rappresentanti tutta la documentazione ufficiale che i Rettori depositavano al ritorno dal loro incarico presso le città suddite o Stati esteri, venissero lette direttamente in assemblea, anziché essere udite prima in Pien Collegio, come era d’uso.

Concluso questo punto, giungeva il momento nel quale faceva il suo ingresso in aula il Pien Collegio da una porta e gli Avogadori de Comun dall'altra; se però il Pien Collegio tardava ad arrivare perchè ancora impegnato in altra sede, si procedeva senz'altro con l’effettuare qualche elezione di poca importanza.

Una volta che anche l'ufficio di presidenza fosse interamente pervenuto e solo allora essendo il Senato in ordine, il Savio Grando di settimana si portava verso l'Arengo ed introduceva la rubrica dei lavori e degli argomenti che si sarebbero votati e trattati in quella seduta, esponendo anche, seppure in breve riassunto, le relazioni tecniche che erano state richieste alle magistrature competenti in materia.

Completata l'illustrazione dei problemi che andavano trattati, si passava alla lettura integrale delle Parti che venivano proposte per la loro soluzione, avendo in ciò sempre il particolare riguardo a rispettare la posizione gerarchica e di età di ogni proponente.

 

La libertà di parola.

Amplissima era la libertà di parola a tutti riconosciuta, nondimeno, con estrema energia gli organi preposti procedevano contro chi tentasse, per intorbidire il dibattito, di pronunciare frasi ambigue oppure diffondendo notizie false o, ancora di più, sollevando il generale scandalo offendendo le istituzioni oppure attaccando direttamente coloro che al momento erano chiamati a sostenerle.

Consci che ad una materia tanto delicata non fosse opportuno opporre una regolamentazione troppo rigida, i patrizi veneziani ritennero sempre fortemente lesivo per il principio di eguaglianza il fatto che durante le pubbliche discussioni si potesse, con troppa facilità, togliere la parola a chi stava intervenendo.

Quando però era l’oratore che usciva palesemente dalla materia che si stava trattando in quel momento, oppure se suscitassero lo sdegno generale le sue affermazioni, o ancora egli dimostrasse di voler ostacolare deliberatamente i lavori, non rispettando le regole interne; solo allora il Doge e i Consiglieri, oppure gli Avogadori de Comun o anche i Capi dei Dieci avevano facoltà di intervenire per imporre il silenzio facendo pesare tutta la loro autorità.

E' evidente che del buon uso di questa delicata facoltà, quei magistrati dovevano avvalersi solo nei casi di necessità evidente ed estrema, ciò per non rischiare a loro volta di poter essere posti sotto processo, accusati del sospetto di agire per usurpare la libertà d'espressione.

In particolare, i membri del Consiglio dei Dieci, in quanto l’ufficio maggiormente dotato di speciali poteri d’inquisizione, dovevano intervenire inizialmente per un generico richiamo all'ordine e solo se il senatore si lasciasse scivolare verso affermazioni tali da poter costituire un delitto contro le istituzioni, poteva essere istruito un regolare processo.

Agli Avogadori de Comun competeva invece placitare pubblicamente chi avesse arrecato offesa al Capo dello Stato; mentre nel contempo ad essi spettava vigilare che i consiglieri ducali od il Doge oppure il Consiglio dei Dieci non si avvalessero dei loro poteri di polizia interna nel tentativo di turbare o alterare l’equilibrio interno dell’assemblea.

 

La durata della dignità di senatore.

Sia nei confronti degli alti magistrati provenienti dai più importanti consigli della Repubblica e dei senatori, che naturalmente in riguardo a ciascuna dell'alto ed assai variegato numero di magistrature che, a vario titolo, erano ammesse a partecipare ai lavori del Senato, era associato un preciso periodo di tempo entro il quale l'aggregazione al consiglio era legalmente riconosciuta, tale periodo inoltre, che variava inoltre secondo le rispettive attribuzioni assegnate, incideva anche sull'efficacia della dignità di senatore:

  • per i membri elettivi (i Pregadi e la Zonta), la carica durava complessivamente 1 anno, che per i Pregadi iniziava e finiva il giorno di San Michele (29 settembre), mentre per la Zonta iniziava e finiva il giorno di San Girolamo (30 settembre),

  • per i Procuratori de San Marco, la dignità di senatore era vitalizia, come d'altronde era la loro stessa carica,

  • i Savi de la Consulta, se già non erano senatori, acquisivano la dignità senatoria per i 6 mesi di durata del loro incarico, quindi conservandola fino al San Michele;

