organi costituzionali

Repubblica Serenissima

Consejo dei Diese

COMPETENZE ISTITUZIONALI

 

le competenze originarie.

la riforma del 1582-83.

la correzione del 1628.

la correzione del 1762.

le competenze definitive.

 

Le competenze originarie.

Il Consejo dei Diese venne istituito con procedura d'urgenza a nemmeno un mese dalla conclusione della congiura Bajamonte Tiepolo del 1310, perché provvedesse a prevenire ed immediatamente reprimere qualsiasi ulteriore tentativo di sovvertimento, interno od esterno, della ragion di stato aristocratica.

Esso divenne il primo esempio al mondo di magistratura con lo specifico carattere di vera e propria polizia politica, e perciò dotato di ampi poteri e di grande discrezionalità d’intervento, tanto che ben presto, da organo originariamente destinato alla vigilanza e alla repressione, la sua necessaria presenza, reclamata beninteso a scopo di prevenzione, si insinuò rapidamente in ogni ganglio della vita politica della Repubblica.

In merito a questa sua oggettiva pervasività, tutte le testimonianze dell’epoca sono concordi nel sostenere che, specialmente nel periodo di tempo che va dalla metà del 1300 fin quasi alla fine del 1500, il Consiglio arrivò ad ingerirsi di tutte quelle materie che, per loro natura, richiedessero particolare segretezza di procedura e rapidità d'esecuzione. In particolare, i settori nei quali l’attività del Consiglio maggiormente si fece sentire, anche esorbitando notevolmente dai propri limiti di competenza, riguardarono: le dichiarazioni di guerra, la stipulazione dei trattati di pace, l’organizzazione della finanza e della pubblica amministrazione, le elezioni per le cariche presso i Reggimenti delle provincie suddite.

La maggior parte degli storici (contemporanei e non), nel tentativo di dare una coerente giustificazione al forte concentramento di potere conseguita da una così ristretta commissione delegata, imboccano, spesso senza esitazione alcuna, la strada della teoria oligarchica. Essa prevede che il Consiglio dei Diese in quegli anni si fosse trasformato nel feudo politico delle più potenti famiglie veneziane, costituendo la realizzazione più o meno mascherata di una oligarchia che però venne d'un soffio evitata grazie alla concordanza politica della maggioranza del patriziato verso la salvaguardia degli ordini repubblicani e delle libere istituzioni.

Questo inquietante scenario, spesso evocato, di una latente oligarchia sempre a stento arginata ma fatalmente arrivata ad infiltratasi ovunque, fu una visione particolarmente cara a storici di una ben definita area, i quali portano a sostegno della loro analisi alcuni esempi comunemente noti: la deposizione del Dose Francesco Foscari, la stipulazione della pace di Ferrara ed infine la cessione della Morea al turco. Facendo leva su questi tre esempi, essi arrivano speditamente a concludere che i Diese rappresentavano in quel momento il centro di un potere occulto che nel suo operare passava tranquillamente sopra la forma ordinaria delle procedure, arrogandosi la facoltà di interferire negli affari degli altri Consigli, emanando a questo scopo Parti e Terminazioni spesso con contenuto in contrasto con quelle approvate dal Mazor Consejo.

La stessa consuetudine che portò alla stabilizzazione della Zonta viene interpretata come la cartina tornasole del trionfo del nerbo oligarchico in seno alla più potente delle commissioni della Repubblica, sottolineando anche che, prevedendo la riunione del Consejo dei Diese e del Minor Consejo, il vero potere veniva in quel tempo gestito a Venezia da non più di una quarantina di nobilomeni.

Non tutto, ma certamente una buona parte di tutto quello che venne detto, e che si continua a ripetere ancora oggi, sull’operato dei Diese, deriva spesso da una superficiale interpretazione dei loro atti abbinata ad una robusta e dolosa mala fede:

  • se per abuso si intende il ricorso all’uso di farsi eleggere per un anno Consigliere ducale e quello seguente Consigliere dei Diese, non è possibile far finta di dimenticare che tanto il Consejo dei Diese, riunito alla sua Zonta, che i Consiglieri ducali, erano organi elettivi, che perciò venivano annualmente sottoposti al suffragio universale del Mazor Consejo.

  • Da questo punto di vista, ne consegue che non esisteva per alcuno la possibilità di rimanere legalmente ai vertici dello Stato oltre i normali limiti imposti dalle leggi, tuttavia se dopo trascorsa la contumacia, qualcuno veniva rieletto alla medesima magistratura, molto probabilmente era perché la maggioranza dei patrizi sentiva (oppure ne era stata convinta dal broglio) che quel candidato era il più indicato a ricoprire nuovamente quella carica delicatissima, per la quale, oltretutto, erano indubbiamente necessarie capacità non comuni.

Non si potrebbe spiegare altrimenti come, pur nel supposto imperversare oligarchico, i semplici nobilomeni del Mazor Consejo trovarono la forza morale e più di essa, la somma dei voti necessari per porre mano, nel 1582, alla grande riforma che, nello specifico, non interessò direttamente il Consejo dei Diese ma proprio la sua Zonta, la quale infatti di lì a poco cessò di esistere. Né si deve peraltro cadere nell’errore di ritenere che si arrivò alla riforma senza che mai, prima, il Mazor Consejo fosse intervenuto per richiamare ufficialmente il Consejo dei Diese a rispettare i limiti fissati dalle leggi. L'organo sovrano dimostrò infatti in più occasioni la consapevolezza che l'attività di quel ristretto Collegio, pure visto così estremamente utile, fosse altrettanto facilmente malleabile da coloro che, pro tempore, erano chiamati a sostenerlo.

In particolare, direttamente riferibile all’ambigua elasticità dei confini del suo campo d’azione, resta indubbiamente la forzata quanto clamorosa deposizione, avvenuta nel 1458, del Dose Francesco Foscari. E’ però curioso notare che, seppure in questa occasione l'energica reazione dell'assemblea sovrana impose ai Diese la severa ammonizione di mai più ingerirsi della Promission Ducale, ripetuta essere esclusiva e gelosissima competenza del Mazor Consejo, rimane però il fatto incontestabile che il Dose deposto non venne reintegrato nella sua carica.

Nel 1468, una Parte approvata dal Mazor Consejo, sancì espressamente quali si dovevano considerare i limiti dei poteri dei Diese: competenti per i casi di ribellione, di tradimento, di perturbamento della quiete dello Stato, di delitti gravi e, riconfermando la necessaria ambiguità propria di un servizio segreto, nelle materie segretissime.

Col passare del tempo altre modifiche ed altri richiami si resero necessari, nel 1487, nel 1504, nel 1505, nel 1510, nel 1514, nel 1518 (quest'ultima addirittura approvata dallo stesso Consejo dei Diese che, di fatto, volle autolimitarsi nei suoi poteri), poi ancora nel 1520 e nel 1527. La sequela delle Parti successivamente approvate altro non rappresenta che la reazione del sistema ai continui sconfinamenti che continuavano ad essere attuati dal Consiglio rispetto ai limiti imposti nel 1468. Tuttavia, ciò che contribuì ad aumentare oltre misura la latente irritazione del Mazor Consejo nei riguardi del Consejo dei Diese ma soprattutto della sua Zonta, furono le conseguenze derivate da un paio di importanti decisioni assunte da quella magistratura, in modo del tutto autonomo, nel 1539 e nel 1540.

