Le competenze originarie.
Il
Consejo dei Diese venne istituito
con procedura d'urgenza a nemmeno
un mese dalla conclusione della
congiura Bajamonte Tiepolo del
1310, perché provvedesse a
prevenire ed immediatamente
reprimere qualsiasi ulteriore tentativo
di sovvertimento, interno od
esterno, della ragion di
stato aristocratica.
Esso divenne il primo esempio al
mondo di magistratura con
lo specifico carattere di vera e
propria polizia politica, e
perciò
dotato di ampi poteri e di
grande discrezionalità
d’intervento, tanto che ben
presto, da organo originariamente
destinato alla vigilanza e alla
repressione, la sua
necessaria presenza, reclamata beninteso
a scopo di prevenzione, si
insinuò rapidamente in ogni
ganglio della vita politica della
Repubblica.
In merito a questa sua oggettiva
pervasività, tutte le
testimonianze dell’epoca sono
concordi nel sostenere che,
specialmente nel periodo di tempo
che va dalla metà del 1300 fin
quasi alla fine del 1500,
il Consiglio
arrivò ad ingerirsi di tutte quelle
materie che, per loro natura,
richiedessero particolare
segretezza di procedura e rapidità
d'esecuzione.
In particolare, i settori nei quali
l’attività del Consiglio
maggiormente si fece sentire,
anche esorbitando notevolmente dai
propri limiti di competenza,
riguardarono: le dichiarazioni di
guerra, la stipulazione dei
trattati di pace, l’organizzazione
della finanza e della pubblica
amministrazione, le elezioni per
le cariche presso i Reggimenti delle provincie
suddite.
La maggior parte degli storici
(contemporanei e non), nel
tentativo di dare una coerente
giustificazione al forte
concentramento di potere
conseguita da una così ristretta commissione
delegata,
imboccano, spesso senza esitazione
alcuna, la strada della teoria
oligarchica. Essa prevede che il
Consiglio dei Diese in quegli anni
si fosse trasformato nel
feudo politico delle più potenti
famiglie veneziane, costituendo la
realizzazione più o meno
mascherata di una oligarchia che
però venne d'un soffio
evitata grazie alla
concordanza politica della
maggioranza del patriziato verso
la salvaguardia degli ordini repubblicani e
delle
libere istituzioni.
Questo inquietante scenario,
spesso evocato, di una latente oligarchia
sempre a stento arginata ma
fatalmente arrivata ad infiltratasi
ovunque, fu una visione
particolarmente cara a storici di una
ben definita area, i quali portano a
sostegno della loro analisi alcuni
esempi comunemente noti: la
deposizione del Dose Francesco
Foscari, la stipulazione della
pace di Ferrara ed infine la cessione
della Morea al turco.
Facendo leva su questi tre esempi,
essi arrivano speditamente a
concludere che i Diese
rappresentavano in quel momento il centro di un
potere occulto che nel suo operare
passava tranquillamente sopra la forma
ordinaria delle procedure,
arrogandosi la facoltà
di interferire negli affari degli
altri Consigli, emanando a questo
scopo Parti e Terminazioni
spesso con contenuto in
contrasto con quelle approvate dal
Mazor Consejo.
La stessa consuetudine che portò
alla stabilizzazione della Zonta
viene interpretata come
la cartina tornasole del trionfo
del nerbo oligarchico in seno alla
più potente delle commissioni
della Repubblica, sottolineando
anche che, prevedendo la riunione del
Consejo dei Diese
e del Minor Consejo, il vero
potere veniva in quel tempo
gestito a Venezia da non più di
una quarantina di nobilomeni.
Non
tutto, ma certamente una buona parte di
tutto quello che venne detto, e
che si continua a ripetere ancora
oggi, sull’operato dei Diese,
deriva spesso da una superficiale
interpretazione dei loro atti
abbinata ad una robusta e dolosa
mala fede:
-
se per abuso si intende
il ricorso all’uso di farsi
eleggere per un anno Consigliere
ducale e quello seguente
Consigliere dei Diese, non è
possibile far finta di dimenticare
che tanto il Consejo dei Diese,
riunito alla sua Zonta, che i
Consiglieri ducali, erano organi elettivi, che perciò
venivano annualmente sottoposti al
suffragio universale del Mazor
Consejo.
-
Da questo punto di vista, ne
consegue che non esisteva per
alcuno la possibilità di rimanere
legalmente ai vertici dello Stato
oltre i normali limiti imposti
dalle leggi, tuttavia se dopo
trascorsa la contumacia,
qualcuno veniva rieletto alla
medesima magistratura, molto
probabilmente era perché la
maggioranza dei patrizi sentiva
(oppure ne era stata convinta dal
broglio) che quel candidato
era il più indicato a ricoprire
nuovamente quella carica
delicatissima, per la quale,
oltretutto, erano indubbiamente
necessarie capacità non comuni.
