SESTIER DE CASTELO |
ciexa de San Domenego de Castelo |
CONTRADA S. PIERO DE CASTELO |
Cenni storici: nel testamento dettato
due giorni prima della sua morte, avvenuta il 2 luglio 1312 dopo solo un anno di dogado, il Dose Marino Zorzi (in vita detto il Santo) dispose che con i suoi beni
si acquistasse in città un fondo su cui costruire un convento per dodici
frati dell’Ordine dei Predicatori
(Domenicani), nonché un Ospizio per accogliere fanciulli orfani. In
esecuzione della sua volontà, i Procuratori de San Marco e gli altri Commissari individuarono il terreno
adatto in questa Contrada, nella zona più
settentrionale della fascia di terreno che correva lungo un tratto della fondamenta
“che va a Sant’Ana”, a quel tempo ancora esistente a fianco
del rio de Castelo
(oggi tombato). Nel 1317 iniziarono i lavori per la realizzazione
della chiesa di San Domenego de Castelo, la cui costruzione fu impostata
secondo il più antico schema urbano risalente all’epoca bizantina, ossia con
l’asse longitudinale parallelo al corso del rio
de Castelo, lungo il quale si
sviluppò il fianco sinistro dell’edificio. Grazie alla cospicua somma di
denaro disponibile, i lavori non conobbero interruzioni ed infatti già nel 1319 sia la chiesa che il primo
chiostro del convento potevano dirsi terminati. Per ordine del
Generale dell’Ordine, prese possesso del complesso conventuale frate Tommaso Loredan, il quale con il titolo di Vicariato assoggettò chiesa e convento a quello di San Zanipolo, del quale egli stesso era Prior. Nel 1333 i Domenicani acquistarono, sul
lato sud del secondo chiostro, quindi verso la laguna, un’ampia velma a cui il Senato aggiunse in dono
due lotti di terreno adiacenti, dei quali il più esterno, attraversato nel
mezzo da un riello,
terminava poi sul rio de San Isepo.
L’ampio spazio, lentamente imbonito e reso più compatto anche con
l’interramento del riello
(avvenuto nel 1413 su specifica autorizzazione del Governo), divenne
l’ampio orto a disposizione del convento. Nel 1347 anche il secondo chiostro fu terminato e il complesso
religioso poté dirsi terminato. Inizialmente
rigorosissimi nell’osservanza della Regola, con il passare del tempo i
costumi dei frati iniziarono a corrompersi, fino al punto in cui, complice in
verità anche lo scisma e la terribile peste che nel 1346 solo a Venezia
dimezzò la popolazione, il disordine della comunità religiosa crebbe al
livello che già era diffusissimo nelle comunità religiose di tutta Europa. Fu
Raimondo da Capua, Generale dell’Ordine che sollecitò frate Giovanni Domenici, il quale predicava a San Zanipolo,
di intraprendere a Venezia la riforma dell’Ordine. In quei tempi
incerti il convento di San Domenego de Castelo versava in completa desolazione, tanto
che Giovanni Domenici nel 1391 pensò bene di trasferirsi, insediando quale primo Prior il pio ed
energico frate Tommaso Aiutamicristo. In breve
rifiorì l’osservanza, che portò moltissimi giovani a vestire in questo
convento l’abito di San Domenico ma cessò pure il Vicariato, così che il convento si rese indipendente. Conservato all’Archivio
di Stato, in un disegno della seconda
metà del secolo XV, richiesto a suo tempo per risolvere alcune dispute di
confine sorte fra il Convento e alcuni privati, è dettagliatamente
riprodotto, in successione: il rio de Castelo, il
fianco sinistro della chiesa, scandito da tre lesene che incorniciano
altrettante finestre rettangolari di gusto gotico. Sotto la linea della falda
del semplice tetto a capanna, la struttura si corona di piccole archeggiature, mentre sulla sinistra si scorge l’abside,
semicircolare, che fuoriesce dalla massa della fabbrica ed il suo soffitto, a
semicupola, più basso del tetto della chiesa; sul fianco destro dell’abside
sta il campanile. Fa seguito il convento,
l’orto, sulla sinistra il rio del Forner che s’innesta sul rio de san Isepo,
quindi nella parte finale la chiesa di Sant’Antonio de Castelo
e sulla destra l’isola di San Servolo. Questa
raffigurazione non combacia però con la veduta del de’ Barbari del 1500, dove la chiesa appare molto più
lunga ed il massiccio campanile si appoggia circa a metà del fianco sinistro
della chiesa. Anche il disegno
planimetrico dell’edificio è diverso: quello rappresentato dal de’ Barbari è