Questi due atti, che si andranno poco sotto a sinteticamente descrivere, fanno risaltare nella giusta luce quali fossero le reali possibilità che avevano i Diese e la Zonta di spaziare in qualsiasi settore di affari, cercando veramente questo Consiglio di coniugare le necessità della segretezza e della rapidità nell’azione esecutiva con quelle materie di governo che però, per la loro stessa natura, richiedevano invece una ben più consistente pubblicità ed una allargata discussione politica.

Nel corso dell’anno 1539 dunque, mentre con maggiore intensità andava riprendendo la guerra in levante contro i turchi, suscitò lo sconcerto generale scoprire che i Diese e la Zonta, in cambio del versamento di cospicue somme di denaro necessarie a finanziare la costruzione della flotta, avessero concesso ad un buon numero di giovani patrizi l'ingresso in Mazor Consejo prima del conseguimento dell'età legale.

La lungimiranza dell’intento era senza dubbio rimarchevole, ma gravissima era l’alterazione che ne derivava della composizione organica e degli equilibri politici esistenti in seno all’assemblea sovrana, per di più operata da un Consiglio delegato.

Ancora di più dopo un anno, nel 1540, fu grandissima la riprovazione del patriziato per il fatto che, nuovamente di loro autorità, il Consejo dei Diese e la Zonta avessero non solo firmato la pace coi turchi, all'insaputa dello stesso Senato, ma anche accettato l'aggravio di cedere al nemico le principali piazzeforti della Morea, assieme alle città di Napoli di Romania e di Malvasia.

In seguito a questi eventi, gli storici sono concordi nell'affermare che lo sdegno ed il profondo allarme che queste decisioni causarono nei nobilomeni, trovò modo di indirizzarsi duramente contro l’ormai mal sopportata Zonta, anche se non può essere negato che era palpabile un desiderio collettivo di cogliere l’occasione propizia per un drastico ridimensionamento dei poteri del Consejo dei Diese.

 

La riforma del 1582-83.

A onor del vero una sparuta minoranza di nobilomeni tentò di avviare subito in Mazor Consejo la discussione inerente gli effettivi compiti e poteri dei Diese, ma il tempo della politica, a Venezia mai avventatamente rapido, impiegò ben 42 anni prima che il gruppo tiepidamente insorto quel giorno riuscisse finalmente a trasformarsi in solida maggioranza, giungendo alfine all’anno 1582, quando, durante le elezioni annuali per il rinnovo generale delle cariche, conclusasi la designazione dei Diese, i nomi dei membri della Zonta che venivano mandati in giro nel segreto dell'urna non raggiungevano mai la maggioranza.

Negando sistematicamente i voti necessari ai candidati proposti, il Mazor Consejo fece chiaramente intendere al Governo che i tempi erano ormai definitivamente mutati e che a nessuno sarebbe stato più concesso di sostituirsi al solo, legittimo paron de la Republica. L’acceso dibattito che infiammò in quei giorni l'assemblea, mise in luce che non tanto il Consejo dei Diese, di cui anzi si sottolineava la necessaria attività di prevenzione, ma piuttosto la sua Zonta fosse da abolire in quanto, agendo con funzioni esecutive, era arrivata ad ingerirsi di poteri non mai attribuiti. Vani furono i ripetuti tentativi da parte della fazione che appoggiava la rielezione della Zonta di vincere la resistenza della maggioranza del Mazor Consejo; pochi mesi dopo l'inizio del 1583  la Zonta, non venendo mai formalmente abolita, semplicemente cessò di esistere. Giunto alla sua prima verifica, il Consejo dei Diese ne uscì tutto sommato rafforzato nel prestigio, seppure limitato in un potere che prima pareva assoluto, e pienamente in condizione di poter continuare nel suo operato di prevenzione.

Per quanto riguarda l'ingloriosa fine della Zonta, dato l’alto grado di pragmatismo che permeava ogni azione politica del patriziato veneziano, la causa della sua soppressione più che un abuso coscientemente intrapreso (e in questo caso resterebbe da chiedersi perché si intervenne a sanarlo solamente nel 1582) pare rappresentare invece il frutto di un lentissimo spostamento del baricentro del potere, avvenuto in modo quasi impercettibile, quale era la migliore tradizione del diritto pubblico veneziano. La Zonta, in questo certamente appoggiata dal Consejo dei Diese, potè arrivare ad ingerirsi di talune improprie funzioni  perché in ciò tacitamente acconsentì il Mazor Consejo, fino al compimento di un preciso disegno politico. Gettare lo sguardo oltre il muro della diffamazione che per lungo tempo presentò questo Consiglio come la più abbietta delle istituzioni mai esistita potrebbe riservare delle sorprese.

L'espandersi delle competenze del Consejo dei Diese e la Zonta corrispose storicamente alla crisi politica ed istituzionale che, in riflesso a quella che ancora non aveva finito di travagliare il Mazor Consejo dopo la promulgazione della Parte detta della serrata, investiva ora trasversalmente tutto il sistema.

Con il Mazor Consejo radicalmente riformato, il patriziato si accingeva ora a dare la forma migliore al Consejo dei Pregadi, da poco istituito e destinato, nel disegno politico generale, a dover sostenere le funzioni tipiche di un organo destinato al governo dello Stato. Ciò sia attraverso l'ampliamento considerevole del numero dei suoi membri (in funzione antioligarchica) sia gradatamente delegandogli sempre maggiori funzioni politiche ed amministrative. Non si può però fare a meno di notare che il graduale espandersi del numero dei magistrati ammessi a partecipare ai lavori del Senato, stava portando questa nuova assemblea verso le stesse identiche condizioni in cui già versava il Mazor Consejo (troppo caotico ed inconcludente), anche se effettivamente il Senato, pur se numeroso, era però generalmente formato da uomini molto più abili dei primi nel maneggio della cosa pubblica.

La situazione in cui versava la Repubblica nel periodo compreso tra l’istituzione del Senato ed il momento della sua piena affermazione, non era delle migliori; in quel tempo non era ancora disponibile l'organo tecnico che potesse permettere al Senato di affidare a mani esperte l’istruzione degli affari di sua pertinenza, come già il Minor Consejo significava per il Mazor Consejo, ruolo che più tardi sarà appunto svolto dalla Consulta.

A ben vedere, per poter momentaneamente supplire a questo pericoloso vuoto istituzionale, le relative incombenze sarebbero dovute ricadere sulla Signoria oppure sul Consejo dei Diese, altra alternativa non esisteva. La scelta che alfine venne a cadere sui Diese può essere giustificata anche dal fatto che all'interno di questa ristretta assemblea i Consiglieri ducali già vi accedevano di diritto, anzi, a tenore delle leggi, la loro assenza toglieva legalità alla seduta.

Inoltre con la posteriore aggregazione della Zonta, formata da ben quindici senatori che entrarono così di diritto a partecipare alle deliberazioni dei Diese, si venne formando un organo costituito in totale da trentuno membri, ai quali aggiungere anche il Dose e la presenza obbligatoria dell'Avogador de Comun.