Non si potrebbe spiegare
altrimenti come, pur nel supposto
imperversare oligarchico, i
semplici nobilomeni del Mazor Consejo
trovarono la forza morale e più
di essa, la somma dei voti
necessari per
porre mano, nel 1582, alla
grande riforma che, nello
specifico, non interessò
direttamente il Consejo dei Diese
ma proprio la sua Zonta, la
quale infatti di lì a poco cessò
di esistere. Né si deve peraltro cadere
nell’errore di ritenere che si
arrivò alla riforma senza
che mai, prima, il Mazor Consejo
fosse intervenuto per richiamare
ufficialmente il Consejo dei Diese
a rispettare i limiti fissati
dalle leggi. L'organo sovrano
dimostrò infatti in più occasioni
la consapevolezza che
l'attività di quel ristretto
Collegio, pure visto così estremamente
utile, fosse altrettanto
facilmente malleabile da coloro
che, pro tempore, erano
chiamati a sostenerlo.
In particolare, direttamente
riferibile all’ambigua elasticità
dei confini del suo campo d’azione, resta indubbiamente
la forzata quanto clamorosa
deposizione, avvenuta nel 1458,
del Dose Francesco Foscari.
E’ però curioso notare che,
seppure in questa occasione l'energica
reazione dell'assemblea sovrana
impose ai Diese la severa
ammonizione di mai più ingerirsi
della Promission
Ducale, ripetuta essere esclusiva e gelosissima
competenza del Mazor Consejo,
rimane però il fatto
incontestabile
che il Dose deposto non
venne reintegrato nella
sua carica.
Nel
1468, una Parte
approvata dal Mazor Consejo, sancì
espressamente quali si dovevano
considerare i limiti dei poteri
dei Diese: competenti per i casi
di ribellione, di tradimento, di
perturbamento della quiete dello
Stato, di delitti gravi e,
riconfermando la necessaria
ambiguità propria di un servizio
segreto, nelle materie
segretissime.
Col passare del tempo altre modifiche ed altri
richiami si resero necessari, nel
1487, nel 1504, nel 1505, nel
1510, nel 1514, nel 1518 (quest'ultima
addirittura approvata dallo stesso
Consejo dei Diese che, di fatto,
volle autolimitarsi nei suoi
poteri), poi ancora nel 1520 e nel
1527.
La sequela delle Parti
successivamente approvate altro
non rappresenta che la
reazione del sistema ai continui
sconfinamenti che continuavano ad
essere attuati dal Consiglio rispetto
ai limiti imposti nel 1468.
Tuttavia, ciò che
contribuì ad aumentare oltre
misura la latente irritazione
del Mazor Consejo nei riguardi del
Consejo dei Diese ma soprattutto
della sua Zonta, furono le
conseguenze derivate da un paio di
importanti decisioni assunte da
quella magistratura, in modo del
tutto autonomo, nel 1539 e nel
1540.
Questi due atti, che si andranno
poco sotto a sinteticamente
descrivere, fanno risaltare nella
giusta luce quali fossero le reali
possibilità che avevano i Diese e
la Zonta di spaziare in qualsiasi
settore di affari, cercando
veramente questo Consiglio di
coniugare le necessità della
segretezza e della rapidità
nell’azione esecutiva con quelle
materie di governo che però, per
la loro stessa natura,
richiedevano invece una ben più
consistente pubblicità ed una
allargata discussione politica.
Nel corso dell’anno 1539 dunque,
mentre con maggiore intensità
andava riprendendo la guerra in
levante contro i turchi, suscitò
lo sconcerto generale scoprire che
i Diese e la Zonta, in cambio del
versamento di cospicue somme di
denaro necessarie a finanziare la
costruzione della flotta, avessero
concesso ad un buon numero di
giovani patrizi l'ingresso in
Mazor Consejo prima del
conseguimento dell'età legale.
La lungimiranza dell’intento era
senza dubbio rimarchevole, ma
gravissima era l’alterazione che
ne derivava della composizione
organica e degli equilibri
politici esistenti in seno
all’assemblea sovrana, per di più
operata da un Consiglio delegato.
Ancora di più dopo un anno, nel
1540, fu
grandissima la riprovazione del
patriziato per il fatto che,
nuovamente di loro autorità, il Consejo dei Diese e la Zonta
avessero non solo firmato la pace
coi turchi, all'insaputa dello
stesso Senato, ma anche accettato
l'aggravio di cedere al nemico le
principali piazzeforti della
Morea, assieme alle città di
Napoli di Romania e di Malvasia.
In seguito a questi eventi, gli
storici sono concordi
nell'affermare che lo
sdegno ed il profondo
allarme che queste decisioni
causarono nei nobilomeni, trovò modo di
indirizzarsi duramente contro
l’ormai mal sopportata Zonta,
anche se non può essere negato che
era palpabile un desiderio
collettivo di cogliere l’occasione
propizia per un drastico
ridimensionamento dei poteri del
Consejo dei Diese.
La riforma del 1582-83.
A
onor del vero una sparuta minoranza di
nobilomeni
tentò di avviare subito in Mazor
Consejo la discussione
inerente gli effettivi
compiti e poteri dei Diese, ma il tempo della
politica, a Venezia mai
avventatamente rapido, impiegò ben
42 anni prima che il gruppo tiepidamente insorto quel
giorno riuscisse finalmente a
trasformarsi in solida
maggioranza, giungendo alfine
all’anno 1582, quando, durante le
elezioni annuali per il rinnovo
generale delle cariche, conclusasi la
designazione dei Diese, i
nomi dei membri della Zonta
che venivano mandati in giro
nel segreto dell'urna non
raggiungevano mai la maggioranza.
Negando sistematicamente i voti
necessari ai
candidati proposti, il Mazor
Consejo fece chiaramente
intendere al Governo che i tempi erano ormai
definitivamente mutati e che a
nessuno sarebbe stato più concesso
di sostituirsi al solo, legittimo
paron de la Republica.