a tre navate, con abside circolare o poligonale. In questo periodo
la chiesa e il convento sono bisognosi di restauro, tanto che nel 1506 papa Giulio II concede
l’indulgenza a coloro che ne avessero finanziariamente contribuito al
restauro. Nel 1509 prendono avvio
i primi interventi, forse con un parziale rinnovamento degli elementi
architettonici e decorativi secondo il gusto rinascimentale. Nel 1536 il nobilomo Girolamo Priuli, poi eletto Dose, si offre di pagare la metà di
tutte le spese necessarie al restauro della chiesa e del convento. Nel 1539 viene rifatta la cappella
maggiore in pietra viva, mentre invece nel 1544 grazie al lascito di tale Tommaso Donato poté essere
pavimentata la chiesa a riquadri con pietre bianche, rosse e nere. Nel 1569 presso il recinto de la
polvere
in Arzanà un incendio fa esplodere il deposito
della polvere da sparo. La chiesa subisce danni ingenti ai quali con non
poche difficoltà si riesce a far fronte in modo parziale. Nel 1583 infatti le pareti laterali
dell’edificio si notano essere “fuor di
modo inclinate” e se ne deve por mano ricostruendole dalle fondamenta. Intervento
che si rivela però insufficiente, tanto che nel 1586, sotto la direzione del Prior Angelo Avogadro, ne fu
alfine decisa la totale rifabbrica. I lavori ebbero
inizio nel 1590 e si protrassero
fino al 1597, con un esteso ampliamento
della lunghezza della chiesa. Con la realizzazione al suo interno di undici
altari, i lavori si conclusero nel 1609
con la consacrazione della chiesa e dell’altar maggiore. La seguente lapide
fu posta sopra la porta del coro, dietro l’altar maggiore: ANNO DOMINI MDCIX
DIE MENSIS IANVARI XX PRIORE P.P.F. IO. / VINCENTIO
DE MEDIOL. S.T.L. REVERENDISS. D.F. RAPHAEL RIPA / VEN. ORD. PRAED. EPISCOPVS CVRZVL. CONSECRAVIT. HANC /
ECCLESIAM ET ALTARE MAIVS AD HONOREM S. DOMINICI ET IN OMNI / ANNIVERSARIO
IPSIVS DEDICATIONIS DAT ET CONCEDIT EAM DEVOTE / VISITANTIBVS XL DIES DE
INDVLGENTIA S.F.G.V.C. (Secundum Formam Generalem
Veteris Canonis). Di questa nuova
fabbrica manca però qualsiasi notizia e descrizione, come del tutto ignoto è
rimasto il nome del progettista. A far luce non soccorre la pianta
prospettica di Matthaeus Merian
(1635) né quella del Giampiccoli (1799) che
riprendono la veduta del de’ Barbari, con l’aggiunta della chiesa di San Isepo. Nel 1639, grazie al denaro messo a
disposizione da frate Stefano da Venezia, fu possibile ampliare il pavimento
in pietra fino a comprendere anche il coro, che fino a quel momento era
diviso dalla nuda terra da semplici assi di legno. Nel 1707 viene terminato e consacrato
l’altar maggiore, realizzato su progetto dell’Architetto Domenico Paternò. Nel 1708 i frati rinnovarono a loro spese
il tratto di fondamenta
che correva lungo il fianco sinistro della chiesa. L’opera fu accolta con
grande favore dai castellani perché con questo intervento i frati oltrepassarono
i precedenti confini della chiesa con la riva del rio,
regalando così alla popolazione una fondamenta
più larga e rimessa a nuovo. Nel 1758 venne abbellita e ridotta ad uso
di refettorio dei frati per i giorni di grasso l’antica sala che in antico era
stata realizzata per l’Ospizio degli orfani. Ivi era collocato il dipinto Ultima Cena di G. A. De Laudis. Caduta la
Repubblica nel 1797, dalla prima
occupazione francese il convento ne uscì indenne, così come dalla prima
occupazione austriaca. Con il ritorno dei francesi però, il decreto vicereale
del 28 novembre 1806 dichiarava la
soppressione del convento ed il passaggio a San Zanipolo
(che poi nel 1810 subì lo stesso destino) dei quattordici frati che ancora vi
dimoravano. La chiesa e il
convento furono avocati al Demanio e quindi, dopo una minuziosa spogliazione
di ogni arredo, trasformati in caserma per la fanteria della Veneta Marina. Il 27 luglio 1808 chiesa e convento passarono al
Comune che successivamente, seguendo il progetto del Selva, dispose per la
loro completa demolizione utilizzando l’area per realizzare l’attuale esedra e il viale dei giardini. |
sopra la porta d’ingresso: l’organo e la cantoria (venduti il 19
novembre 1808);
a sinistra quadro Cristo redentore, angeli e i santi Domenico, Antonio,
Tommaso e Pietro Martire di P.
