I custodi
della legge.
Anche
se non in via esclusiva, gli
Avogadori furono sempre considerati i massimi custodi del
rispetto
degli obblighi e dei limiti che
incombevano tanto sui membri delle magistrature che sui
maggiori
consigli politici dello Stato. Gli
Avogadori costituivano infatti il presidio a difesa
della regolarità delle procedure normative in uso presso
la pubblica amministrazione, avendo riconosciuti pieni
poteri d’inquisizione nei confronti di
chiunque sospettassero di violazione delle leggi
nell'esercizio delle rispettive funzioni.
La presenza di almeno
uno degli Avogadori era obbligatoria e necessaria ai fini
della validità stessa dei lavori del Mazor Consejo, del
Senato, del Pien Collegio e del Consejo dei Diese.
Per quanto riguardava gli altri uffici della
pubblica amministrazione, gli Avogadori controllavano
continuamente gli atti che venivano emessi da coloro che
erano chiamati a sostenere l'incarico, affinché nessuno oltrepassasse
mai i limiti imposti dal rispettivo capitolare.
Essi si interessavano assiduamente anche affinché gli organismi
più immediatamente deputati a questo controllo,
effettivamente svolgessero il loro compito.
Per evitare che,
per amore del quieto vivere, taluni Avogadori riducessero
di proposito l’applicazione dei loro importanti poteri,
una Parte approvata nel 1306 affidò alla competenza
dell’ufficio dei Capi de la Quarantia al Criminal la
facoltà di poter denunciare gli Avogadori che si fossero
resi colpevoli di negligenza, potendo per questo
convocarli a giustificare il loro operato avanti
alla Quarantia stessa, oppure, nei casi più gravi,
direttamente in Senato oppure in Mazor Consejo.
L'istituto dell'intromissione.
Gli
Avogadori avevano riconosciuta dalla legge la facoltà,
amplissima ma non senza eccezioni, di poter intervenire in ogni momento,
direttamente nel merito di provvedimenti assunti, di
qualunque natura essi fossero, esercitando la facoltà
detta dell’intromissione
(ossia la sospensione degli effetti dell’atto).
Il loro intervento poteva riguardare tanto il contenuto di
una Parte che si stava approvando od era stata
approvata, e che a loro parere conteneva aspetti pregiudizievoli od in contrasto con
le leggi e l'interesse pubblico da tutelare; oppure le
sentenze criminali di primo grado emesse dai Rettori,
dove avessero ravvisato che l'applicazione della legge non
era stata rispettata conforme le procedure.
Per quanto riguardava la Parte, il provvedimento di sospensione rimaneva in vigore fino al
momento in cui il Senato od il Mazor Consejo
non si
fossero riuniti per discuterlo nuovamente, previa l'audizione concessa agli
Avogadori perchè potessero esprimere pubblicamente il loro
parere e producessero quelle prove di illegittimità che
avevano provocato il loro intervento.
Se, nonostante le loro obiezioni, la Parte veniva nuovamente
confermata nella sua validità, la sua applicazione non poteva più
subire alcun ritardo ed i suoi effetti
venivano confermati pienamente operativi e legali.
Invece l’intromissione sulla sentenza
veniva formalizzata mediante l'invio di un atto o alla Quarantia
al Civil
vecio oppure alla Quarantia al Civil novo per
le cause civili (ma ciò
fino a quando la competenza sulla disamina delle richieste di appello
non passarono agli Auditori a le Sentenze)
oppure alla Quarantia al Criminal per le cause
criminali. In base alle
risultanze, il documento poteva contenere la richiesta
degli Avogadori che
la sentenza fosse tagliata
(quindi resa nulla) per l'ordine oppure per il
merito. L'ordine
aveva attinenza con la formazione del processo e con
l'osservanza delle procedure; il
merito consisteva nella definizione della
sentenza e della pena irrogata all'imputato. Oltre a
queste due giustificazioni esisteva anche una terza possibilità, definita ne iura partium,
con la quale l'Avogador,
dietro richiesta
formulata dall'avvocato di parte, si riservava di
specificare successivamente le motivazioni che avevano
dato luogo alla richiesta di sospensione degli effetti della sentenza
di primo grado.