Come non manca di notare l'acuto Maranini, l'unico neo dell'intera operazione risiedeva nel fatto che, non avendo ancora a disposizione la struttura dello Stato un organo che fosse posto in antagonismo istituzionale al Consejo dei Diese (ruolo che più tardi verrà ricoperto dal Senato), praticamente si trovarono condensate insieme sia le funzioni del giudice politico che quelle dell'organo di governo.

Indubbiamente la scelta fatta a suo tempo si prestava a dei forti pericoli, ma venne tutto sommato ben valutata, soprattutto nella prospettiva di evitare inconvenienti anche maggiori, come l'improvviso risorgere di violenze faziose che, questa volta sì, avrebbero irrimediabilmente compromesso i liberi ordini.

Il Mazor Consejo non corse il rischio di farsi strappare, come può apparire ad una frettolosa analisi, il suo potere sovrano da una sua commissione delegata, esso scelse invece di riporre la sicurezza dello Stato nelle mani di in gruppo ristretto di persone delle quali, benchè esso si fidasse oltre misura, poteva comunque disporne a suo piacimento in ogni momento.

Ritornando perciò a questo punto alla teoria oligarchica, volendo spingersi oltre, si può arrivare a considerare l'allargamento dei poteri del Consejo dei Diese non come il segnale di una involuzione oligarchica dell'ordinamento repubblicano, ma invece come la risposta del patriziato veneziano per contrastare duramente alcune anomale tendenze (queste sì oligarchiche!) di una ristretta quanto bellicosa parte della nobiltà. Non è un caso, infatti, che non appena il Senato riuscirà finalmente ad esprimere una  propria commissione tecnica capace di esercitare efficacemente e per sua delega tutte le attività di governo più segrete e delicate, nonché riunita questa alla Serenissima Signoria per dare vita al Pien Colegio, centro preconsultivo dell'attività di Governo, gli sconfinamenti del Consejo dei Diese e la Zonta, diverranno rapidamente impopolari.

Dopo la riforma del 1582, eliminata la Zonta, al Consejo dei Diese furono riconfermate le funzioni di tribunale politico, mentre le ingerenze nel campo dell'attività di governo si vollero ridotte a quella di procurare al Pien Colegio pronte e sicure informazioni segrete su ogni affare, sia d'interesse interno che esterno allo Stato.

Con l'occasione della riforma venne definitivamente alienata dalla sua competenza anche ogni intervento sulla provvisione e la dispensa del denaro pubblico, anzi per stroncare sul nascere ogni possibilità di ritorno, tutte le magistrature che il Consejo dei Diese aveva istituito dal proprio corpo furono da questo momento assegnate all'esclusiva competenza del Senato, al quale venne assegnata la competenza della nomina.

Perentoriamente estromesso da qualsiasi attività di governo, ricondotto alle sue originali funzioni, scomparsa definitivamente la Zonta, il Consejo dei Diese si ritrovò relegato più strettamente in ciò che la riforma promossa dalla maggioranza del Mazor Consejo aveva sancito: tribunale supremo della nobiltà, controllore irreprensibile della vita pubblica e privata dei nobilomeni veneziani.

 

La correzione del 1628.

Se la riforma del 1582 aveva rappresentato un punto d'arrivo importantissimo rispetto al dibattito politico sorto attorno alla necessità di una limitazione dei poteri del Consejo dei Diese, la successiva correzione del 1628, anche se quasi nulla apportò di veramente innovativo, ebbe comunque rilevanza perché oltre a ribadire lo spirito della riforma precedente, dimostrò quanto ancora fosse vigile lo spirito antioligarchico del patriziato, sempre attento nel controllare che le prerogative assegnate al Consiglio, non suscettibili per loro natura ad una definizione perfetta, continuassero tuttavia a rimanere contenute, per quanto possibile, nei limiti che erano assegnati dalle leggi.

Con la correzione del 1628 si rinnovò la raccomandazione al Consiglio di astenersi dall'intervenire in materie sulle quali non poteva vantare alcuna giurisdizione; con l'occasione venne anche definitivamente revocata  la particolare facoltà di poter modificare motu proprio il contenuto delle Parti approvate dal Mazor Consejo; si assegnò al Senato la competenza sulla nomina dei segretari dei Diese e della magistratura degli Essecutori a la Biastemia; infine, fu confermata ai Diese la competenza sulla stampa e la vigilanza sulla moralità dei monasteri.

 

La Correzione del 1762.

Con il 1762 arrivò la terza grande correzione, alla quale, come già si è visto accadde nel 1582, venne sottoposto non tanto il Consejo dei Diese, quanto il supremo Tribunale che per 2/3 veniva da questi eletto: cioè la magistratura degli Inquisidori de Stato (il cui terzo membro era eletto a cura del Minor Consiglio).

Il significato più importante di questa riforma sta nel fatto che essa venne sostenuta nel periodo finale della storia della Repubblica, normalmente indicato dagli storici come di piena decadenza morale e politica della classe detentrice del potere. Le istituzioni vengono infatti generalmente  rappresentate oramai completamente sfibrate del loro originario contenuto democratico, da tempo piegate al volere di una ristretta minoranza di potenti famiglie patrizie.

Stranamente però, all'interno di questo scenario così fortemente caratterizzato da tanta desolata agonia, il Mazor Consejo sentì invece la necessità impellente di intervenire affinché il potere ed i compiti del Consejo dei Diese e degli Inquisidori de Stato venissero ampiamente rimessi in discussione. Il non breve dibattito politico che conseguentemente si sviluppò è riportato, tra gli altri, anche dal Romanin nella sua "Storia documentata di Venezia", dalla cui vivace cronaca, qui di seguito riportata nei suoi passi salienti, risalta una vivacità dialettica ben lungi dal clima di smobilitazione con cui molte volte si dipinge la vita pubblica a Venezia negli anni che precedettero la sua ingloriosa fine.

L'occasione per l'avvio della correzione prese le mosse da un diverbio di ordine sia giuridico chee formale sviluppatosi tra un Avogador de Comun e gli Inquisidori de Stato. A questo proposito, i propugnatori della deriva oligarchica accostano sovente l'Avogador Angelo Querini a quella, anteriore, del Capo dei Diese Renier Zen; tuttavia non pare possa essere sensatamente reclamata alcuna relazione tra l'azione del primo, piccato dal taglio eseguito dagli Inquisidori di una sua sentenza, ed il secondo, intervenuto con generosità per denunciare pubblicamente alcuni pericolosi abusi introdotti dal Dose Giovanni Corner.

Tornando ai fatti, successe che l’Avogador Querini, nell’intento di compiacere una patrizia veneziana, aveva decretato l'espulsione da Venezia di una popolana fabbricante di cuffie, colpevole di aver mal servito la nobildonna; la popolana però, prontamente ricorsa agli Inquisidori de Stato, aveva in seguito ottenuto l'annullamento di quel provvedimento. Questo episodio, tutto sommato di scarsa importanza, rappresentò il primo gradino verso uno screzio che si ingrandì ulteriormente quando, morto un segretario di Palazzo, si accese una violenta disputa tra i sacrestani della chiesa di San Vidal, contrada del defunto, ed i confratelli della schola granda de la Carità, su chi spettasse il diritto di vestirlo (e di percepire le relative mercedi).