Malombra.
era interamente ricoperto con teleri (quadri)
di O. Fialetti. Alcuni di essi
mostravano episodi della vita e i miracoli compiuti da San Domenico, altri riproducevano i quattro Evangelisti ed in altri ancora i Santi e Sante dell’Ordine dei Predicatori. alla cornice marcapiano: dipinto Annunziata di M. di Tiziano (in deposito nel 1839 alla parrocchia di Ghirano di Sacile) segue: Visita
di Maria a Elisabetta di M. Verona, segue: Adorazione
dei Magi di M. Verona, segue: Presentazione
al Tempio di M. Verona, segue: Vescovo con Santa Caterina e
Santa Agnese di P. Malombra, segue: Cristo
resuscita Lazzaro di O. Fialetti.
PRIMO Altare in marmo. all'altare: dipinto Annunciazione di O. Fialetti. SECONDO Altare in marmo. all'altare: dipinto Devozione di San
Domenico, Madonna di Loreto e Santi vescovi di J. Palma il Giovane. parete
tavola Resurrezione di Lazzaro di Autore ignoto e polittico Annunciazione e Santi di G. Bonconsigli. TERZO Altare in marmo,
dedicato al Santo
Nome di Dio, venne costruito ed ampliato a spese della Schola de Devozion del Santo Nome de Dio. all'altare: dipinto Trinità
di J. Palma il Giovane. Qui si custodiva
la reliquia della Santa Croce portata da Famagosta
(Corfù). QUARTO Altare QUinto Altare in marmo, un altare era dedicato a Santa Maria
Maddalena, poi a San Pio V.
Tabernacolo: era sostenuto da quattro Angeli in bronzo, opera di B. Bragantino.
Sulla cima stava collocata una sfera in rame, a rappresentare il Mondo. all’altare: dipinto
di GB. Da Ferrara. nel coro:
con balaustra di marmo, spalliera e sedili in noce; dipinto Maria intercede presso Gesù il perdono dei peccatori e
molti Santi domenicani (secolo XVII) di Zoppo del Vaso. alla parete: dipinto La Vergine in
gloria col bambino e i Santi Francesco, Domenico e Giacinto di J. Palma il Giovane.
QUinto Altare in marmo. all'altare: tavola La Vergine pone in fuga un esercito di M. Verona. QUARTO Altare in marmo,
dedicato a San
Domenico. all'altare: dipinto San Domenico predica davanti ad un indemoniato
di M. Verona. TERZO Altare in marmo,
dedicato a Santa
Caterina. all'altare: tavola Nozze mistiche di
Santa Caterina, la Vergine, San paolo e San Giovanni Evangelista
di J. Palma il Giovane. Secondo Altare in marmo,
dedicato a San
Raimondo. all'altare: dipinto Padre Eterno, angeli e San Raimondo va a galla sull’acqua
con l’abito come vela di A.
Vasilachi detto l’Aliense.
Primo Altare in marmo,
dedicato a Santa
Febronia. all'altare: dipinto Santa Febronia con la Vergine, Nostro Signore e angeli
di J. Palma il Giovane.
Pier Francesco degli Orsini dei Duchi di Gravina, divenuto nel 1668 frate Vincenzo Maria,
già figlio di questo convento, il 29 maggio 1724 divenne papa con il nome di BENEDETTO XIII. Egli fece dono al Convento di sei
candelieri d’argento e della croce, anch’essa in argento, che egli aveva
usato nella sua cappella privata quand’era cardinale. Fatta eseguire dai
frati nel 1726, qui era collocata la grande statua del papa, opera del Cabianca, con
la seguente epigrafe: D.O.M. / BENEDICTO XIII P. MAX / ORDINIS
PRAEDICATORUM / BENEFICENTISSIMO / CONVENTVS VENETIAR. / IAM FILIO NUNC PATRI
/ POSVIT / MDCCXXVI (scomparsa durante la spoliazione) Nello stesso luogo si trovava
l’iscrizione e il busto di Giovanni
Francesco Mazzoleni da Bergamo († 1741), domenicano ed Inquisitore Generale
a Venezia, Parma e Bologna; e quello di Giuseppe
Vittorio Mazzocca,
domenicano e docente di filosofia († 1746). Girolamo
Trevisano
nel 1532 ricevette in questo convento l’abito di San Domenico. Papa Pio IV lo
prescelse per il vescovado di Verona e morì poi a Trento nel 1562. Il suo
corpo fu portato a Venezia e sepolto nel mezzo di questa sacrestia.