Una copia dell’atto veniva inviata, per
opportuna conoscenza, anche al Rettore ed
appena ricevuta aveva l'effetto di sospendere
immediatamente l'esecuzione dell’eventuale sentenza.
Agli
Avogadori non era però
riconosciuta la facoltà di intromettere ogni e qualsiasi sentenza.
Erano escluse ad
esempio quelle emesse adottando il rito
inquisitorio delegato dal Consejo dei Diese
oppure quelle pronunciate dai Rettori assistiti da
Corte pretoria
(coadiuvati cioè almeno da due Assessori). Nonostante
questo limite, le sentenze considerate troppo miti o sospettabilmente assolutorie, pur se comminate da
Rettori
con Corte, erano assoggettabili ad
intromissione da parte degli Avogadori, grazie anche
al fatto che le stesse leggi regolatrici non furono mai
chiare in materia, neppure per quanto concerneva gli
effetti inoppugnabili della delega del rito inquisitorio del
Consejo dei Diese.
A questo proposito, quando venne istituito il Consejo
dei Diese fu parimenti stabilito che le sue sentenze
fossero da considerarsi assolutamente inappellabili. D'altro canto non fu però mai
specificato se gli Avogadori, in quanto supremi controllori della
costituzionalità di qualsiasi atto di qualunque organo
della Repubblica, avessero o meno la facoltà di esercitare
l’intromissione in caso di conclamata irregolarità anche
degli atti di questo grave tribunale.
Da questo punto di vista, registriamo che la prassi
giudiziaria veneziana talvolta non discusse l'intervento di
questi magistrati nell'attività del Consejo dei Diese, come
nel 1628 quando l'Avogador Contarini intervenì d'ufficio
tagliando, senza che fosse sollevato tema di illegalità, la sentenza di bando
pronunciata dal Consejo dei Diese contro il nobilomo Renier Zeno.
In altre occasioni gli Avogadori
intervennero anche nonostante l’uso del rito inquisitorio
del Consejo dei Diese, specie quando questi veniva delegato per
processi celebrati dai Rettori in Terra
Ferma. In questo caso anzi l’intromissione si
dimostrava deleteria poiché faceva perdere
a questa particolare procedura giudiziaria la segretezza e rapidità,
elementi che
ne costituivano il connotato
più evidente.
Va ricordato infine che gli Avogadori potevano intervenire
intromettendo
anche semplici atti penali, come erano ad esempio i
proclami, oppure gli ordini di carcerazione ed anche i
mandati ad informandum.
L'attività verso la Serenissima Signoria.
Nei riguardi del Dose, gli Avogadori,
in unione con i Consiglieri Ducali, vigilavano
costantemente che egli non travalicasse i limiti imposti
dalla Promissione ducale, documento sul quale aveva giurato al momento
dell'assunzione della carica. In questo senso il Mazor
Consejo continuamente si raccomandava che ogni minima
infrazione venisse immediatamente rilevata e fatta notare
al Dose, con il dovuto riguardo ma senza indugio
alcuno.
Ad ulteriore garanzia che tale controllo
fosse sempre esercitato, nel 1368 venne stabilito che il
Dose non
potesse mai prendere la parola durante le riduzioni del
Mazor Consejo al solo fine di criticare
pubblicamente l’eventuale operato intrapreso dagli
Avogadori nei confronti della sua persona.
D’altro canto, onde rafforzare maggiormente la competenza di questo ufficio, con legge del
1413 si volle disposto che per poter placitare
pubblicamente il Dose in riguardo a qualsiasi
violazione commessa contro la legge, era sufficiente che
si raggiungesse l’opinione concorde di due magistrati su
tre.
Agli
Avogadori competeva anche visionare tutti
gli atti prodotti dalla Signoria. Con Parte del
1304
fu ad essi concessa la facoltà di poter placitare i Consiglieri
ducali avanti il
tribunale della Quarantia al Criminal, se
in base alle risultanze dell’istruttoria, essi si fossero
resi colpevoli di trascurare gli obblighi del loro mandato.
