Fonteghi |
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Posizionato nella riva de ultra
del Canalasso, diviso
dallo stretto rio del megio
dal fontego dei Turchi e posto quasi di fronte alla chiesa
di San Marcuola,
si deduce dall’uso pressoché quasi esclusivo di “antinelle”
(mattoni in cotto su muratura a vista) utilizzate per la sua costruzione, che
questo fontego fu realizzato nel corso del XIII secolo, costituito dal piano
terra e da tre piani in altezza. La sobria facciata, in mattoni scuri, è
ritmata da tre semplici portali rettangolari e da tre file sovrapposte di piccole
finestre quadrangolari, le stesse che poi si ripetono lungo il fianco destro dell’edificio
che si sviluppa verso l’interno a filo del rio
del megio. Esteticamente non rilevano
decori architettonici di particolare rilievo, tranne che per la sommità (un
coronamento merlato) e, in posizione centrale, il grande bassorilievo con il Leone
di San Marco (non originale). Le merlature costituiscono un elemento
tipico della Venezia medievale che persisterà anche nelle epoche successive:
queste aumentano la leggerezza e l'eleganza dell'edificio, ma non hanno (a
Venezia) alcuna funzione difensiva. Nel XII e XIV secolo, il periodo
bizantino, sono triangolari, avendo preso forma dalle antiche steli
commemorative o forse dalla seghettatura delle palizzate che circondavano i
conventi. Nel XV secolo, il periodo gotico, il materiale preferito è il
cotto, giocato con forme sempre diverse ed originali. Nel XVI secolo, periodo
rinascimentale, le merlature sono per lo più in pietra d'Istria e lavorate in
modo raffinato. L'artista che ha lasciato un esempio di nuovo tipo di
merlatura fu Palladio: esso è ad arco rovesciato, come si può osservare a San
Giorgio Maggiore. Il Leone di San Marco, simbolo dello
Stato che veniva collocato su di ogni proprietà pubblica, è purtroppo la
copia dell'originale che venne furiosamente scalpellato dai giacobini alla
caduta della Repubblica. Al centro della parete è collocato un bassorilievo
del Novecento realizzato dallo scultore Carlo
Lorenzetti. Conclusa la costruzione, pare che il fontego
venisse inizialmente destinato a deposito di grano ma in seguito, probabilmente
per organizzare al meglio lo stoccaggio dei cereali rispetto anche agli altri
due grandi fonteghi a uso civile esistenti in
città (per la farina di grano a Rialto e
per il grano a San Marco), più tardi esso fu
trasformato in magazzino esclusivo di biada minuta, il miglio, detta appunto in veneziano megio
(con la “e” stretta di “meno”). Rispetto al “pan bianco”, era questo un cereale
di scarso valore, con la cui farina si impastavano pagnotte che venivano vendute
alla popolazione a prezzi assai contenuti o anche distribuite gratuitamente nei
momenti di carestie alimentari. A questo proposito, le abbondanti scorte del fontego si
rivelarono particolarmente utili durante la carestia del 1559 quando,
per calmierare i prezzi e debellare il mercato nero, il Governo decise infatti
di distribuire gratuitamente al popolo una sufficiente razione quotidiana di
farina di miglio. Per fortuna, nella lunga storia della
Repubblica, raramente i veneziani si trovarono a dover ricorrere all'uso del
miglio ma quelle poche volte furono ricordate dal popolo con sagacia, come
quando, nel 1570, morì il Dose Piero Loredan il quale,
proprio a causa di una nuova carestia, aveva ordinato che il pane comune fosse
preparato con la farina di miglio. La pasquinata prontamente diffusa in città
per le esequie diceva: "El Dose mejotto, che fa vender el pan
de mejo ai pistori, xe morto!" (Il doge del miglio (megiotto), che fa vendere il pane di miglio ai
panettieri, è morto!). Caduta la Repubblica nel 1797, il fontego
cadde rapidamente in disuso. Avocata la proprietà al Demanio, passò
più tardi in possesso del Comune di Venezia che lo utilizzò per installarvi
una scuola elementare, così come è ancor oggi.
Il fontego del megio
nella veduta del de’ Barbari del 1500
Il fontego del megio
oggi
Il fontego del megio
in una veduta seicentesca
La facciata del fontego del megio in Canal Grande
L’angolo fra Canal Grande e rio del megio
Il leone di San Marco |
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