Cesare
Alberghetto,
celebre giureconsulto, morì in età giovanile trovandosi a Bagnacavallo;
nell’iscrizione si legge: CAESARI ALBERGHETO IURICONSULTIS DUM HERCULIS II /
DUCIS FERRARI AE DECRETO MAGNACABALLI / INSIGNI CUM LAUDE PRAEST / IMMATURA
MORTE PRAEUENTO / ALBERGHETUS PATER PIENTIS P / VIXIT ANM XXIIII D XX / OBIJT
ANNO SALUTIS / MDXLIII KAL.
SEPT. Epigrafe datata 1459 in onore di Antonio Diedo di Giovanni di Jacopo, Procurator de San Marco. Epigrafe datata 1542 in ricordo di Stefano Doria, giovane membro della celebre famiglia
genovese, dimorante a Venezia. Busto di Alessio Vittoria del nobile
ferrarese Paolo COstabili, Generale
dell’Ordine dei Predicatori Domenicani che, alloggiato in questo convento
durante una visita a Venezia dei Conventi dell’Ordine, fu sorpreso da grave
malattia e morì il 17 settembre 1582.
In totale si contavano più di cento
epigrafi fra la chiesa e il chiostro, ma di tutto questo non resta più nulla;
i marmi furono tutti venduti come pietre da costruzione ai vari tajapiera
(scalpellini). Il busto in marmo (scolpito da Alessandro
Vittoria, oggi
all’Ateneo Veneto)
di nicolo’ massa, filosofo e
medico, sul sepolcro di marmo “in aria”, eretto dalla figlia Maria Grifalconi, con la seguente iscrizione: NICOLAI MASSAE
MAGNI PHILOSOPHI / AC MEDICI MARIA F. POSVIT / MDLXIX Sulla porta che da accesso alla sala del Capitolo dei Frati, il busto in marmo
(scolpito da Alessandro Vittoria, oggi all’Ateneo Veneto) del nipote APOLLONIO massa, filosofo e medico, con la seguente
iscrizione: MONUMENTUM APOLLONIO MASSAE PHILOSOPHO / AC MEDICO ANTONIJ
POSITUM UT ESSET EIUS / INDICIUM VIRTUTIS AD FAMILIAE NOMINISQUE / MEMORIAM
SEMPITERNAM / MDLXXII Le sepolture, senza epigrafe, del Dose Lorenzo Priuli
(† 1605) e del fratello Dose Girolamo Priuli († 1613)
eletti uno dopo l’altro. Il sontuoso mausoleo dedicato alla loro memoria
venne realizzato invece nella chiesa di San
Salvador (Sestier de San
Marco, Contrada San Salvador). ·
Girolamo Querini, che era
stato per quattro volte Prior di questo Convento e poi Patriarca di Venezia dal
1524 al 1554. Senza epitaffio, in segno di umiltà, è
sepolta l’illustre letteraria Cassandra Fedele († 1558) Priora del vicino Ospissio de le Donzele. La tomba della famiglia cittadinesca dei Grattarol dei
quali Pier Antonio fu segretario del Senato. La tomba della famiglia cittadinesca dei Tarabotti, dei
quali ricordiamo suor Arcangela del vicino
Monastero di Sant’Ana.