I sacrestani ricorsero al Magistrato a la Sanità, che si pronunciò in loro favore con una terminazione che venne rapidamente stampata e divulgata; i confratelli invece ricorsero al parere degli Inquisidori sora le schole grandi che a loro volta, esponendo l’imbarazzo generale delle schole e prefigurando le gravi conseguenze se il diverbio non fosse stato prontamente risolto, sottoposero la questione all'attenzione del Consejo dei Diese, da cui dipendevano.

Istituito anche per prevenire il manifestarsi di elementi di turbativa della pubblica quiete, il Consejo dei Diese decise di tagliare la terminazione del Magistrato a la Sanità, raccomandando ai propri Inquisidori che le schole non avessero più a subire impedimenti nell'esercizio delle loro funzioni. La contraria deliberazione dei Diese offese però profondamente Paolo Renier, uno dei Provedadori a la Sanità, al quale parve arbitraria la decisione del Consejo dei Diese, profondamente lesiva al decoro della magistratura che egli in quel momento rappresentava. Molto probabilmente il Renier scambiò qualche confidenza sul fatto con il Querini e questi, non dimentico della precedente deliberazione degli Inquisidori, decise di intromettere il decreto per sottoporlo al vaglio del Mazor Consejo, giustificando il proprio operato richiamandosi a Parti del 1582 e del 1705, emanate dalla medesima assemblea.

Nell’inevitabile polemica che ne seguì, il Querini, assieme all'altro Avogador, Alvise Zen, venne accusato di  avere in mente di far cadere la Repubblica sotto la podestà tribunizia, assomigliando infatti l'ufficio degli Avogadori agli antichi Tribuni della plebe di Roma, con la differenza che mentre questi provenivano dal popolo, quelli invece erano previsti dalla legge. La fazione avversa sosteneva invece che nulla vi era di più sacro della maestà della legge, se questa fosse stata sapientemente applicata, ma nel contempo essa si poteva trasformare facilmente in arbitrio, con pessime conseguenze, se a gestirla fossero stati chiamati non uomini pregni di esperienza e prudenza, versati nel maneggio degli affari politici, ma soltanto dotti nella facoltà legale e nei giudizi forensi.

L’eco delle considerazioni dell'una e dell'altra parte era causa di perplessità negli Inquisidori de Stato, che di conseguenza ritardavano ogni decisione finale, ravvisando probabilmente uno stesso pericolo sia nel male come nel possibile rimedio. Venendo però informati che il Querini stava ora scopertamente formando una fazione e che la sua pubblica sfrontatezza nei riguardi delle istituzioni cresceva ogni giorno di più, essi deliberarono di farlo prelevare la notte del 12 agosto 1761 dal suo casino in contrada San Moisé e, sotto una buona scorta, lo fecero condurre nel castello di Verona. Non appena il fatto divenne di pubblico dominio, i suoi sostenitori andarono gridando che questa altro non era che un'altra delle violenze che gli Inquisidori da qualche tempo si permettevano, togliendo ad un Avogador, la facoltà di produrre le proprie ragioni davanti al Mazor Consejo, unico paròn de la Republica.

Sottoposti a pesantissima pressione, gli Inquisitori si abbassarono per la prima volta a rendere pubblico conto del loro operato, con gravissimo pregiudizio della stima che fino allora l'ufficio aveva goduto, ma così agendo essi ebbero l'opportunità di dimostrare quale pericolo fosse insito nella mozione che l'Avogador Querini intendeva presentare, spingendo il Mazor Consejo contro di loro e contro il Consejo dei Diese.

Giungeva intanto il giorno 23 agosto, in cui si doveva, come di consuetudine, rinnovare l'elezione della prima cinquina dei nuovi componenti del Consejo dei Diese, ma nessuno dei candidati proposti all'assemblea ottenne la maggioranza dei suffragi richiesta dalla legge. Il Mazor Consejo dimostrava così di non aver affatto digerito il modo in cui gli Inquisidori de Stato avevano proceduto contro l'Avogador Querini, e come già era successo in precedenza nel 1582, la maggioranza ora negava ripetutamente i suoi voti ai candidati, indicando così la propria ferma volontà affinché la questione fosse affrontata con urgenza.

La mancata rielezione di un organo così importante per la struttura costituzionale della Repubblica, indusse la Signoria a radunarsi con urgenza i giorni seguenti, infine deliberando la proposta da farsi in Mazor Consejo di eleggere una commissione formata da cinque Correttori, tale e quale come già si era proceduto nel 1628. Portato il progetto di legge il 3 settembre in Pien Collegio, il sei dello stesso mese esso venne presentato in Mazor Consejo, nel quale venne posto ai voti il giorno nove e fu immediatamente approvato.

Si procedette dunque alla nomina dei Correttori, ma dei primi venti nomi che furono proposti nessuno arrivò alla maggioranza; molti furono i voti che si pronunciarono in favore dello stesso Querini il quale, qualora fosse riuscito nell'elezione, sarebbe stato richiamato da Verona con grande trionfo personale e con insulto agli Inquisidori e quindi, grazie alla sua nomina a Correttore, sarebbe venuto a costituirsi giudice dei suoi stessi giudici. Il maldestro tentativo intrapreso dalla sua fazione di ottenerne l'elezione, suscitò invece grande scandalo nella maggioranza del Mazor Consejo che accantonò definitivamente la possibilità di disporre il rientro dell'Avogador dalla piazzaforte di Verona, dove pertanto rimase confinato.

Dopo un ballottaggio che durò tre giorni, risultarono nominati l'Avogador Alvise Zen (amico del Querini), Pier Antonio Malipiero della Quarantia, il procurator Marco Foscarini, Girolamo Grimani allora Savio Grando ed infine Lorenzo Alessandro Marcello II, Capo del Consejo dei Diese. Lo Zen ed il Malipiero appartenevano alla fazione dei progressisti, il Foscarini, il Grimani ed il Marcello appartenevano invece alla maggioranza conservatrice. Dovendo trascorrere il periodo della cognizione, intervallo di otto giorni interposto fra la presentazione e la discussione ufficiale, i Correttori si dedicarono all'esame dei documenti, quindi la prima riunione preparatoria venne convocata allo scadere del sesto giorno.

Iniziò il Malipiero descrivendo la trasformazione che aveva interessato il Tribunale, divenuto a suo dire un organo più confacente ad un Re, piuttosto che un ad un sistema repubblicano. Priva di contropotere, la magistratura era stata dotata per questo motivo di pochissima autorità,  ma di fronte ai metodi recentemente utilizzati per fare giustizia, il Mazor Consejo aveva delegato i Correttori allo studio delle opportune risoluzioni.

Anche lo Zen ritornò sugli abusi ultimamente commessi, ricordando che la deportazione del Querini era stata comminata senza che questi avesse subito un regolare processo, con ignominia per la carica che ricopriva.

Il Marcello fece osservare la complessità della materia da trattarsi, ritenendo che prima di deliberare fosse necessario documentarsi in modo approfondito. Limitare l'autorità degli Inquisidori ai soli nobilomeni  pareva una strada pericolosa, poiché o il Tribunale continuava ad operare come ora, ed anche se riformato, avrebbe dovuto comunque continuare ad esercitare la propria autorità erga omnes.