L’acceso dibattito che infiammò in
quei giorni l'assemblea, mise
in luce che non
tanto il Consejo dei Diese,
di cui anzi si sottolineava
la necessaria attività di
prevenzione, ma piuttosto la sua
Zonta fosse da abolire
in quanto, agendo con funzioni
esecutive, era arrivata ad
ingerirsi di poteri non mai
attribuiti. Vani furono i ripetuti
tentativi da parte della
fazione che appoggiava la
rielezione della Zonta di
vincere la resistenza della
maggioranza del Mazor Consejo;
pochi mesi dopo l'inizio del 1583 la
Zonta, non
venendo mai formalmente abolita, semplicemente
cessò di esistere. Giunto alla sua prima
verifica, il Consejo dei Diese ne
uscì tutto sommato rafforzato nel
prestigio, seppure limitato in un
potere che prima pareva assoluto,
e pienamente in
condizione di poter continuare nel suo
operato di prevenzione.
Per
quanto riguarda l'ingloriosa fine
della Zonta, dato l’alto
grado di pragmatismo che permeava
ogni azione politica del
patriziato veneziano, la causa
della sua soppressione più che
un abuso coscientemente intrapreso
(e in questo caso resterebbe da
chiedersi perché si intervenne a
sanarlo solamente nel 1582) pare
rappresentare invece il frutto di un
lentissimo spostamento del
baricentro del potere, avvenuto in
modo quasi impercettibile, quale
era la migliore tradizione del
diritto pubblico veneziano. La Zonta, in questo certamente
appoggiata dal Consejo dei Diese,
potè arrivare ad
ingerirsi di talune improprie
funzioni perché in ciò
tacitamente acconsentì il Mazor
Consejo, fino al compimento di un
preciso disegno politico. Gettare
lo sguardo oltre il muro della
diffamazione che per lungo tempo
presentò questo Consiglio come la
più abbietta delle istituzioni mai
esistita potrebbe riservare delle
sorprese.
L'espandersi
delle competenze del Consejo
dei Diese e la Zonta
corrispose storicamente alla crisi
politica ed istituzionale che, in
riflesso a quella che ancora non
aveva finito di travagliare il
Mazor Consejo dopo la
promulgazione della Parte
detta della serrata,
investiva ora trasversalmente
tutto il sistema.
Con il Mazor Consejo
radicalmente riformato, il
patriziato si accingeva ora a dare
la forma migliore al Consejo dei
Pregadi, da poco istituito e
destinato, nel disegno politico
generale, a dover sostenere
le funzioni tipiche di un organo
destinato al governo dello Stato.
Ciò sia attraverso l'ampliamento
considerevole del numero dei suoi
membri (in funzione
antioligarchica) sia gradatamente
delegandogli sempre maggiori
funzioni politiche ed
amministrative.
Non si può però fare a meno di
notare che il graduale espandersi
del numero dei magistrati ammessi
a partecipare ai lavori del
Senato, stava portando questa
nuova assemblea verso le stesse
identiche condizioni in cui già
versava il Mazor Consejo (troppo
caotico ed inconcludente), anche
se effettivamente il Senato, pur
se numeroso, era però generalmente
formato da uomini molto più abili
dei primi nel maneggio della cosa
pubblica.
La situazione in cui versava la Repubblica nel
periodo compreso tra l’istituzione
del Senato ed il momento della sua
piena affermazione, non era delle
migliori; in quel tempo non era
ancora disponibile l'organo
tecnico che potesse
permettere al Senato di affidare a
mani esperte l’istruzione degli
affari di sua pertinenza, come già
il Minor Consejo significava per
il Mazor Consejo, ruolo che più
tardi sarà appunto svolto dalla
Consulta.
A ben vedere, per poter
momentaneamente supplire a questo
pericoloso vuoto istituzionale, le
relative incombenze sarebbero
dovute ricadere sulla Signoria
oppure sul Consejo dei Diese,
altra alternativa non esisteva.
La scelta che alfine venne a
cadere sui Diese può essere
giustificata anche dal fatto che
all'interno di questa ristretta
assemblea i Consiglieri ducali già
vi accedevano di diritto, anzi, a
tenore delle leggi, la loro
assenza toglieva legalità alla
seduta.
Inoltre con la posteriore
aggregazione della Zonta, formata
da ben quindici senatori che
entrarono così di diritto a
partecipare alle deliberazioni dei
Diese, si venne formando un organo
costituito in totale da trentuno
membri, ai quali aggiungere anche
il Dose e la presenza obbligatoria
dell'Avogador de Comun.
Come non manca di notare l'acuto Maranini, l'unico neo dell'intera
operazione risiedeva nel fatto
che, non avendo ancora a
disposizione la struttura dello
Stato un organo che fosse posto in
antagonismo istituzionale al
Consejo dei Diese (ruolo che più
tardi verrà ricoperto
dal Senato), praticamente si
trovarono condensate insieme sia
le funzioni del giudice politico
che quelle dell'organo di governo.
Indubbiamente la scelta fatta a
suo tempo si prestava a dei forti
pericoli, ma venne tutto sommato
ben valutata, soprattutto nella
prospettiva di evitare
inconvenienti anche maggiori, come
l'improvviso risorgere di violenze
faziose che, questa volta sì,
avrebbero irrimediabilmente
compromesso i liberi ordini.