Nel caso in cui gli Avogadori avessero avuto bisogno di
raccogliere ulteriori elementi, anche sottoponendo ad
interrogatorio il Consigliere sospettato, questi
aveva l'obbligo di acconsentire e di rispondere secondo verità.
L'attività verso il Mazor Consejo.
Per i processi istruiti
dagli Avogadori contro
nobilomeni in Mazor Consejo, in questo caso
essi assumevano le funzioni tipiche del
pubblico ministero, esponendo direttamente in assemblea i
capi dell’accusa relativi all'incriminazione.
Per impedire che torbide minoranze, magari lese nei propri
interessi dagli atti di un probo magistrato, potessero
facilmente mettere a repentaglio l'onore, i beni, il nome
e la libertà personale di un membro dell'assemblea
sovrana, speciali erano le cautele adottate. La legge imponeva che
il giorno
prima in cui gli Avogadori
intendevano promuovere il procedimento, dovevano informare la
Signoria, affinché ne
promuovesse la pubblica notifica, intimando anche a tutti
i nobilomeni di partecipare alla seduta, ricercando così
nel massimo numero possibile di partecipanti la maggiore
imparzialità del giudizio.
All'inizio del dibattimento, l'accusato poteva ascoltare le imputazioni che gli venivano
contestate; successivamente però egli doveva allontanarsi
dalla sala, seguito anche da tutti i suoi famigliari (i
quali venivano a trovarsi nella
posizione di cacciati di cappello). A seguire il Mazor Consejo
iniziava il dibattimento che,
concludendosi sempre con una formale sentenza, fosse essa
a favore o contro, veniva ufficialmente
pubblicata dopo essere stata redatta nella forma
tecnica della Parte.
All’interno del
Mazor Consejo, gli Avogadori, uniti
ai Censori, ai Capi dei Diese ed agli
Auditori a le Sentenze, formavano anche il corpo di polizia
interna durante le riunioni dell’assemblea, non esitando
ad ammonire duramente coloro che si fossero resi colpevoli
di infrazioni. Inoltre, nella reciproca intenzione di
voler gareggiare pubblicamente nella massima dimostrazione
di zelo nell'applicazione delle proprie competenze, non
erano rari quei casi nei quali le magistrature che erano
addette a tale compito fossero anche loro severamente
richiamate dagli Avogadori ad
una maggiore fiscalità. Molto
spesso questi rimbrotti costituivano anche causa di attrito
con i Capi
dei Diese, a loro volta i naturali controllori
dell'operato degli Avogadori.
Autorevoli membri del
Colleggietto, gli Avogadori erano
anche i regolatori, i compilatori ed i gelosi custodi
degli speciali libri pubblici che registravano la nascita
e sancivano lo stato civile di ogni membro della nobiltà
veneziana.
L'attività verso il Consejo dei Diese.
Chiamato
a partecipare obbligatoriamente ai lavori di questo grave
Consejo, l'Avogador
non solo controllava che il rito
inquisitorio fosse strettamente osservato, ma assumeva la
presidenza del collegio inquisitorio interno quanto il
reato sospettato fosse relativo alla falsificazione monetaria.
Spettava all'Avogador
notificare all'accusato il reato per il quale era
inquisito e ancora l'Avogador concludeva ufficialmente
i lavori del Consejo invitando, con l'apposita
formula di rito, i suoi membri ad esprimere la sentenza e, in caso
di condanna, anche la pena da comminare al reo.
Spettava infine sempre all'Avogador
recarsi nelle prigioni per notificare ufficialmente
all'accusato la sentenza finale e, se del caso, la pena
inflitta.
Competenza sui giudizi penali di primo grado.
Al loro ufficio apparteneva la disamina di tutte
le richieste di appello che venivano inoltrate a Venezia
(unico foro competente) contro sentenze penali di primo
grado, che nella stragrande maggioranza dei casi erano comminate dai
Rettori nelle città suddite della Terra Ferma.