Il Grimani sottolineò invece lo sgomento che si sarebbe impossessato dei cittadini messi di fronte ad una differenza di trattamento per i nobilomeni. La direzione proposta era fondato su informazioni incerte, essendo ancora ignota la causa che avevano spinto il Tribunale ad operare in quella maniera nei casi segnalati. Egli non si dichiarava contrario per principio a qualche modifica,  di massima e generale, che però doveva continuare a comprendere tutti i cittadini.

I Correttori tornarono a riunirsi il 4 ottobre seguente e il Malipiero nuovamente rimarcò l'illegalità delle procedure tenute dal Tribunale nell'esercizio delle sue funzioni; gli abusi che derivavano dal lungo rimanere in carica del loro segretario. In questa occasione fece anche osservare la gran quantità di processi ancora giacenti in Consejo dei Diese, situazione che contraddiceva il principio di una sollecita giustizia al fine di rendere temuta la legge.

La discussione dei Correttori non aveva lasciata indifferente l'opinione pubblica a Venezia, anzi di altro non si parlava nelle riunioni di società, nei caffè e nelle famiglie patrizie. In tutta la loro lunga storia, questa infatti era la prima volta che gli Inquisidori de Stato venivano posti ufficialmente sotto esame. In un sistema politico assolutamente non abituato a cambiamenti repentini né mai prima sottoposto alle tentazioni della politica spettacolo, tutti rimanevano con il fiato sospeso, attendendo l'evolversi della situazione.

Dopo lunghe mediazioni, il 18 novembre i Correttori si accordarono su di una bozza di riforma, secondo la quale al Consejo dei Diese e agli Inquisidori, a tenore delle leggi del 27 settembre 1628 e del 30 novembre 1667, si doveva vietare ogni ingerenza nelle materie civili, restando ai soli Capi la facoltà di mettere pace nelle famiglie patrizie. Alla competenza dei Capi e degli Inquisitori sarebbe rimasta l'autorità di punire coloro che nei loro interventi in Senato ed in Mazor Consejo usassero espressioni sediziose. Con riguardo alla pubblica amministrazione, i Correttori individuarono nel  settore della produzione del vetro la necessità che il Consiglio continuasse ad operare per impedire che i tenutari dei segreti dell'Arte vetraria uscissero dai confini dello Stato. Confermati gli antichi, furono studiati nuovi regolamenti in riguardo alla impossibilità di fondare nuove schole, confraternite, od altro (tanto ecclesiastiche quanto secolari) se non previa licenza del Consejo dei Diese, al quale venne pure confermata l'amministrazione dei loro beni e delle loro entrate per mezzo degli Inquisidori a le schole grandi da loro stessi eletti.

Per quanto riguardava i segretari del Consejo dei Diese venne stabilito che la loro nomina dovesse avvenire con il sistema per polizze, come già era d'uso per le elezioni del Senato; si ribadì inoltre che gli stessi non potessero rimanere in carica per più di due anni con altrettanti di contumacia. Quando richiesto, uno dei quattro segretari era distaccato presso gli Inquisidori de Stato, scelto dai Diese a maggioranza semplice nella prima riduzione di ottobre. Le verbalizzazioni nella difesa degli imputati competevano al segretario, ovvero ad altro ministro criminale di provata fiducia.

Fino a questo punto i Correttori si trovarono sostanzialmente concordi. Quando però passarono a discutere su quale dovesse essere l'autorità d'intervento del Consejo dei Diese e degli Inquisitori sui nobilomeni,

In nome della libertà, i due progressisti, lo Zen ed il Malipiero, mettevano in mostra i difetti  e gli arbitrii delle procedure  utilizzate dagli Inquisidori, chiedendo fosse almeno abolita la facoltà del Tribunale di poter intervenire a reprimere le intemperanze e le violenze dei nobilomeni nei confronti dei borghesi e dei popolani. Dal canto loro i tre conservatori, ed in special modo il Foscarini, erano invece orientati per ribadire i limiti che le leggi esistenti imponevano al Consejo dei Diese e agli Inquisitori e quindi alla sostanziale conservazione del Tribunale, unica istituzione che tenesse a freno gli eccessi dei nobilomeni.

Non convenendo in una bozza unitaria da presentare al Mazor Consejo, ciascuna fazione preparò quindi una propria proposta.

Quella dei conservatori chiedeva che al Consejo dei Diese rimanesse assegnata l'autorità sin qui riconosciuta, come stabilito dalle Parti del 1335, 1628 e del 1667; che venisse confermata la facoltà di essere informato sui casi criminali commessi dai nobilomeni, tanto offendenti quanto offesi, potendo trasmettere i casi di minore importanza ai magistrati competenti per il giudizio. Rimanevano invariate le facoltà d'inquisizione sopra i nobilomeni, attività che restava circoscritta entro le materie di competenza; la cura della pubblica tranquillità; la disciplina e la moderazione dei patrizi; la scrupolosa osservanza sulla conservazione del segreto di Stato.

La proposta dei progressisti, assai articolata, chiedeva invece di ampliare ulteriormente i poteri del Consejo dei Diese, riducendo però a nulla le prerogative degli Inquisitori

Sarebbe spettato infatti al Consejo dei Diese ordinare agli Inquisidori quando e su quale materia investigare in caso di grave pericolo per l'integrità dello Stato, ma il Tribunale avrebbe dovuto procedere con regolare processo, con la costituzione di un collegio di difesa ed uno per l'accusa, potendo emettere al massimo sentenza di carcere o di confino in qualunque luogo dello Stato, ovvero più miti deliberazioni.

Veniva inoltre fatta salva l'autorità del Senato e della Serenissima Signoria di poter intervenire nei casi di loro pertinenza, così come restava facoltà degli Avogadori de Comun di procedere, col placito nella competente Quarantia, contro i Rettori delle Provincie suddite. Si confermava l'autorità del Magistrato alla Sanità per le materie a lui delegate, le prerogative degli Essecutori contra la Biastemia, dei Capi de la Quarantia al Criminal, dei Capi del Consejo dei Diese, degli Avogadori de Comun e dei Censori per le responsabilità loro assegnate da Parti approvate del Mazor Consejo e del Consejo dei Diese.

Agli Inquisitori rimaneva assegnata la facoltà di promuovere inchieste sopra le trasgressioni dei nobilomeni, ancorché si trattasse di magistrati, potendoli trarre anche in arresto, ma dovendo poi immediatamente depositare il provvedimento in Consejo dei Diese, perché giudicasse. Agli Inquisitori rimaneva assegnata la competenza sulla disciplina dei cittadini tanto nella vita pubblica quanto nella privata, di reprimere i disordini, le trasgressioni ed i cattivi esempi; di punire le mancanze dei nobilomeni con l'esilio al massimo di due anni dalla città di Venezia, ovvero con il confino ugualmente di due anni in qualche luogo della Terra Ferma, e non altrove. In caso gli Inquisitori avessero trovato la colpa meritevole di maggior pena, erano tenuti a riferire le loro osservazioni al Consejo dei Diese, perchè da quello fosse esaminato la richiesta e tratte le dovute conseguenze.