Santo legno
della Croce di Cristo (reliquia)
proveniente nel 1587 dalla chiesa di San Giorgio a Famagosta
(Cipro), oggi
a San Piero de Castelo. Apparteneva
alla Schola de Devozion
del Santissimo Nome de Dio. Santa Caterina
da Siena
(dito intero, velo e veste); Beata Giovanna
da Orvieto
(osso intero); Beato Tommaso Caffarini da Siena (corpo) (oggi a San Zanipolo) Beato Agostino
da Biella
(corpo) (oggi
a San Tomà) San Vincenzo
martire
(braccio con mano); San Cristoforo
martire
(osso); Beata
Margherita da Città di Castello, terziaria francescana (tonaca) (oggi a San Tomà) Le
seguenti reliquie furono trasportate a Venezia da Durazzo (caduta in mano
turca) e consegnate per ordine del Governo a questo Monastero: San Matteo
Apostolo
(osso del braccio) (oggi
a San Tomà) Santa Veneranda (reliquie) San Domenico (dente) San Nicola di Bari (osso) |
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Interno: La chiesa
originale era costituita da una sola navata con cappella absidale che fuoriusciva
dalla fabbrica. Dell’interno
della nuova chiesa consacrata nel 1609
manca però qualsiasi descrizione; tuttavia dalle descrizioni lasciate al
tempo della soppressione napoleonica, se ne ricava che l’ampia navata era
ornata di nove altari in marmo e di due laterali al coro in legno ma con
mense a gradini di pietra. Vi erano inoltre svariati dipinti posti su due
ordini lungo le pareti laterali ed infine un soffitto diviso in comparti da
cornici lignee e dorate. |
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Facciata e portale: In un disegno
della seconda metà del secolo XV
la facciata della chiesa, che dava in calle San Domenego
(altrimenti detta che
va a Sant’Antonio), risulta seminascosta dalla presenza del
caratteristico portego che, in questo caso data l’esiguità
dello spazio disponibile, si appoggia ai due lati della calle. Il portego, nel
quale esistevano delle sepolture, funzionava anche da nartece e si apriva
sulla fondamenta
con un arco in marmo finemente intagliato. Nella veduta del
de’ Barbari del 1500 la facciata,
tripartita a seguire i salienti del tetto, prospetta sulla calle San Domenego, che ne costituiva anche il
modestissimo sagrato. |
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Monastero: Conservato all’Archivio di Stato, in un
dettagliato disegno della seconda metà
del secolo XV, richiesto a suo tempo per risolvere alcune dispute di
confine sorte fra il Convento e alcuni privati, sono dettagliatamente
riprodotti i due chiostri. Partendo dalle due estremità del corpo di
fabbrica che si trovava addossato alla parete destra della chiesa, si
allungano ortogonalmente le due maniche
del convento, unite tra loro da due altri edifici disposti parallelamente
alla chiesa e perpendicolari alle maniche
e che unendosi a quest’ultime formavano i due chiostri quadrati. Il chiostro accanto alla chiesa era
circondato da corpi di fabbrica che presentavano, al pianterreno, un ampio
portico colonnato e, al secondo piano, una galleria colonnata
nel braccio interno, mentre le finestre che si aprono al secondo piano del
lato destro e del lato sinistro inducono a pensare a locali comuni, forse il
dormitorio. Al centro del chiostro, lastricato, sta una monumentale vera da
pozzo posta sopra una base quadrata. Il secondo chiostro, a lato del primo, ha
i quattro lati del cortile ingentiliti da aiuole. La parete interna del corpo
conventuale sulla destra ha il pianterreno in muratura piena, mentre al piano
superiore si aprono alcune ampie finestre. Il lato esterno, che iniziando
dallo spigolo destro della facciata della chiesa era in comune con il braccio
contiguo del primo chiostro, aveva quattro grandi finestre con grate di ferro
che guardavano in calle
San Domenego. Il lato del chiostro, parallelo alla
chiesa e di raccordo fra le due maniche,
ha una galleria colonnata al pianterreno mentre al
primo piano mostra delle finestre che illuminano probabilmente le celle dei
frati. Infine sul lato sinistro la manica
mostra al pianterreno dei portici con grandi archeggiature
a tutto sesto. Oltre il secondo chiostro si stende un
ampio orto con piante e alberi da frutto; il lato a destra costeggia calle San Domenego ed è cinto da un muro dove si
intravede una porta. Al lato opposto si nota la cavana del Convento che si apre
sul corto rio del forner
(oggi interrato), grazie ad una porta, la cavana era agevolmente
raggiungibile anche dallo stretto e lungo giardino che correva dietro
l’abside e la manica sinistra del Convento. Più oltre, una lunga palizzata è bagnata
dal riello