Il Mazor Consejo non corse il
rischio di farsi strappare, come
può apparire ad una frettolosa
analisi, il suo potere sovrano da
una sua commissione delegata, esso
scelse invece di riporre la
sicurezza dello Stato nelle mani
di in gruppo ristretto di persone
delle quali, benchè esso si
fidasse oltre misura, poteva
comunque disporne a suo piacimento
in ogni momento.
Ritornando perciò a questo punto
alla teoria oligarchica, volendo spingersi oltre, si
può arrivare a considerare
l'allargamento dei poteri del
Consejo dei Diese non come il
segnale di una involuzione
oligarchica dell'ordinamento
repubblicano, ma invece come la
risposta del patriziato veneziano
per contrastare duramente alcune
anomale tendenze (queste sì
oligarchiche!) di una ristretta
quanto bellicosa parte della
nobiltà.
Non è un caso, infatti, che non
appena il Senato riuscirà
finalmente ad esprimere una propria commissione
tecnica capace di esercitare
efficacemente e per sua delega
tutte le attività di governo più
segrete e delicate, nonché riunita
questa alla Serenissima Signoria
per dare vita al Pien Colegio,
centro preconsultivo
dell'attività di Governo, gli
sconfinamenti del Consejo dei
Diese e la Zonta, diverranno
rapidamente impopolari.
Dopo la riforma del 1582,
eliminata la Zonta, al Consejo dei
Diese furono riconfermate le
funzioni di tribunale politico,
mentre le ingerenze nel campo
dell'attività di governo si
vollero ridotte a quella di
procurare al Pien Colegio pronte
e sicure informazioni segrete su
ogni affare, sia d'interesse
interno che esterno allo Stato.
Con l'occasione della riforma
venne definitivamente alienata
dalla sua competenza anche ogni
intervento sulla provvisione e la
dispensa del denaro pubblico, anzi
per stroncare sul nascere ogni
possibilità di ritorno, tutte le magistrature
che il Consejo dei Diese aveva
istituito dal proprio corpo furono
da questo momento assegnate
all'esclusiva competenza del
Senato, al quale venne
assegnata la competenza della nomina.
Perentoriamente estromesso da
qualsiasi attività di governo,
ricondotto alle sue originali
funzioni, scomparsa
definitivamente la Zonta, il
Consejo dei Diese si ritrovò
relegato più strettamente in ciò
che la riforma promossa dalla
maggioranza del Mazor Consejo
aveva sancito: tribunale supremo
della nobiltà, controllore
irreprensibile della vita pubblica
e privata dei nobilomeni veneziani.
La correzione del 1628.
Se la riforma del 1582 aveva
rappresentato un punto d'arrivo
importantissimo rispetto al
dibattito politico sorto attorno
alla necessità di una limitazione
dei poteri del Consejo dei
Diese, la successiva correzione
del 1628, anche se quasi nulla
apportò di veramente innovativo,
ebbe comunque rilevanza perché
oltre a ribadire lo spirito della
riforma precedente, dimostrò
quanto ancora fosse vigile lo
spirito antioligarchico del
patriziato, sempre attento nel
controllare che le prerogative
assegnate al Consiglio, non
suscettibili per loro natura ad
una definizione perfetta,
continuassero tuttavia a rimanere
contenute, per quanto possibile,
nei limiti che erano assegnati
dalle leggi.
Con la correzione del 1628 si
rinnovò la raccomandazione al Consiglio
di astenersi dall'intervenire in materie
sulle quali non poteva vantare
alcuna giurisdizione; con
l'occasione venne anche
definitivamente revocata la
particolare facoltà di poter modificare
motu proprio il contenuto
delle Parti approvate dal
Mazor
Consejo; si
assegnò al Senato la competenza sulla nomina dei
segretari dei Diese e della
magistratura degli Essecutori
a la Biastemia; infine, fu
confermata ai Diese la competenza
sulla stampa e la
vigilanza sulla moralità dei
monasteri.
La Correzione del 1762.
Con il 1762
arrivò la terza
grande correzione, alla quale,
come già si è visto accadde nel
1582, venne sottoposto non
tanto il Consejo dei Diese,
quanto il supremo Tribunale che
per 2/3 veniva da questi eletto:
cioè la magistratura degli
Inquisidori de Stato (il cui
terzo membro era eletto a cura del
Minor Consiglio).
Il
significato più
importante di questa riforma sta
nel fatto che essa venne sostenuta
nel periodo finale della storia della
Repubblica, normalmente
indicato dagli storici come di piena decadenza
morale e politica della classe
detentrice del
potere. Le istituzioni vengono
infatti generalmente
rappresentate oramai completamente
sfibrate del loro originario
contenuto democratico,
da tempo piegate al volere di una
ristretta minoranza di potenti
famiglie patrizie.
Stranamente
però, all'interno di questo scenario
così fortemente caratterizzato da
tanta desolata agonia, il
Mazor Consejo sentì invece
la necessità impellente di
intervenire affinché il
potere ed i compiti del Consejo
dei Diese e degli
Inquisidori de Stato venissero
ampiamente rimessi in discussione.