Che i Procuratori de San Marco, gli Avogadori de Comun e tutte le altre cariche che assistevano in figura di presidenza alle riduzioni del Mazor Consejo, o che avessero il diritto di por Parte in questo consesso, in caso di trasgressione fossero soggetti al giudizio del Consejo dei Diese nella forma sopra indicata, né potessero procedere gli Inquisidori se non uniti ai Diese.

Predisposti i due progetti, il 16 gennaio 1762 il Pien Colegio ne ebbe lettura dai propri segretari, cui sarebbe seguita la consueta redazione nella forma tecnica della Parte per la presentazione al dibattito del Mazor Consejo. Invece, non appena conclusa la riduzione, fu comunicato ai Correttori che la Signoria opinava contro ambedue le proposte presentate, e tosto condotti in presenza dell’alto ufficio vennero rimproverati di non aver inteso l'incarico loro assegnato, essendosi spinti troppo oltre la direttiva dell'organo sovrano. La Signoria chiese che le due proposte fossero ufficialmente ritirate, dichiarandosi disposta a concedere altri dieci giorni di tempo affinché fosse predisposta una bozza nuova ed unitaria. Il deciso intervento intrapreso dalla Signoria fu probabilmente dettato dalla consapevolezza della pericolosità che una divisione così netta fra i Correttori su di una materia oltremodo delicatissima si sarebbe riflettuta al momento dell'approvazione di una o dell'altra proposta, con l'insorgere della fazione battuta e conseguente strascico di malcontenti e rancori assai difficilmente conciliabili.

Consci delle proprie prerogative, i Correttori rifiutarono però unanimamente di procedere all'accantonamento delle rispettive istanze ed informarono la Signoria in merito al loro intento di giungere in Mazor Consejo. così come si erano presentati in Pien Colegio. Non potendo impedirlo, da parte sua la Signoria acconsentì.

Il 17 gennaio 1762, i Correttori entravano in Mazor Consejo e nel profondo silenzio della pur numerosissima adunanza, i segretari iniziarono la lettura delle due proposte dei Correttori che, come era stato loro preannunciato, furono subito seguite dalle osservazioni contrarie dei Consiglieri Ducali Troilo Malipiero, Paolo Renier e Gasparo Moro e dai due Capi de la Quarantia al Criminal Alvise Foscari e Pietro Bonfadini. Dovendo frapporsi il consueto periodo della cognizione, l'inizio della discussione venne fissato trascorsi otto giorni.

Il 24 gennaio vennero nuovamente lette al Mazor Consejo le due proposte dei Correttori, nonchè le opposizioni verbalizzate dei Consiglieri e dei Capi. Salì poi il pulpito il Consigliere Malipiero esponendo nuovamente quanto già egli aveva illustrato in Pien Collegio relativamente  all'inopportunità del lavoro svolto dai Correttori, facendo riflettere l'assemblea sulla differenza fra Correttori dei capitolari e Correttori alle leggi. Era di pertinenza dei primi di riformare i capitolari adeguandoli alle norme di leggi già approvate; ai secondi spettava invece proporre nuove leggi, oppure la correzione di  esistenti;  da ciò discendeva che gli attuali Correttori potessero proporre al massimo la regolazione del capitolare del Consejo dei Diese in base alle leggi vigenti, e non ad arbitrio dei Correttori stessi.

Al Malipiero rispose il Foscarini, che confutò dettagliatamente l'idea che le proposte dei Correttori si dovessero modellare seguendo le leggi vigenti. La seduta venne aggiornata al giorno seguente, essendosi già iscritti  a parlare per una replica il Consigliere Malipiero ed il Correttore Zeno.

Il giorno seguente invece il Malipiero si ritirò, dichiarando anche lo Scontro della Signoria venisse pure sottoposto a ballottaggio senz'altro indugio. Vennero perciò mandati in giro i bossoli e la Parte dei Consiglieri ducali ebbe 127 voti de Parte, 430 voti de Non e 296 Non sinceri, onde i Correttori ebbero piena vittoria, talché fu preso che dovessero portare senz'altro le loro proposte alla discussione ed ai suffragi.

Improvvisamente dunque, il Consigliere ducale al quale spettava entrare in contraddittorio con il Correttore rinunciò alla propria replica, indebolendo la proposta della Signoria che, come si è veduto, ne uscì sconfitta.

Quale fu la motivazione politica che spinse la Signoria a cambiare repentinamente la propria tattica e recedere dalle posizioni in precedenza assunte? Molto probabilmente essa non volle varcare quello che considerava un limite oltre il quale ciò che rappresentava la propria visione poteva essere fraintesa come un aperto sostegno dello status‑quo, quindi in contrasto con il volere del Mazor Consejo che, in definitiva, una correzione aveva esplicitamente ordinato.

Arrivò quindi la domenica del 7 marzo, giorno in cui si doveva iniziare in Mazor Consejo la discussione sulle proposte presentate dai Correttori.

Prese la parola il progressista Correttore Zen, il quale si volse contro la proposta presentata dagli altri tre Correttori, definendola foriera di alcune novità pericolose, e rivolte solo a catturare i consensi del Mazor Consejo. Egli illustrò la propria idea di libertà civile, dove gli uomini comandavano in vigore delle leggi e non per l'arbitrio proprio ed era questa a suo avviso la differenza fondamentale tra Regno e Repubblica, perché nel Regno comanda uno solo e la sua volontà è la legge, mentre nella Repubblica invece la legge è sopra di tutti e tutti indistintamente sono tenuti ad osservarla. Più uno Stato libero si allontana dalla pluralità, tanto più esso si avvicina alla monarchia, per impedire la qual cosa era stata appunto istituita la sovranità del Mazor Consejo, strutturando lo Stato veneziano per modo che l'aristocrazia perpetuamente si alternasse in posizione di comando e di soggezione. Lo Zen passò quindi ad lo sviluppo costituzionale del Consejo dei Diese e delle sue prerogative; si volse poi agli Inquisidori de Stato, il suo vero obiettivo, lamentando ora la loro incerta origine, le facoltà non mai ben definite, l'ampliamento intervenuto rispetto alla ristretta autorità iniziale unita all’obbligo assoluto di riferire al Consejo dei Diese di ogni loro atto.

Fattasi l'ora tarda, fu sciolta l'adunanza, mentre lo Zen chiese licenza di poter continuare il suo intervento il giorno seguente, cosa che avvenne quando egli, proseguendo nella sua esposizione, non tralasciò di ricordare la vicenda del bando dalla città inflitto al Querini e continuò sostenendo che questi gravi arbìtrii si volevano dagli altri tre Correttori autorizzare in perpetuo.

Concluse infine affermando che la proposta sua e del suo collega, pur preservando l'autorità del Consejo dei Diese e limitando quella degli Inquisitori, lasciava tuttavia intatta la struttura costituzionale della Repubblica; mentre invece la proposta dei tre Correttori, rendendo indipendenti gli Inquisidori dal Consejo dei Diese, toglieva ogni possibilità di controllo e collocava nell'incertezza giuridica un rito giudiziario sconosciuto ai più, ponendo in grave pericolo la libertà, i beni, l'onore e la vita di tutti quelli che in quel mentre l'avevano tranquillamente ascoltato.