In questo caso
gli Avogadori assumevano il
ruolo di vigili difensori della corretta applicazione
della procedura
giudiziaria, non esitando ad intromettere le
sentenze nel caso in cui fosse stata accertata una
difformità nell'applicazione della legge.
Nella fattispecie gli Avogadori ricoprivano in questo
caso il ruolo di giudice medio, competenza
riscontrabile anche nell’ufficio degli Auditori a le
Sentenze Veci e degli Auditori a le Sentenze
Novi, fungendo cioè da collegamento tra i
tribunali del Dominio e le magistrature
veneziane nelle quali era previsto, per competenza, il
ricorso in appello.
I
processi d'appello.
Nei processi d'appello istruiti
dalla Quarantia al Criminal per fatti di criminalità
comune accaduti in Venezia, gli Avogadori esercitavano la funzione propria del pubblico ministero,
intervenendo nei dibattimenti per tutelare
l'interesse dello Stato.
Va ricordato che tutte le sentenze penali comminate da
tribunali della Terra Ferma venivano placitate
direttamente in Quarantia al Civil vecio, con
esclusione però di tutte
le sentenze derivanti dal rito delegato
appositamente dal Senato le quali,
insieme a quelle pronunciate da qualsiasi magistratura in
Venezia, erano invece dibattute nella Quarantia al Criminal.
Prima del placito i giudici d'appello dovevano attendere
la lettera di risposta dei magistrati di prima istanza,
nella quale erano spiegati i motivi che li avevano indotti
a pronunciare la sentenza intromessa dall'Avogador.
L'appello veniva in seguito dibattuto in una delle due
Quarantie: Poichè all'Avogador
competeva difendere la Parte che si era
appellata, il ruolo di pubblico accusatore (a
sostegno del giudizio di prima istanza) veniva sostenuto
dai Contraddittori. Alla fine la sentenza poteva
essere laudata (confermata) oppure tagliata
(cassata), ma mentre lo spazzo (corruzione
dialettale veneziana di dispaccio che definiva il
giudizio raggiunto) era inappellabile nel
caso di conferma, per la sentenza di taglio era
ancora
possibile, per la parte soccombente, ricorrere
nuovamente al giudice di prima istanza.
La crisi
del XVI secolo.
Nel
momento in cui il Dominio, cussì da tera come da mar, venne
estendendosi, la definizione delle cause e dei processi
iniziarono
a giungere alla conclusione non con la speditezza che il sistema avrebbe
voluto, le cause si trascinavano infatti verso la loro
conclusione con esasperante lentezza. A peggiorare questo
stato di cose contribuivano, colpevoli solo di osservare
il pieno rispetto della legge, gli stessi
Avogadori che, senza
difficoltà concedevano le dilazioni previste, per
mezzo delle quali gli imputati si difendevano dal processo
e
ritardavano artificialmente la pronuncia del verdetto.
Inevitabilmente, già nel corso del secolo XVI si avvertì
crescere un forte malessere nei confronti della continua
ingerenza esercitata da questa magistratura, tanto che le
cronache contemporanee continuamente riportano i forti
attriti ed i malumori che con crescente allarme
salivano verso la capitale, provenienti specialmente dai
Rettori, istituzione periferica dello Stato a
quotidiano contatto con la realtà criminale.
Nei primi decenni del secolo XVII l’esercizio
dell’intromissione, ed il relativo effetto ritardante
sull’applicazione delle sentenze, divenne addirittura così intenso che
iniziò a suscitare anche notevoli problemi di ordine
sociale e quindi politico. In questo periodo infatti gli
Avogadori
non solo concedevano largamente i termini di rinvio
previsti dalle leggi, ma numerosi altri ancora, per
modo che la definizione delle cause non durava più due o
tre mesi come si sarebbe voluto, ma due od anche tre anni.
Si veniva annullando uno dei principi cardine sul quale si riconosceva lo Stato
veneziano: la rapidità della giustizia nel colpire il reo,
quale metodo deterrente per possibili altri
malintenzionati.