Il non breve dibattito politico
che conseguentemente si sviluppò è riportato, tra
gli altri, anche dal Romanin nella
sua "Storia documentata di
Venezia", dalla cui vivace
cronaca, qui di seguito riportata
nei suoi passi salienti, risalta
una vivacità dialettica ben lungi dal clima di
smobilitazione con cui molte volte
si dipinge la vita pubblica a
Venezia negli anni che
precedettero la sua ingloriosa
fine.
L'occasione
per l'avvio della correzione prese
le mosse da un diverbio di ordine
sia giuridico chee formale
sviluppatosi tra
un Avogador de Comun e gli
Inquisidori de Stato.
A questo proposito, i
propugnatori della deriva
oligarchica
accostano sovente l'Avogador
Angelo Querini a quella,
anteriore, del Capo dei Diese
Renier Zen; tuttavia non pare possa essere
sensatamente reclamata alcuna
relazione tra l'azione del primo,
piccato dal taglio eseguito dagli
Inquisidori di una sua sentenza,
ed il secondo, intervenuto con
generosità per denunciare
pubblicamente alcuni
pericolosi abusi introdotti
dal Dose Giovanni Corner.
Tornando ai fatti, successe che l’Avogador Querini, nell’intento di
compiacere una patrizia
veneziana, aveva decretato l'espulsione
da Venezia di una popolana
fabbricante di cuffie, colpevole
di aver mal servito la nobildonna;
la popolana
però, prontamente ricorsa agli
Inquisidori de Stato, aveva
in seguito ottenuto l'annullamento di
quel provvedimento. Questo episodio, tutto sommato di
scarsa importanza, rappresentò
il primo gradino verso uno
screzio che si ingrandì
ulteriormente quando, morto un
segretario di Palazzo, si accese
una violenta disputa tra i
sacrestani della chiesa di San
Vidal, contrada del
defunto, ed i confratelli della
schola granda de la Carità, su chi spettasse
il diritto di vestirlo (e di
percepire le relative mercedi).
I sacrestani ricorsero al
Magistrato a la Sanità, che si
pronunciò in loro favore con una
terminazione che venne rapidamente
stampata e divulgata; i
confratelli invece ricorsero
al parere degli
Inquisidori sora le schole grandi che a loro
volta, esponendo l’imbarazzo
generale delle schole e
prefigurando le gravi conseguenze
se il diverbio non fosse stato
prontamente risolto, sottoposero la questione
all'attenzione del Consejo dei
Diese, da cui dipendevano.
Istituito anche
per
prevenire il manifestarsi di elementi di turbativa
della pubblica quiete, il
Consejo dei Diese decise di
tagliare la terminazione del
Magistrato a la Sanità,
raccomandando ai propri
Inquisidori che le
schole non avessero più a
subire impedimenti nell'esercizio
delle loro funzioni.
La contraria deliberazione dei
Diese offese però profondamente
Paolo Renier, uno dei
Provedadori a la Sanità, al
quale parve arbitraria la decisione del
Consejo dei Diese,
profondamente lesiva al decoro
della magistratura che egli in
quel momento rappresentava.
Molto probabilmente il Renier
scambiò qualche confidenza sul
fatto con il
Querini e questi, non dimentico
della precedente deliberazione
degli Inquisidori, decise di
intromettere il decreto
per sottoporlo al vaglio del
Mazor Consejo, giustificando
il proprio operato richiamandosi a
Parti del 1582 e del
1705, emanate dalla medesima
assemblea.
Nell’inevitabile
polemica che ne seguì, il Querini, assieme
all'altro Avogador, Alvise Zen,
venne accusato di avere in mente di far cadere
la Repubblica sotto la podestà
tribunizia, assomigliando infatti
l'ufficio degli Avogadori agli
antichi Tribuni della plebe di
Roma, con la differenza che mentre questi
provenivano dal popolo, quelli invece erano previsti dalla
legge.
La fazione avversa sosteneva invece
che nulla vi era di più sacro
della maestà della legge, se
questa fosse stata sapientemente
applicata, ma nel contempo essa si
poteva trasformare facilmente in
arbitrio, con pessime conseguenze,
se a gestirla fossero stati
chiamati non uomini pregni di
esperienza e prudenza, versati nel
maneggio degli affari politici, ma
soltanto dotti nella facoltà
legale e nei giudizi forensi.
L’eco delle considerazioni
dell'una e dell'altra parte
era causa di perplessità negli
Inquisidori de Stato, che
di conseguenza ritardavano ogni
decisione finale, ravvisando
probabilmente uno stesso pericolo
sia nel male come nel possibile
rimedio. Venendo però informati
che il Querini stava ora
scopertamente formando una fazione
e che la sua
pubblica sfrontatezza nei
riguardi delle istituzioni
cresceva ogni giorno di più, essi
deliberarono di farlo prelevare la
notte del 12 agosto 1761 dal suo
casino in contrada San Moisé e, sotto una
buona scorta, lo fecero condurre
nel castello di Verona.
Non appena il fatto divenne di
pubblico dominio, i suoi
sostenitori andarono gridando che
questa altro non era che un'altra
delle violenze che gli
Inquisidori da qualche tempo
si permettevano,
togliendo ad un
Avogador, la facoltà di
produrre le proprie ragioni
davanti al
Mazor Consejo, unico paròn de la Republica.
