La predisposizione della Parte.
Di
norma, prima di poter essere sottoposta alla
discussione ed alla votazione del Senato,
qualsiasi Parte doveva essere stata prima
elaborata dalla Consulta dei Savi, e quindi
redatta nella sua forma legale. I senatori non
godevano infatti del diritto di por Parte
(proporre nuove leggi) ed anche trovandosi
nell'occasione di poterlo fare, in quanto titolari
di una magistratura senatoria a ciò
autorizzata, essi dovevano comunque prima
notificarla ufficialmente al Pien Collegio,
pena la nullità dell'atto. Grazie
all'applicazione inflessibile di questa procedura
formale, in breve tempo la Consulta dei Savi
divenne l'unico organo istituzionalmente
competente nella redazione tecnica del testo delle
Parti.
Ciò
peraltro
non
liberò
la
Consulta dei Savi
dall'obbligo
di
dover a sua volta sempre
notificare preventivamente alla Signoria
(che permaneva comunque l'unico ufficio di
presidenza dello Stato) ogni proposta che il
Collegio avesse intenzione di sottoporre al
Senato, pena, anche in questo caso, la
completa nullità dell’atto.
Per
la redazione ufficiale dei documenti pubblici
dapprima si preferì inizialmente il latino, più
tardi invece divenne d'uso comune il volgare
italiano alternato a forme veneziane.
Il dibattito.
Se
dunque tutte le procedure formali erano state
rispettate, spettava al proponente aprire i lavori
dando ampia illustrazione del proprio progetto.
Secondo la consuetudine, conclusa l’esposizione,
la prima replica spettava a quei membri della
Consulta dei Savi e ai Consiglieri ducali
che avessero deciso di opporsi al provvedimento.
Dopo
di ciò, aveva ufficialmente inizio il dibattito
(l'idioma abitualmente usato dai senatori nei loro
interventi era il dialetto veneziano) e chiunque
dei presenti aveva facoltà di chiedere la parola;
essa veniva concessa in ordine di importanza della
dignità di carica oppure, in caso di pari grado,
con riguardo all’età. Per intervenire era
necessario che il senatore si alzasse dal proprio
posto e salisse l'arengo e solo da quel
pulpito egli poteva esporre il proprio parere. Se
però il senatore aveva intenzione di formulare
nulla più di un breve inciso, poteva anche
intervenire portandosi solo sino ai piedi della
Banca, fermandosi alla testa della fila di
panche dove aveva il proprio posto, ma quando
dalla breve replica passava ad un vero e proprio
intervento, sia i Capi del Consejo dei Diese
che gli Avogadori de Comun avevano la
facoltà di imporgli il silenzio.
Per
fare in modo che l'attenzione dell'assemblea
rimanesse sufficientemente concentrata sulle
parole sull'oratore, era fatto divieto assoluto di
poter controbattere restando seduti al proprio
posto. Con lo stesso spirito era altresì vietato
ai senatori di conversare tra loro a bassa voce,
anche solo per esprimere un'opinione o per
scambiarsi quello che veniva definito un
suggierimento.
La
consuetudine non prevedeva alcun limite di tempo
per la durata di ogni intervento, nemmeno la legge
sentì però mai l'esigenza di fissare un numero
massimo di oratori per ciascuna riduzione.
Questa illimitata facoltà di parola fece sì che le
sedute del Senato arrivassero non di rado a
protrarsi fino a tarda notte; in questi casi, se
la seduta non poteva essere aggiornata per motivi
di urgenza e di gravità della materia che si stava
trattando, si permetteva però ai senatori con più
di 70 anni di ritirarsi, e la stessa possibilità
era concessa di norma anche al Dose, il quale
lasciava l'assemblea scortato abitualmente da due
Consiglieri.
Dal
momento in cui iniziava la discussione e fino al
momento in cui, con il voto, non veniva
considerata chiusa la riduzione, spettava
ai Segretari alle leggi, i Capi del
Consejo dei Diese e gli Avogadori de Comun
il compito di vigilare costantemente sulla
rigorosa applicazione delle norme che stabilivano
le procedure e le garanzie in riguardo al voto e
alla repressione dei tentativi di broglio.