  • per i Consiglieri del Dose, la dignità durava gli 8 mesi dell’incarico e quindi fino al San Michele;

  • per i 40 giudici della Quarantia al Criminal, la dignità durava 8 mesi;

  • per i membri del Consejo del Consejo dei Dieci, la durata era pari all’ufficio loro, quindi 1 anno;

Conservavano la dignità di senatore per 1 anno, pari alla durata dell’incarico loro:

  •  i Provedadori ai Cottimi,

  • i Dieci Savi alle Decime,

  •  i Riformatori allo Studio di Padova,

  •  i Provedadori sopra Uffici,

  •  i Provedadori sopra Banchi,

  •  i Provedadori sopra Pompe,

  •  i Provedadori sopra Uffici e cose del Regno di Cipro.

Conservavano la dignità di senatore per 1 anno e quattro mesi, dall’inizio dell’incarico:

  •  i Provedadori alle Biave,

  •  i Provedadori al Sal,

  • Governatori alle Entrate,

  •  i Camerlenghi de Comun,

  • gli Ufficiali al Cattaver,

  •  i Provedadori sopra Camere,

  •  i Provedadori alle Vettovaglie,

  •  i Provedadori alla Sanità,

  • gli Ufficiali alle Rason Vecchie,

  • gli Ufficiali alle Rason Nuove,

  • gli Ufficiali alle Cazude.

Conservavano la dignità di senatore per 16 mesi, dall’inizio dell’incarico e poi fino al San Michele:

  • i Provedadori sopra Atti dei Gastaldi.

Conservavano la dignità di senatore per due anni, dall’inizio dell’incarico:

  •  i Provedadori Sopra Dazi,

  • gli Esecutori alle Acque,

  • i Conservatori del denaro pubblico,

  •  il Rettore di Bergamo, dal giorno nel quale rientrava a Venezia.

  •  il Rettore di Verona, dal giorno nel quale rientrava a Venezia.

Conservavano la dignità di senatore per 32 mesi, dall’inizio dell’incarico:

  •  i Patroni all'Arsenal.

Conservavano la dignità di senatore per 16 mesi, dall’inizio dell’incarico e poi per altri due anni:

  •  i Censori,

  • gli Avogadori de Comun:

  • gli Oratori, rimanevano in Senato fino al giorno stabilito per la loro partenza, quindi per pochi mesi oppure per pochi giorni ma in casi eccezionali vi rimasero addirittura per anni.

Conservavano la dignità di senatore dal giorno del loro rientro a Venezia e fino al San Michele:

  •  i Capitani Generali da Mar,

  •  i Provedadori di ritorno a Venezia da speciali missioni.

Alla presenza di una così lunga ed assai elaborata lista riguardante la durata della dignità di senatore, allo scopo di imporre una maggiore omogeneità ai numerosi termini di aggregazione e di scadenza che la consuetudine aveva stabilito, una Parte approvata il 28 luglio 1500 introdusse il principio generale secondo il quale tutte le magistrature che entravano in Senato vi avevano in seguito accesso dal giorno della loro aggregazione fino al San Michele, fatte salve le eventuali eccezioni disposte dalle leggi.

 

Doveri e diritti dei senatori.

Tanto i senatori di nomina elettiva (i 60 del Pregadi e i 60 della Zonta) che i membri che erano aggregati di diritto dopo compiuto l'ufficio loro assegnato, a tenore di legge avevano uguali doveri: la regolare frequenza alle riunioni e la massima segretezza su tutto ciò che veniva discusso.

Per quel che riguardava l'obbligo della frequenza alle sedute, la legislazione fu sempre fortemente orientata a fare in modo che le riunioni avvenissero sempre con il pieno numero; a questo scopo furono promulgate le Parti del 6 aprile 1290 (libro ZANETA c.73) e del 26 gennaio 1292 (libro PILOSUS c.17 t.) con le quali, assai energicamente, si richiamava i senatori all'obbligo di partecipare ai lavori.

Nonostante ciò, perdurando la negligenza dei senatori, il Mazor Consejo intervenne nuovamente con una Parte approvata il 21 dicembre 1302, con cui rinnovò il sollecito, questa volta associando al pagamento di un'ammenda da versare nelle mani dei Camerlenghi de Comun se l'assente non avesse presentato le proprie scuse avanti il notaio della Quarantia al Criminal. In caso di ulteriore inadempienza, la multa veniva allora triplicata ed questa volta andava pagata alla magistratura dei Signori di Notte al Criminal.

