la mariegola |
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L'arte dei testori de pani de seda, chiamati in città anche samiteri, riuniva gli artigiani che producevano stoffe di seta e oro e costituivano una delle Arti fra le più prestigiose di Venezia. Dell'ampia produzione tessile erano particolarmente famosi gli sciamiti (la "samis"): pesanti e pregiatissime stoffe ornamentali a due orditi e con almeno due trame in diagonale, quasi sempre impreziosite da eleganti decorazioni fatte utilizzando fili d'oro o in lega con l'argento. La produzione di seta aveva un'antica tradizione a Venezia, ma ricevette un grande impulso nel 1300 con l'arrivo dei tessitori guelfi transfughi dalla città di Lucca, stimolando anche la crescita di altre Arti: i tentori e i bati e tira oro.
Nel dicembre del 1488 viene sottoposta, dalla maggioranza degli iscritti, ai Capi del Consejo dei Diese, la richiesta di poter riunire in un'unica schola tutti i lavoranti del ramo. Trascorsi pochi giorni dalla domanda, il Consejo dei Diese concede la propria approvazione. Nel 1489 ha inizio la mariegola, che stabilisce oltre al numero delle cariche direttive, anche l'elezione di 4 giudici che siano "maistri de pello et maistri senza pello". Viene inoltre minuziosamente codificata anche la partecipazione alle funzioni religiose, la presenza ai funerali dei compagni, dai quali non sarà possibile allontanarsi se non giunti alla fine del rito. Nel 1512 il Capitolo decide di correre ai ripari circa l'abuso introdotto da molti compagni che il giorno di San Marco portano a casa propria la luminaria, invece di lasciarla in basilica, avendo perciò causato un debito di oltre 100 libbre di cera che grava sulla schola. Nel 1605 il Capitolo stringe accordi con i canonici di San Marco, secondo i quali saranno consegnati a quelli, ai zudexi (giudici), ai provedadori e ai sindici (sindaci) trentotto torzi dal peso di non meno di 4 libbre l'uno. Ogni compagno dovrà inoltre pagare nel giorno di San Marco la luminaria prevista, ricevendo in cambio una candela. Chi non paga la luminaria prima che inizi la processione, che parte da Rialto, non riceverà la candela. La prima sede della schola, posta in questo periodo sotto la protezione di San Cristoforo, si trovava in un locale ricavato nel convento dei Gesuiti, dove ancora oggi sopra la porta d'ingresso, all'anagrafico 4877, è murata un'elegante lapide la cui iscrizione, oggi purtroppo quasi illeggibile, ricorda il restauro della schola, avvenuto nel 1704:
SCVOLA D SAN CRISTOFORO DEL OFICIO E ARTE D TESTORI DA PANI DI SETA RESTAVRATA L'ANNO MDCCIV
Divenuti però i locali ben presto insufficienti ad ospitare il grande numero dei compagni, il 3 agosto 1634 i testori acquistarono per la somma di ducati "sei mille correnti a lire 634 per ducato", il grande edificio posto accanto all'Abbazia de la Misericordia, in campo de l'Abazia, che a sua volta era stata la prima sede della schola granda de Santa Maria de la Misericordia ed il cui simbolo è rimasto scolpito sugli stipiti del portone d'ingresso. Sulla facciata, ricostruita nel 1441 e conclusa con un coronamento a cuspide che ricorda da vicino quella di alcune chiese contemporanee, in sostituzione di quello precedente sopra il portale venne collocato nel 1451 un rilievo raffigurante la Madonna della Misericordia, opera di Bartolomeo Bon. Il rilievo trecentesco originario, anch'esso raffigurante la Madonna della Misericordia, venne contemporaneamente spostato sopra la porta d'ingresso della vicina corte nova, dove si trova ancora oggi. I compagni conservarono la schola con decoro fino agli inizi del XVIII secolo, attuando nel 1730 un imponente restauro, ricordato da una lapide posta nella grande sala superiore:
ADI 2 AGOSTO 1730 FU RESTORATA DE BENI DELL ARTE
Sopra una porta del confinante chiostro dell'Abazia de la Misericordia, si conserva un'altra iscrizione: CAPITULUM ARTIS TESTORIAE
Sull'altare che stava collocato all'interno della schola, si trovava una pala che raffigurava una Annunciazione con San Cristoforo e San Marco di de' Rossi, mentre vicino si ammirava una Adorazione dei pastori di scuola del Veronese, oggi alle Gallerie dell'Accademia, e la famosa Madonna dei Sartori, anch'essa nelle Gallerie veneziane. Verso la metà del secolo XVIII, con il vistoso declinare delle fortune derivanti dal commercio della seta, i compagni iniziarono vieppiù a trascurare la sede. La statistica del 1773 contava: 337 capimaestri, 862 mogli e figli di capimaestri, 43 maestri, 110 mogli e figli di maestri, 14 lavoranti approvati, 80 non approvati, 347 femmine lavoranti, 35 garzoni, 445 lazzariole, 239 inviaresse, 415 fra incarnaresse, rimettine, imbastaresse, gropparesse, 79 mistri fuori d'impiego; 701 telari in lavoro dei mercanti (esclusi dall'Arte), 224 telari in lavoro dei testori, 352 telari senza lavoro.
Caduta la Repubblica nel 1797, l'Arte venne soppressa in seguito ai decreti napoleonici del 1807, l'edificio incamerato dal Demanio subì le consuete spoliazioni, che videro la perdita del grande rilievo che era posto sulla facciata, asportato ed oggi si trova esposto presso il Victoria and Albert Museum di Londra; quale muta testimonianza, sono rimasti i due angeli reggicartiglio. In seguito venne venduto a privati, che lo trasformarono dapprima in teatro, quindi in anonimo magazzino con annessa abitazione. Nel 1920 l'edificio venne acquistato dal celebre pittore Italico Brass, che vi tenne la sua collezione di dipinti finchè, nel 1974, esso venne acquistato dallo Stato.
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