Quando
infine, esaurito il dibattito poiché più nessuno
chiedeva la parola, il Dose od anche un
Consigliere ducale prendeva una ballotta
e simbolicamente la gettava dentro il bossolo:
ciò stava appunto a significare che la discussione
era considerata ufficialmente chiusa ed era venuto
il momento di passare al voto.
Tuttavia, se la discussione si era conclusa a
notte fonda, onde evitare che la fatica fisica e
l'inevitabile stress mentale fossero forieri di
decisioni poco ponderate, la maggioranza ma anche
il singolo senatore, potevano chiedere la
richiesta di indusia, ossia l'aggiornamento
della riunione.
Il Senato allora votava e la decisione era
considerata presa anche se con maggioranza
semplice; se la proposta veniva accolta, gli
Avogadori de Comun ed i Capi del Consejo
dei Diese sfilavano davanti ad ogni senatore
col messale aperto, dove ciascuno formulava il
giuramento che nulla sarebbe trapelato all'esterno
delle cose trattate ed ancora da definirsi. Nel
contempo i segretari ricordavano, leggendole a
voce alta, le pene nelle quali s'incorreva in caso
di violazione del giuramento di segretezza.
Le procedure di voto.
Se
la richiesta di indusia era stata respinta,
allora la Parte doveva essere immediatamente
mandata in giro (sottoposta ai voti) e nel caso
in cui durante la
discussione fosse stato formalizzato anche uno scontro
(controproposta), la Parte e lo scontro
andavano in giro contemporaneamente.
Completato il giro del bossolo tra i banchi
dei senatori (che votavano seduti, da ciò il
termine usato di mandare in giro la Parte),
tutte le ballotte venivano travasate nel
concolo e quindi scrupolosamente contate dai
segretari per verificare che il loro numero fosse
pari a quello dei presenti.
Se
la procedura non prevedeva la possibilità di
voto dubio o non sincero, in base al risultato
ottenuto si proseguiva secondo le opzioni che
seguono:
-
se era stata votata solo la Parte, fatti
salvi i casi in cui non si richiedesse
l'applicazione di qualche particolare
strettezza, questa s'intendeva presa
quando avesse ottenuto la maggioranza semplice dei
voti;
-
se la Parte era stata mandata in giro
con lo scontro, era considerata presa
la proposta che avesse ottenuto la maggioranza
assoluta.
-
se lo scarto fra i voti de Si e i voti
de Non era costituito da una o due ballotte,
la Parte doveva essere riballottata, ma
nella riduzione successiva;
Quando
invece era previsto che i
senatori potessero esprimere anche il voto
dubio o non sincero, il risultato del
voto
veniva trattato come segue:
-
se la maggioranza si era espressa con voto
dubio, la Parte non poteva essere
riballottata.
-
Se il numero di voti raccolti dalla Parte
e dallo scontro si equivalevano, oppure
se le due proposte considerate singolarmente
avevano ottenuto ciascuna un numero di voti
superiore alla somma di tutti i voti dubii
e negativi,
entrambe le parti venivano riballottate. In
quest'ultimo caso però si usavano
solo i bossoli dupli (invece di
quelli tripli), restando escluso in questa
seconda votazione il voto dubio.
-
Se il numero dei voti de Non risultava
superato dalla somma dei voti de Sì
raccolti dalla Parte e dallo scontro,
veniva riballottata solo la proposta che aveva
ottenuto il numero di voti più alto.
-
Se dopo tre votazioni, la Parte e lo
scontro raccoglievano lo stesso numero di
voti ciascuna, le due proposte si consideravano
ambedue respinte.
-
Se la Parte era accompagnata da più
scontri, ma nessuna proposta riusciva ad
ottenere la maggioranza assoluta, gli scontri
venivano riballottati escludendo ogni volta il
meno favorito, il procedimento veniva ripetuto
fino a quando non rimaneva un solo scontro.
-
Se
la Parte incontrava l’opposizione
dell'assemblea ma traspariva che non la stessa
nella sua interezza ma solo qualche suo articolo non
fosse gradito ai senatori, il Pien Collegio
ricorreva allora al sistema di smembrare la
proposta e di mandarla ai voti articolo per
articolo.