Sottoposti
a
pesantissima
pressione,
gli Inquisitori si abbassarono
per la prima volta a
rendere pubblico conto del loro operato,
con gravissimo pregiudizio della
stima che fino allora l'ufficio
aveva goduto, ma così agendo essi
ebbero l'opportunità di dimostrare
quale
pericolo fosse insito nella mozione
che l'Avogador Querini
intendeva presentare, spingendo il
Mazor Consejo contro di
loro e contro il Consejo dei
Diese.
Giungeva intanto il giorno 23
agosto, in cui si doveva, come di
consuetudine, rinnovare l'elezione
della prima cinquina dei nuovi componenti del Consejo dei
Diese, ma nessuno dei
candidati proposti all'assemblea
ottenne la maggioranza dei
suffragi richiesta dalla legge.
Il Mazor Consejo dimostrava
così di non aver affatto digerito
il modo in cui gli Inquisidori
de Stato avevano proceduto
contro l'Avogador Querini,
e come già era successo in
precedenza nel 1582, la
maggioranza ora negava ripetutamente i
suoi voti ai candidati, indicando
così la propria ferma volontà
affinché la questione fosse
affrontata con urgenza.
La mancata rielezione di un organo
così importante per la struttura
costituzionale della Repubblica,
indusse la Signoria a
radunarsi con urgenza i giorni
seguenti, infine deliberando la
proposta da farsi in Mazor
Consejo di eleggere una
commissione formata da cinque
Correttori, tale e quale come
già si era proceduto nel 1628.
Portato il progetto di legge il 3
settembre in Pien Collegio,
il sei dello stesso mese esso
venne presentato in Mazor
Consejo, nel quale venne posto
ai voti il giorno nove e fu
immediatamente approvato.
Si procedette dunque alla nomina
dei Correttori, ma dei
primi venti nomi che furono proposti nessuno
arrivò alla maggioranza; molti
furono i voti che si pronunciarono
in favore dello stesso Querini il
quale, qualora fosse riuscito
nell'elezione, sarebbe stato
richiamato da Verona con grande
trionfo personale e con insulto
agli Inquisidori e quindi,
grazie alla sua nomina a
Correttore, sarebbe venuto a
costituirsi giudice dei suoi
stessi giudici. Il maldestro tentativo
intrapreso dalla sua fazione di
ottenerne l'elezione, suscitò
invece grande scandalo nella
maggioranza del Mazor
Consejo che accantonò
definitivamente la possibilità di
disporre il rientro dell'Avogador
dalla piazzaforte di Verona, dove
pertanto rimase confinato.
Dopo
un ballottaggio che durò tre
giorni, risultarono nominati l'Avogador
Alvise Zen (amico del Querini), Pier Antonio
Malipiero
della Quarantia, il
procurator Marco Foscarini, Girolamo
Grimani
allora Savio Grando ed
infine Lorenzo Alessandro Marcello II, Capo del Consejo dei Diese.
Lo Zen ed il Malipiero
appartenevano alla fazione dei
progressisti, il Foscarini, il Grimani ed il
Marcello appartenevano invece alla
maggioranza
conservatrice.
Dovendo trascorrere il periodo
della cognizione,
intervallo di otto giorni
interposto fra la presentazione e
la discussione ufficiale, i Correttori si dedicarono all'esame
dei documenti, quindi la prima riunione preparatoria
venne convocata allo scadere
del sesto giorno.
Iniziò
il
Malipiero descrivendo la trasformazione che
aveva interessato il
Tribunale, divenuto a suo dire un
organo più confacente ad un Re, piuttosto che un
ad un sistema
repubblicano.
Priva di contropotere, la
magistratura era stata
dotata per questo motivo di
pochissima autorità, ma di fronte ai metodi
recentemente utilizzati per fare
giustizia, il
Mazor Consejo aveva delegato i
Correttori allo studio
delle opportune risoluzioni.
Anche lo Zen ritornò
sugli abusi ultimamente commessi, ricordando
che la
deportazione del Querini era stata
comminata
senza che questi avesse subito un
regolare processo, con
ignominia per la carica
che ricopriva.
Il Marcello fece
osservare la complessità della
materia da trattarsi, ritenendo
che prima di deliberare fosse
necessario documentarsi in modo
approfondito. Limitare
l'autorità degli Inquisidori ai soli
nobilomeni pareva una
strada
pericolosa, poiché o il Tribunale
continuava ad operare come ora, ed
anche se riformato, avrebbe dovuto
comunque continuare ad esercitare
la propria autorità erga omnes.
Il Grimani sottolineò
invece lo
sgomento che si sarebbe impossessato
dei cittadini messi di fronte ad
una differenza di
trattamento per i nobilomeni.
La direzione proposta era
fondato su informazioni
incerte, essendo ancora ignota la causa che avevano
spinto il
Tribunale ad operare in quella
maniera nei
casi segnalati. Egli non si
dichiarava
contrario per principio a qualche
modifica, di massima e
generale, che però doveva
continuare a comprendere tutti i cittadini.
I
Correttori tornarono a riunirsi
il 4 ottobre seguente e il Malipiero
nuovamente rimarcò l'illegalità
delle procedure tenute dal
Tribunale nell'esercizio delle sue
funzioni; gli abusi che
derivavano dal lungo rimanere in
carica del loro segretario. In
questa occasione fece anche
osservare la gran quantità di processi
ancora giacenti in Consejo
dei Diese, situazione che contraddiceva
il principio di una sollecita giustizia
al fine di rendere temuta la legge.