In seguito la legislazione in materia si fece ancora più severa: ad ogni assenza ingiustificata, oltre ad una multa di 10 soldi da pagarsi agli Avogadori de Comun, l'assente si vedeva addebitato anche un punctum (nota di biasimo) e dopo aver ricevuto otto puncta il senatore decadeva automaticamente dal suo incarico e non poteva più esservi rieletto se non trascorso almeno un anno. Il disposto di questa legge, ritenuta giustamente fondamentale, fu integralmente trascritto nella raccolta ufficiale delle Parti che costituivano il capitolare del Senato e rimase perciò legalmente in validità fino al cadere della Repubblica.

Oltre a coloro che non si presentavano alle riunioni, era inoltre d'uso che allo status di assenti venissero parificati anche tutti i senatori che arrivavano in consiglio quando già la campana detta mezzana di San Marco aveva cessato di suonare. Doppia multa veniva invece comminata al senatore che, terminata la riunione del Mazor Consejo, si fosse allontanato senza partecipare a quella susseguente del Senato. Agli effetti della legge egli veniva considerato come se fosse stato assente ad entrambe.

Fra tanta severità, erano comunque previste alcune esenzioni sull'obbligo di frequenza, concesse generalmente a quei magistrati che altrimenti avrebbero dovuto trascurare il loro ufficio con grave pregiudizio del pubblico interesse. Godevano pertanto di questa facilitazione gli Officiali al Cattaver il giorno del sabato, poichè in questo giorno essi chiudevano i conti di cassa e pagavano gli stipendi; ai Patroni a l'Arsenal era invece concessa la possibilità di presenziare con 1 solo componente dei 3 che formavano l'ufficio, tuttavia era richiesta la presenza di almeno 2 Patroni quando il Senato discuteva sulla partenza della Muda di galee verso l'Egitto e la Muda di galee per la Fiandra; esenzioni simili venivano inoltre accordate senza difficoltà anche ai vari magistrati che ricoprissero incarichi di cassa.

Quanto all'obbligo del segreto o della strettissima credenza come si diceva, ogni senatore doveva tenere per sé ogni argomento che fosse stato discusso in consiglio, non potendo farne parola né con i suoi colleghi, né con altri nobilomeni e men che meno con i foresti. Da questo punto di vista, benché il Senato contasse il considerevole numero di quasi 300 membri, per lungo tempo poco o nulla si riuscì a sapere di cosa si discutesse e di cosa fosse stato deciso in quel consiglio. Solo verso la fine del XV secolo, le cronache denunciano come spesso in Senato si levassero lamentele a denunciare il fatto che sovente i suoi segreti erano fin troppo ben conosciuti all'estero ed in special modo a Roma.

Una Parte dell' 11 agosto 1449 stabilì perciò che al propalatore del segreto di Stato venisse comminata una pena di cinque anni d'esclusione dal Senato e dal Pien Collegio, con ineleggibilità a qualunque altra carica od ufficio nonché una multa di 500 lire, da esigersi dagli Avogadori de Comun.

Evidentemente coloro che tradendo la patria provvedevano a tenere informate le corti d'Italia e d'Europa sulle vicende politiche del Senato, non si spaventarono affatto delle possibili conseguenze, se le Parti susseguenti inutilmente elevarono pene e multe ma quasi sempre senza apprezzabili risultati; fu così che dal 1449 si arrivò quasi sino al 1755 ed ancora si promettevano duri castighi e severissime pene ai delatori dei segreti di Stato.

Altri inderogabili doveri dei patrizi chiamati a comporre il massimo organo di governo dello Stato si possono individuare nei seguenti punti:

  •  non era permesso rifiutare la carica,

  •  non era consentito presentare le dimissioni.

In pratica dunque la dignità ed il titolo di senatore si perdeva solamente quando:

  • spirava il termine legale della carica,

  •  moriva il senatore,

  • il senatore era incorso in gravi pene, ossia aveva  contravvenuto a norme ritenute fondamentali e relative alla vita pubblica (es. la diffusione di segreti d'ufficio).

Per quel che invece riguardava la sfera dei diritti, oltre al fatto che ogni senatore, eguale agli altri per dignità e carica, avesse il diritto di partecipare a tutte le discussioni politiche senza che vi fossero limiti di tempo predeterminati al suo intervento, ben diversa risulta la possibilità concessa a ciascun membro, in rapporto alla carica ricoperta, di esercitare la sovranità. Una distinzione, operata in modo abbastanza schematico, dà luogo a quattro categorie:

  • coloro che vantavano il diritto di por ballotta e di por Parte,

  • coloro che potevano solo por ballotta,

  • coloro che potevano solo por Parte,

  • coloro che non vantavano alcun diritto. 

