Savi del Consiglio dei Pregadi, ovvero Savi
"Grandi".
Decorso
il consueto periodo di provvisorietà,
la
Mano dei
Savi Grandi fu la prima che intorno al
1380 venne stabilizzata quale
organo permanente. Formata in origine da
un numero variabile di membri, in
seguito esso venne determinato in sei
Savi. Essi esaurivano la carica non
tutti assieme ma con muda
(rinnovo) di tre
in tre, in modo
che i nuovi eletti avessero il tempo
necessario per essere istruiti dai
vecchi, più esperti. La carica si
esauriva legalmente dopo decorsi sei
mesi; la contumacia era pari alla durata
dell'ufficio.
I
candidati dovevano avere un'età di
almeno
40 anni, od anche 38 se nel caso in cui
avessero (o si trovassero) a sostenere l'incarico
di Ambasciatori o di Capitani da Mar.
Costituiva inoltre una prassi
consolidata scegliere la rosa dei
candidati entro il numero dei nobilomeni che avessero già
percorso una lunga carriera al servizio
della Repubblica.
In speciale deroga ad un principio
altrimenti severissimo, potevano
altresì essere candidati a sostenere la
carica anche coloro che risultassero
registrati quali debitori verso lo
Stato; questo perché si stimava
conveniente poter disporre di una scelta la più ampia possibile ed anche
perché così si impediva che elementi meritevoli
ma temporaneamente in difficoltà venissero esclusi oppure, come anche
spesso capitava, che di proposito
qualcuno si indebitasse per piccole cifre proprio allo
scopo di autoescludersi dall'incarico.
L'elezione
dei Savi Grandi competeva al
Senato, dove non venne mai derogato il
ferreo limite che all'interno della
Mano imponeva la presenza di non
più di un consanguineo per ciascuna
famiglia. Era inoltre prevista
l'incompatibilità per gli eletti alla
Mano di
poter sostenere contemporaneamente anche la
carica di Consigliere dei Diese.
Al solito, l'incarico non poteva essere
rifiutato se non con pena, che
normalmente riguardava l'allontanamento
dall'elezione a qualsivoglia pubblico
ufficio almeno per la durata stessa
della carica.
Per questa elezione i candidati potevano
essere tolti da qualunque ufficio, con
la debita esclusione delle
magistrature dei Procuratori de San
Marco, degli Avogadori de Comun,
degli Auditori a le Sentenze e
dei Provedadori a le Biave.
Le competenze.
L'ufficio
dei Savi Grandi era quello di
esaminare ed istruire, generalmente in via preventiva, ogni
affare che fosse di pertinenza del Senato.
Essi infatti ne rappresenteranno sempre la
Mano preconsultiva per eccellenza,
ed il campo della loro competenza si venne
comprensibilmente
estendendo di pari passo che progredì
l'importanza del Senato come preminente
organo di governo.
In
virtù del fatto che i Savi
costituivano l'organo incaricato di
vagliare le problematiche di pertinenza del Senato
ed essendo a sua volta quest'ultimo il preconsultore del Mazor
Consejo, con
Parte approvata nel 1382, venne
concesso a questa Mano la
facoltà di poter esprimere il
parere su qualunque materia di
competenza dell'assemblea sovrana, nonchè
la possibilità di por Parte in
Senato, fatte salve le
normali procedure di notifica alla
Signoria, previste per legge.
Legati da un solenne giuramento, sia che
essi
si trovassero in Senato oppure
in Mazor Consejo, i Savi Grandi non
potevano mai esimersi ad intervenire
per difendere le proposte che, elaborate
in Pien Collegio, venivano
sottoposte all'approvazione in quelle due
assemblee.
In seguito all'istituzione ed alla
successiva stabilizzazione delle altre due
Mani, la competenza dei Savi Grandi si
ritrovò circoscritta alle materie non di
diretta competenza delle nuove
commissioni. Non di meno, all'interno della struttura costituzionale
della Repubblica, sempre grande fu il prestigio e la
dignità politica che venne riconosciuto a questa
più che autorevole Mano di Savi.
Il "Savio Grando de settimana".
A
presiedere i lavori durante la
riduzione della Mano, i
Savi Grandi eleggevano dal loro
interno, con incredibile cadenza
settimanale, un collega
che perciò aveva titolo di
Savio Grando de settimana, il quale
per la somma dei poteri e delle
competenze svolgeva il ruolo che oggi è
ricollegabile al
Segretario di Stato.
Oltre
alle
funzioni di presidente,
egli infatti associava
anche il ruolo di coordinatore dei lavori
della Consulta, avendo inoltre
l'incombenza di illustrare ai colleghi
senatori il contenuto delle Parti
sottoposte all'approvazione del Senato.
Durante le udienze
pubbliche (che
in Pien Collegio venivano concesse
indifferentemente agli ambasciatori di
Stati stranieri come alle delegazioni di
comunità suddite provenienti dai luoghi
più remoti del Dominio), la risposta
ufficiale alle richieste che, per
rispetto, dovevano essere formulate
rivolgendosi alla persona del Dose
competeva sempre al
Savio Grando de settimana; ciò perché
spettava al Governo illustrare il
punto di vista ufficiale dello Stato.
Infine, per
quanto
strabiliante
possa
sembrare l'estrema limitatezza della
durata della carica, e seppure non
mancarono gli autorevoli pareri di
senatori particolarmente carismatici che
in più riprese sollecitarono il
Senato ad adeguarsi al resto delle
Cancellerie europee, ritenendo
assolutamente non funzionale e dannoso
che il Segretario di Stato
cambiasse in modo così vorticoso, la
maggioranza dei senatori non sentì mai
la necessità di intervenire per
modificare il brevissimo periodo
temporale.