La discussione dei
Correttori non aveva
lasciata indifferente l'opinione
pubblica a Venezia, anzi di altro
non si parlava nelle riunioni di
società, nei caffè e nelle
famiglie patrizie. In tutta la
loro lunga storia, questa infatti
era la prima volta che gli
Inquisidori de Stato venivano
posti ufficialmente sotto esame.
In un sistema politico
assolutamente non
abituato a cambiamenti repentini
né mai prima sottoposto alle tentazioni
della politica spettacolo,
tutti rimanevano con il fiato
sospeso, attendendo l'evolversi
della situazione.
Dopo lunghe
mediazioni, il 18
novembre i Correttori si
accordarono su di una bozza di
riforma, secondo la quale al
Consejo dei Diese e agli
Inquisidori, a tenore delle
leggi del 27 settembre 1628 e del
30 novembre 1667, si doveva
vietare ogni
ingerenza nelle materie civili,
restando ai soli Capi la facoltà
di mettere pace nelle famiglie
patrizie. Alla competenza dei Capi e degli
Inquisitori sarebbe rimasta l'autorità di
punire coloro che nei loro
interventi in Senato ed in
Mazor Consejo usassero
espressioni sediziose. Con
riguardo alla pubblica
amministrazione, i Correttori
individuarono nel settore della
produzione del
vetro la necessità che il
Consiglio continuasse ad operare
per impedire che i tenutari dei
segreti dell'Arte vetraria uscissero dai
confini dello Stato. Confermati
gli antichi, furono studiati nuovi regolamenti
in
riguardo alla impossibilità di
fondare nuove schole,
confraternite, od altro (tanto
ecclesiastiche quanto secolari)
se non previa licenza del Consejo
dei Diese, al quale venne pure
confermata l'amministrazione dei
loro beni e delle loro entrate per
mezzo degli Inquisidori a le
schole grandi da loro stessi
eletti.
Per quanto riguardava i segretari
del Consejo dei Diese venne
stabilito che la loro nomina
dovesse avvenire con il sistema per
polizze, come già era
d'uso per le elezioni del
Senato; si ribadì inoltre che
gli stessi non potessero rimanere
in carica per più di due anni con
altrettanti di contumacia.
Quando richiesto, uno dei quattro segretari
era distaccato presso gli
Inquisidori de Stato, scelto
dai Diese a
maggioranza semplice nella prima
riduzione di ottobre. Le verbalizzazioni nella difesa
degli imputati competevano al segretario,
ovvero ad altro ministro criminale di
provata fiducia.
Fino a questo punto i
Correttori si trovarono
sostanzialmente concordi. Quando
però passarono a discutere su
quale dovesse essere l'autorità d'intervento del
Consejo dei Diese e degli
Inquisitori sui nobilomeni,
In nome della libertà, i due progressisti, lo Zen ed
il Malipiero, mettevano in
mostra i difetti e gli
arbitrii delle procedure
utilizzate dagli Inquisidori,
chiedendo fosse almeno abolita la
facoltà del Tribunale di poter intervenire a
reprimere le intemperanze e le
violenze dei nobilomeni nei confronti dei
borghesi e dei popolani. Dal canto
loro i tre conservatori, ed in special modo
il Foscarini, erano invece
orientati per ribadire i limiti
che le leggi esistenti imponevano
al Consejo
dei Diese e agli
Inquisitori e quindi alla
sostanziale conservazione del
Tribunale, unica istituzione che
tenesse a freno gli eccessi dei
nobilomeni.
Non
convenendo in una bozza unitaria
da presentare al Mazor Consejo,
ciascuna fazione preparò quindi
una propria proposta.
Quella
dei conservatori chiedeva
che al Consejo dei
Diese rimanesse assegnata
l'autorità sin qui riconosciuta,
come stabilito dalle Parti del 1335,
1628 e del
1667; che venisse confermata la
facoltà di essere informato sui casi criminali
commessi dai nobilomeni, tanto
offendenti quanto offesi, potendo
trasmettere
i casi di minore importanza ai
magistrati competenti per il
giudizio.
Rimanevano invariate le facoltà
d'inquisizione sopra i nobilomeni,
attività che restava circoscritta
entro le materie di
competenza; la cura della
pubblica tranquillità; la
disciplina e la moderazione
dei patrizi; la
scrupolosa osservanza sulla
conservazione del segreto di
Stato.
La
proposta dei progressisti,
assai articolata, chiedeva invece
di ampliare ulteriormente i
poteri del Consejo dei Diese,
riducendo però a nulla le
prerogative degli Inquisitori.
Sarebbe spettato infatti al Consejo
dei Diese ordinare agli
Inquisidori quando e su quale
materia investigare in caso di grave pericolo per
l'integrità dello Stato, ma il
Tribunale avrebbe dovuto procedere con
regolare processo, con la
costituzione di un collegio di
difesa ed uno per l'accusa,
potendo emettere al massimo sentenza di carcere o di
confino in qualunque luogo dello
Stato, ovvero più miti
deliberazioni.
Veniva inoltre fatta salva
l'autorità del Senato e della
Serenissima Signoria di
poter intervenire nei casi di loro
pertinenza, così come restava facoltà
degli Avogadori de Comun di
procedere, col placito nella
competente Quarantia, contro i
Rettori delle Provincie
suddite.