Entrambi i diritti (por Parte e por ballotta) erano riconosciuti a:

  •  il Dose,

  •  i Consiglieri ducali, durante e dopo l'ufficio,

  •  i Capi della Quarantia al Criminal,

  •  i Censori, durante e dopo l'ufficio,

  •  i Provedadori de Comun,

  •  i Governadori a le Intrade,

  •  i Patroni a l'Arsenal,

  • i Provedadori a le Vettovaglie,

  • gli Officiali a le Rason vecie,

  • gli Officiali a le Rason nove,

  • i Provedadori sora Camere, (che essendo emerso il dubbio se potessero o meno por Parte, venne ufficialmente confermato tale diritto il 16 Settembre 1507),

anche alcune Magistrature Senatorie avevano riconosciuti entrambi i diritti:

  • i SopraProvedadori a le Pompe,

  • i SopraProvedadori a le Fortezze,

  • Provedadori sora Ospedali, Luoghi Pii e riscatto degli Schiavi.

Potevano solamente por ballotta:

  •  i 60 Pregadi,

  •  i 60 della Zonta,

  •  la Quarantia al Criminal,

  •  il Consejo dei Diese,

  •  i Procuratori di San Marco,

  • gli Avogadori de Comun, durante e dopo la carica,

  •  i Provedadori sora Atti dei Gastaldi, durante e dopo la carica,

  • gli Officiali al Cattaver,

  •  i Provedadori al Sal,

  • i Provedadori a le Biave.

Potevano solamente por Parte:

  •  i Savi della Consulta,

  •  i Savi alle Decime,

  •  i Provedadori ai X Uffici (i quali inizialmente potevano por ballotta ma a partire dal 1622 non ebbero più riconosciuto questo diritto),

  • Provedadori sopra Cottimi,

  •  i Provedadori sopra Dazi,

  •  i Provedadori sopra Banchi,

  •  i Provedadori alle Pompe,

  •  i Provedadori alla Sanità,

  •  i Provedadori all'Arsenal,

  •  i Provedadori all'Armar,

  •  i Provedadori alle Legne,

  •  i Provedadori sopra Monasteri,

  •  tutti i Rettori, per la durata di 3 mesi dopo il loro ritorno a Venezia,

  •  i Riformatori allo studio di Padova,

  •  i Cinque Savi sopra la Mercanzia.

 Non godevano di alcun diritto:

  • i Savi della Consulta, al compire della Muda (a fine mandato), se già non erano senatori,

  • i Savi sopra Conti,

  • gli Esecutori alle Acque,

  • gli Oratori con pena in caso di mancata accettazione dell’incarico,

  •  i Provedadori agli Uffici e Cose del Regno di Cipro,

  • gli Ufficiali alle Cazude,

  • i Figli ed i Nipoti del Doge in carica.

La facoltà che era concessa ad una magistratura di por ballotta in Senato proveniva di norma da un decreto che veniva emanato dal Mazor Consejo, mentre invece la possibilità di por Parte poteva anche essere concessa direttamente dal Senato, il quale conservò sempre la possibilità di poter aggregare al suo corpo anche altre magistrature, oltre a quelle stabilite per legge ma quasi sempre concedendo loro una semplice iniziativa di proposta.

D’altra parte il diritto di por Parte si poteva definire completo, cioè comprendente in sé tutti i rami della pubblica amministrazione, solamente per il Pien Collegio e per i Provedadori de Comun; per tutte le altre magistrature questo diritto era riconosciuto solo circoscritto all'incombenza che formava l'incarico dell'ufficio.

 

Per tutti i senatori vigeva inoltre il diritto-dovere di accompagnare il Dose e la Signoria durante tutte le andate (visite ufficiali) che venivano eseguite in occasione di determinate ricorrenze e feste pubbliche; ogni sei mesi inoltre venivano estratti 30 Pregadi e 30 della Zonta perché formassero il corteo che al seguito del Capo dello Stato partecipava alla solenne processione il giorno di San Marco Evangelista; da parte sua il Dose soleva invitare ad un banchetto i senatori (del Pregadi e della Zonta) il giorno di San Marco, mentre tale onore era riconosciuto ai magistrati di Sottopregadi il giorno della Sensa (l'Ascensione).

 

La carica di senatore della Repubblica era onoraria, dunque per l'espletamento delle funzioni non era, né venne mai previsto, alcuna forma di contributo a carico dello Stato.

 


 

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