che ancora divide l’orto dalla porzione di terreni vacui già circondati da palizzate e in via di imbonimento. Nel 1463 il complesso raggiungerà la sua
massima espansione, costituendo un
rettangolo i cui lati minori guardavano rispettivamente: a nord la fondamenta Sant’Ana e a sud il rio
de San Isepo; i lati maggiori: a
ovest la calle
San Domenego e a est il rio del Forner e
le case allineate lungo la calle de Ca’ Sarasina. Individuato e stabilito senza errori e
contestazioni, al confine venne ivi posto un arco archiacuto, nella cui ogiva
stava scolpito un angelo con le ali spiegate e le cui mani toccavano due
scudi con lo stemma dei Zorzi; fra essi la seguente
scritta, in gotico: MCCCXVIIII
EDIFICTV FVIT MOESTIV SCI DNICI PDNOS POVATOES SCI MACI
ETP MACV VITVIO OBOIS COMISI OLIBOE MEMVIE DNI
MARINI GEOGIO ICLIT DUC VEN COTETAVRIT FRAS
DCI MOESTII ACIPE SEV RECIPERE DIASEDM FORMA
TESTAMENTI DCI DNI DUCIS Dopo la soppressione in seguito agli
editti napoleonici e la sua demolizione nel 1806 per far posto all’esedra
e al viale
dei giardini, alcune eleganti finestre di una porzione
superstite della manica orientale, sono quanto è sopravvissuto dell’antico
convento dei domenicani. |
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Biblioteca: descritta imponente sia per il numero di
volumi e sia per la qualità dei testi che vi erano conservati. All’atto della spoliazione napoleonica
del 1806, e nonostante avesse già
subito cospicui furti di manoscritti, incunaboli e classici, da questa
Biblioteca furono tratti tanti volumi da riempire ancora ben tredici casse. |
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Campanile: (campaniel) cadde rovinosamente a terra nel 1409, a causa di una terribile bufera
che causò danni enormi in tutta la città. In un disegno della seconda metà del secolo XV si vede il campanile a base quadrata, con cella
campanaria a due finestre per lato e cuspide ottogonale
a punta che si eleva dal lato destro dell’abside. Osservando invece la veduta del de’
Barbari del 1500, si nota come il
massiccio campanile non si trovi più accanto all’abside, ma bensì a metà del
lato sinistro della chiesa prospiciente la fondamenta. Esso è caratterizzato da lesene a doppia
ghiera, cella campanaria a bifore, parapetto marmoreo di coronamento e
dall’alta cuspide poligonale poggiante su tamburo. Venne demolito con la chiesa e il
convento nel 1806. |
Uffizio del Supremo Inquisitorato contra l’Eretica pravità. L’Ufficio
era stato accettato dal Governo della Repubblica, non
senza particolari e stringenti “attenzioni”
di ordine tecnico e procedurale, fin dal 1289.
Per
volere di papa Nicolò IV esso venne all’inizio assegnato alla direzione dei
Francescani, ma nel 1560 papa Pio IV che mal tollerava lo scarso zelo dei
francescani, affidò il compito ai Domenicani Predicatori e scegliendo a
Venezia il monastero di San Domenego quale
dimora del primo inquisitore domenicano nominato per la Repubblica, che fu
Tommaso da Vicenza. Ciò
non deve indurre nel’errore di credere che questa presenza fosse bene accetta
dai confratelli; infatti la dettatura di un epitaffio in ricordo di uno degli
inquisitori che vi operò venne sempre ritenuta “offensiva” dai frati di San Domenego, che appunto ritenevano l’Uffizio
dell’Inquisizione nulla di più che un semplice ospite del monastero. Sul
ponte che un tempo attraversava il rio de Castelo nel punto fra la chiesa di San Domenego con quella di San Bortolomio (poi San Francesco da Paula) i Padri Domenicani
Inquisitori bruciavano ogni 29 aprile i libri proibiti che avevano raccolto
(spesso comprandoli a loro spese) durante l’anno. |
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Bibliografia: Flaminio Corner “Venetia città nobilissima et singolare”. Stefano Curti, Venezia 1663 Flaminio Corner “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane e torcellane” Stamperia del
Seminario, Padova 1758 Giambattista Albrizzi “Forestier illuminato. Intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne,
della città di Venezia e dell’isole circonvicine.” Giambattista Albrizzi, Venezia 1765 Andrea Da Mosto “I Dogi di Venezia. con particolare riguardo alle loro tombe.” Editore Ferd. Ongania, Venezia 1939 Cesare Zangirolami “Storia delle chiese dei monasteri delle scuole di Venezia rapinate e
distrutte da Napoleone Bonaparte.” Arti Grafiche E. Vianelli, Mestre, 1962 Giulio Lorenzetti “Venezia e il suo estuario” Edizioni Lint, Trieste 1956 Umberto Franzoi / Dina Di Stefano “Le chiese di Venezia” Azienda Autonoma
Soggiorno e Turismo, Venezia 1975 |