I continui interventi degli Avogadori (finalizzati, lo ricordiamo nuovamente, all'assoluto
rispetto delle leggi vigenti) non solo offrivano agli imputati la possibilità di sottrarsi ad un
rapido giudizio, ma finivano per aggravare la situazione
già abbastanza caotica dell'amministrazione della
giustizia, ciò specialmente in periferia, dove i Rettori
si scoprivano incapaci di affrontare con le loro
sole forze una criminalità resa più arrogante dalla
sostanziale impunità.
Cercando di difendersi dai ricorsi che gli avvocati degli imputati inoltravano
all'Avogaria, i Rettori scrivevano di continuo al
Consejo dei Diese, lamentandosi della troppa
lentezza che affliggeva la definizione delle cause e
supplicando che i numerosi casi sottoposti ad intromissione
venissero finalmente assunti oppure definitivamente
delegati.
Alfine, per contrastare quella che parve una pericolosa tendenza ad
intromettere quasi in automatico, che avviliva
continuamente l’operato dei magistrati di primo grado,
intervenne nel 1624 il Mazor Consejo a
regolare definitivamente tutta la materia, emanando un’apposita
Parte che fissava con maggior precisione le possibilità di
intromissione degli Avogadori.
Venne stabilito che essi
non potessero concedere di propria iniziativa più di una
sospensione della durata di un mese per un determinato
atto; se però, entro questo termine, l'intromissione non
fosse stata espedita, una delle due Quarantie, su
richiesta degli Avogadori,
poteva
rilasciare altre tre proroghe, ciascuna della durata di un mese.
Sembrava così di aver trovato un giusto equilibrio, ma
purtroppo nuovi
espedienti e cavilli furono scovati per aggirare le
limitazioni appena approvate: per acquistare tempo gli
imputati, dopo il giudizio di primo grado, si appellavano
prima sulla citazione ad informandum e poi,
esperiti i termini, direttamente sul proclama.
In alcuni casi esisteva, per legge, anche la possibilità di ricorrere
in appello prima addirittura della sentenza stessa,
come ad esempio appellarsi preventivamente sulla sentenza
futura qualora questa avesse creato all'imputato un danno
irreparabile al quale non sarebbe stato possibile
rimediare se non con un appello successivo.
Per colmo di beffa alla giustizia, non va dimenticato che, nel frattempo,
se un nuovo Rettore era stato inviato a governare la
città, la trafila burocratica poteva essere iniziata
nuovamente.
Il
rispetto della legge.
Impegnati a far rispettare le procedure, gli
Avogadori continuarono con assoluta
intransigenza sia ad intromettere le sentenze che a
concedere dilazioni di tempo, del tutto
indifferenti alle ragioni sostanziali che, nella
definizione di una causa, suggerivano ai giudici di prima
istanza di comportarsi in una determinata maniera.
Finiva così che troppo spesso il salutare pragmatismo con
cui i Rettori, nella loro veste di giudice, informavano
l’amministrazione della giustizia nelle città suddite di
Terra Ferma, dove essi pur rappresentavano il Governo, si
scontrava, purtroppo facilmente soccombendo, con la rigida
e burocratica osservanza delle leggi da parte degli
Avogadori.
I continui interventi di questi magistrati, pure se
rispondenti ad esigenze altrettanto importanti di
correttezza e di ordine, non contribuivano quasi mai ad
effettivamente sostenere l’operato dei Rettori i quali,
impegnati a fronteggiare una crescente criminalità,
dovevano adoperarsi spesso in azioni estremamente
energiche, a volte non in perfetta sintonia col rigoroso
dettame delle disposizioni vigenti.
La
legge, che i Rettori per oggettiva necessità di
imporre ai sudditi la maestà della Repubblica si trovavano
spesso nella condizione di dover travisare
ed adattare ai singoli casi, veniva applicata dagli
Avogadori secondo il compito
del loro ufficio e perciò fatta rispettare da tutti,
anche a costo, paradossalmente, di divenire loro stessi il
mezzo principale attraverso il quale quella legge, da loro
così scrupolosamente applicata, poteva essere spesso
facilmente elusa.