La replica spettò al Foscarini il quale, salito il pulpito, iniziò l’intervento avvisando che avrebbe potuto con estrema facilità confutare la teoria dell'avversario, ma poiché l'ora era tarda egli si riservò di trattare la materia nel giorno seguente.

La mattina del 10 il Foscarini prese a dimostrare quanto aveva asserito, e ricostruita la storia del Consejo dei Diese in modo assai più preciso e particolareggiato che non avesse fatto lo Zen, venne quindi ad affrontare la parte viva del contendere.

Egli affermò che non nelle intenzioni dei tre Correttori, ma piuttosto in quelle dei due stava la vera novità, che questi ultimi intendevano, oggi, abolire gli Inquisidori de Stato per abolire, domani, il Consejo dei Diese mirando, sotto il pretesto della libertà, alla dissoluzione dello Stato.

Per meglio chiarire il concetto, egli fece leggere alcune Parti dalle quali risultava che:

  • risiedeva nel Consejo dei Diese una facoltà invero amplissima, quanto era certo che essa derivava dalla delega del Mazor Consejo;

  • che da questa autorità delegata derivava la facoltà per i Diese di trasmettere ad altri organi le incombenze che avevano ritenuto necessario non trattenere;

  • che tale facoltà fu in seguito riconosciuta legittima dal Mazor Consejo per mezzo di alcuni suoi decreti, in special modo quelli del 14 settembre 1628 e 30 novembre 1667;

  • che quando il Mazor Consejo si indirizzava al Consejo dei Diese esso si rivolgeva a quel consesso costituito al completo in tutti i suoi ordini, facoltà e magistrati.

Dopo ciò, il Foscarini si spostò ad esaminare la proposta dei due Correttori, dimostrandone gli svantaggi e i pericoli che sarebbero derivati dall’accettazione di una così inedita (sotto il profilo giuridico) distinzione tra nobilomeni ed i cittadini; sostenendo come fosse l’imparziale applicazione della giustizia la base sulla quale poggiava il rispetto che la Repubblica godeva da parte dei sudditi. Il timore di possibili abusi da parte degli Inquisidori, esagerati alquanto dallo Zen, sarebbe venuto a cessare quando si fosse considerato che la loro autorità non durava più di un anno, che ciascuno di essi poteva esser rimosso dall'incarico in qualsiasi riduzione del Mazor Consejo, che detta istituzione non aveva assegnato né denaro né milizia, dovendo ufficialmente richiedere ciò di cui abbisognava di volta in volta. Il Foscarini sottolineò anche la palese inutilità dell'incarico che i due Correttori volevano lasciare al Tribunale, cioè di indagare e quindi riferire al Consejo dei Diese, poiché così facendo l'istruzione dei processi perdeva immediatamente tutta la propria segretezza; ricordò che già altre repubbliche erano perite perché mancanti appunto di una forza di polizia attiva e segreta, e che solo la mente dei Veneziani aveva saputo collocare tale opportuno istituto in un angolo della propria aristocrazia, senza timore di alcun pericolo oligarchico. Scegliendo di eliminare la segretezza del rito giudiziale, nessuno si sarebbe più esposto a denunciare azioni criminose, ed anche Machiavelli ricordava spesso come una delle cause che pose fine alla Repubblica di Firenze fu proprio quella di non essersi trovati più accusatori di misfatti commessi dalle famiglie più potenti. Così dicendo, il Foscarini concluse il suo intervento.

Lo Zen non perse tempo e, salito l’arengo, ribatté che anche Montesquieu aveva definito tirannico il Tribunale degli Inquisidori, rassicurando inoltre che le sue intenzioni e quelle del collega erano invece orientate a ricondurre l'istituzione entro gli antichi limiti. Egli volle ricordare nuovamente che si stava battendo perché al Consejo dei Diese venisse ricondotta la perduta autorità, affinché si decretassero leggi contro i vizi predominanti, contro i divulgatori dei segreti di Stato, ma che la possibilità d'intervento fosse scrupolosamente regolata dalla legge, non dall'arbitrio degli uomini, che perciò l'attuale rito giudiziale fosse reso palese, non tenuto segreto, che fosse permessa la difesa e che si riconoscesse l’istituto del confronto con l'accusatore.

A queste ardite parole fece riscontro il mormorio indignato dell'assemblea ma per calmare la generale inquietudine si levò a parlare il Correttore Marcello, il quale non negò che quanto era stato asserito dal collega fosse riscontrabile nelle carte dell'archivio degli Inquisidori, ma sottolineò con vigore che il Tribunale, con questo agire misterioso, aveva sin qui protetto con successo la Repubblica, e che in definitiva l'applicazione del rito segreto preservava la classe aristocratica dal disonore di un processo pubblico, senza però che i rei sfuggissero al giusto castigo.

Marcantonio Zorzi, membro della Quarantia al Criminal, creduto fino ad allora contrario agli Inquisidori, con generale ammirazione prese a dimostrare come non sempre fosse utile alla causa della giustizia applicare le formalità previste dalle leggi. Contro i casi di congiura, di ribellione, di segreta corrispondenza con forestieri, di occulta violenza contro l'onore o la vita di un cittadino, lo Stato doveva poter intervenire con sollecitudine, non potendo accordare nessuna possibilità di sviluppo ai disegni di sovversione, che nel mentre i giudici si trovavano impegnati ad accertare le varie responsabilità, sarebbero giunti a rovinare la Repubblica. A questo proposito egli portò come illuminanti gli esempi della congiura di Bajamonte Tiepolo e del Dose Marin Falier, rimarcando la pericolosità di imporre agli Inquisidori un limite di condanna di soli due anni, poiché di fronte a simile risibile condanna, ciascuno avrebbe preso animo nel delinquere.

Bello fu il discorso del Grimani, che prese a parlare dopo il Zorzi, egli con grazia ed eleganza ricapitolò quanto era stato esposto contro la proposizione presentata dai due Correttori, sostenendo con tutta la forza derivantegli dalla propria eloquenza le ragioni dei tre.

Generale e profondo si fece il silenzio quando, lasciato ad un tratto il suo banco, andò ad occupare il pulpito il Consigliere Ducale Paolo Renier il quale, dopo un’appropriata introduzione, prese a confutare con determinazione sia l'una che l'altra proposta. Qualificò quella dei due inutile e forse anche nociva, perchè introducente metodi e facoltà del tutto nuove senza che ve ne fosse davvero bisogno, mentre si erano dimostrate già sufficienti le regolamentazioni esistenti. La proposta dei tre era a suo dire di un danno anche maggiore, poiché consacrava il Tribunale esente da controlli, con il pericolo della costituzione di un'oligarchia.

Egli sostenne che la segretezza di alcune delle fasi del rito degli Inquisidori, aveva mantenuto finora a livelli più che accettabili la moralità del gruppo dirigente, con la conseguente obbedienza e rispetto del popolo e la grande stima goduta presso gli stati esteri. Tutte queste conquiste sarebbero state cancellate in un minuto, travolte dalla licenziosità che ne sarebbe derivata non appena si fosse abolito quell'alone di mistero che circondava le procedure del Tribunale. Infine il Renier ricordò che in Signoria egli si era fermamente opposto all'elezione dei cinque Correttori e proponendo il richiamo a Venezia del Querini, affinché contro lo stesso venissero applicate le procedure previste dalle leggi in vigore, Ora nuovamente egli chiedeva il rientro dell'esiliato affinché, rimesso alla competenza del Consejo dei Diese, venisse formalmente processato per essere regolarmente punito se colpevole, oppure assolto se innocente.

Seppure l’intervento del Renier venne vivacemente applaudito per l’indubbia rigorosità dell'impostazione, tuttavia esso non mancò di sollevare anche perplessità in ordine alla facoltà che il Consigliere si era arrogato di avanzare una terza soluzione, alternativa tra quelle in discussione, quasi egli si fosse autoproclamato in sesto Correttore. La sua inedita proposta si poneva in aperto contrasto con quanto richiesto dal  Mazor Consejo e di questo errore se ne avvide  il Renier il quale prontamente dichiarò che, nonostante quanto aveva asserito, non competeva certo ad un Consigliere sollevarsi ad arbitro, ritirando così la richiesta di richiamare il Querini a Venezia.

Seguirono altri interventi, quindi prese la parola per ultimo il Foscarini e dopo aver anch’egli variamente argomentato, propose che l'assemblea passasse ai voti, cosa che la maggioranza approvò ritenendo chiuso il dibattito.

Era il giorno 16 marzo 1762 e fatto sedere ciascun nobilomo ai banchi, la Signoria mandò in giro i bossoli, ognuno dei quali era accompagnato da uno dei notai ducali che consegnava di propria mano ad ogni patrizio la ballotta del voto, per evitare ogni possibile frode.

Raccolti i suffragi in quattro cassette (due di colore bianco, per i voti affermativi complessivi espressi per le due proposizioni dei Correttori, una verde per i voti negativi contro entrambe, infine una rossa per i voti non sinceri per entrambe le proposte), se presa separatamente l'esitò avrebbe dichiarato vincitrice la Parte dei tre, ma poichè essa non superava la somma dei voti negativi, dei non sinceri e dei voti affermativi espressi a favore della proposta dei due, venne fatto un nuovo ballottaggio per il sì o per il no. La proposta dei tre vinse anche questa volta, ma solamente con solo due ballotte di scarto, dal che nacque viva discussione sull'opportunità che una così risicata maggioranza potesse essere considerata sufficiente per l’approvazione di una Parte così importante, oppure se si dovesse sottoporre le due proposte ad una nuovo ballottaggio.

La maggioranza che si era saldamente coagulata attorno ai tre Correttori rimase tale ed impose che la Parte fosse considerata definitivamente approvata; mentre ciò avveniva, la notizia venne immediatamente comunicata al popolo che numerosissimo stava in attesa dell'esito gremendo la piazza ed anche il cortile del palazzo. La forte tensione che serpeggiava tra la folla si sciolse all'istante e tutte le contrade della città risuonarono di plausi e di canti, specialmente intorno ai palazzi del Foscarini, del Marcello e del Grimani, dove anche si fecero fuochi d'artificio e baldoria, mentre alcuni smodati tentarono invece di incendiare le case dello Zen ed anche quella del Renier, salvati a loro volta dalla prontezza degli Inquisidori de Stato, che avevano provveduto per tempo a far mandare sul posto drappelli di guardie ben armate, a tutela delle persone e delle loro proprietà.

In conclusione, seppure dal punto di vista meramente numerico la fazione conservatrice vinse di strettissima misura, dal punto di vista politico la maggioranza dei nobilomeni scelse di sostenere con coerenza l'operato sia del Consejo dei Diese ma anche e soprattutto quello degli Inquisidori de Stato, riconfermandone pienamente l'autorità, il prestigio e la necessità del perdurare dell'opera di sorveglianza politica a prevenzione di disordini ed abusi. Ebbe così termine la correzione del 1762 e scegliendo di citare in chiusura ancora le parole del Romanin, al quale appartiene la cronaca di quei giorni, sembra ogni altro commento superfluo:

“Molti volevano salvo l'uomo, e molti il magistrato, ma con mezzi tanto contrari, che non era possibile di salvar l'uno senza la rovina dell'altro. Nella occorrenza però di due danni, il pubblico si riguardava come il maggiore ed a quello necessariamente era forza che cedesse la causa privata”.

 

Le competenze definitive.

Dopo aver attraversato tre importanti correzioni, le competenze del Consejo dei Diese, così riformate e corrette, rimarranno tali fino alla fine della Repubblica.

  • supremo giudice politico della nobiltà, ed anzi dal 1624 e con ulteriore conferma del 1762, esso divenne il giudice esclusivo del patriziato, dopo che alcune facoltà in questo settore furono definitivamente alienate dalla competenza della Quarantia al Criminal;

  • giurisdizione su tutti i fatti criminosi più gravi, anche commessi da non nobili (spionaggio, falsificazioni, colpe nefande) ritenendo giustamente che ogni delitto efferato presenti anche un aspetto politico, specie per il perturbamento che esso provoca nelle coscienze dei cittadini;

  • competenza su ogni caso di fellonia, setta, congiura, diffusione volontaria di notizie false;

  • facoltà di controllo su tutte le magistrature dello Stato e possibilità di perseguire i rei colpevoli di lesioni al pubblico interesse, infedeltà, intese con stranieri, diffusione di segreti d'ufficio;

  • riconosciuta autorità disciplinare e giudiziaria su tutta la Cancelleria ducale;

  • dipendevano direttamente dall’autorità del consiglio gli atti delle corporazioni delle sei (poi sette) schole grandi della città;

  • supremo giudice disciplinare della nobiltà, su tutti i casi di risse ed ingiurie tra patrizi, imponendo sanzioni gravissime in caso di mancata immediata e pubblica riconciliazione;

  • lotta contro il broglio, ossia contro ogni forma di intrigo politico che in qualche modo potesse limitare l'assoluta indipendenza di coscienza del patrizio nel momento dell'esercizio della sovranità. A questo proposito, non solo veniva perseguita ogni grossolana forma di corruzione, come le lusinghe, le intimidazioni, le elargizioni, ma anche le forme più sottili ed indirette: il voto annunciato pubblicamente da nobili autorevoli, la propaganda elettorale, le congratulazioni con gli eletti, le lodi durante le pubbliche discussioni, le raccomandazioni per ottenere cariche;

  • attribuzioni di polizia civile, con provvedimenti per la tutela del buon ordine sia nei consigli politici che in città quali: divieto assoluto di portare armi, divieto di duellare, contro la violenza nelle barche, prevenire gli incendi;

  • competenza sulla protezione della Zecca, sulla conservazione dei boschi pubblici e sulla regolamentazione dell'usufrutto di quelli privati, sulla concessione e sfruttamento delle miniere, sulla difesa dei segreti industriali dell’arte vetraria;

  • qualche competenza sul buon costume; vari decreti furono emanati infatti sulle fogge dei vestiti, gli spettacoli, i teatri, le questue, gli scandali nelle chiese, nei monasteri, sulle prostitute.

 


 

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