Si confermava l'autorità
del Magistrato alla Sanità
per le materie a lui delegate,
le prerogative degli
Essecutori contra la Biastemia,
dei Capi de la Quarantia
al
Criminal, dei Capi del
Consejo dei Diese, degli
Avogadori de Comun e dei
Censori per le responsabilità loro
assegnate da Parti
approvate del Mazor
Consejo e del Consejo dei
Diese.
Agli Inquisitori rimaneva
assegnata la facoltà di promuovere
inchieste sopra le trasgressioni
dei nobilomeni, ancorché si trattasse
di magistrati, potendoli trarre
anche in arresto, ma dovendo
poi immediatamente depositare il
provvedimento in Consejo dei
Diese, perché giudicasse. Agli Inquisitori
rimaneva assegnata la competenza
sulla disciplina dei
cittadini tanto nella vita
pubblica quanto nella privata, di
reprimere i disordini, le
trasgressioni ed i
cattivi esempi; di punire
le mancanze dei nobilomeni con
l'esilio al massimo di due anni
dalla città di Venezia, ovvero con
il confino ugualmente di due anni
in qualche luogo della Terra
Ferma, e non altrove.
In caso gli Inquisitori avessero
trovato la colpa meritevole di
maggior pena, erano tenuti a
riferire le loro osservazioni al
Consejo dei Diese, perchè
da quello fosse esaminato la
richiesta e
tratte le dovute conseguenze.
Che i Procuratori de San Marco,
gli Avogadori de Comun e
tutte le altre cariche che assistevano
in figura di presidenza alle
riduzioni del Mazor Consejo, o che avessero il diritto
di por Parte in questo consesso,
in caso di trasgressione fossero soggetti al giudizio
del Consejo dei Diese
nella forma sopra indicata, né
potessero procedere gli Inquisidori se non uniti
ai Diese.
Predisposti i due progetti, il 16 gennaio 1762
il Pien Colegio ne ebbe
lettura dai propri segretari, cui
sarebbe seguita la consueta redazione nella
forma tecnica della Parte
per la presentazione al dibattito
del Mazor Consejo. Invece,
non appena conclusa la
riduzione, fu comunicato ai Correttori che la
Signoria opinava
contro ambedue le proposte
presentate, e tosto condotti in presenza
dell’alto ufficio vennero
rimproverati di non
aver inteso
l'incarico loro assegnato,
essendosi spinti troppo oltre la
direttiva dell'organo sovrano.
La Signoria chiese che le
due proposte fossero
ufficialmente ritirate,
dichiarandosi disposta a
concedere altri dieci giorni di
tempo affinché fosse predisposta una
bozza nuova ed
unitaria.
Il deciso intervento intrapreso dalla
Signoria fu probabilmente
dettato dalla consapevolezza
della pericolosità che una
divisione così netta fra i
Correttori su di una materia
oltremodo delicatissima si sarebbe
riflettuta al momento
dell'approvazione di una o dell'altra
proposta, con
l'insorgere della fazione battuta
e conseguente strascico di malcontenti e rancori
assai difficilmente
conciliabili.
Consci delle proprie prerogative, i Correttori
rifiutarono però unanimamente di procedere
all'accantonamento delle
rispettive
istanze ed informarono la Signoria
in merito al loro intento di
giungere in Mazor
Consejo. così come si erano
presentati in Pien Colegio.
Non potendo impedirlo, da parte
sua la Signoria acconsentì.
Il 17 gennaio 1762, i
Correttori
entravano in Mazor Consejo
e nel profondo silenzio della pur
numerosissima adunanza, i
segretari iniziarono la lettura
delle due proposte dei
Correttori che, come era stato
loro preannunciato, furono subito
seguite dalle osservazioni
contrarie dei Consiglieri
Ducali Troilo Malipiero, Paolo
Renier e Gasparo Moro e dai due
Capi de la Quarantia al Criminal
Alvise Foscari e Pietro Bonfadini.
Dovendo frapporsi il consueto
periodo della cognizione, l'inizio della discussione venne
fissato trascorsi otto giorni.
Il
24 gennaio vennero nuovamente
lette al Mazor Consejo le
due proposte dei Correttori,
nonchè le opposizioni verbalizzate
dei Consiglieri
e dei Capi. Salì poi il pulpito il
Consigliere Malipiero
esponendo nuovamente quanto già
egli aveva illustrato in Pien
Collegio relativamente
all'inopportunità del lavoro
svolto dai Correttori,
facendo riflettere l'assemblea
sulla
differenza fra Correttori dei
capitolari e Correttori
alle leggi. Era di pertinenza
dei primi di riformare i
capitolari adeguandoli alle
norme di leggi già approvate; ai
secondi spettava invece
proporre nuove leggi, oppure la
correzione di esistenti;
da ciò discendeva che gli attuali
Correttori potessero
proporre al massimo la regolazione
del capitolare del Consejo dei Diese
in base alle leggi vigenti, e
non ad arbitrio dei Correttori
stessi.
Al Malipiero rispose il
Foscarini, che confutò
dettagliatamente l'idea che le
proposte dei Correttori si
dovessero modellare seguendo le
leggi vigenti. La seduta venne aggiornata
al giorno seguente, essendosi già
iscritti a parlare per una
replica il Consigliere Malipiero ed
il Correttore Zeno.
Il giorno seguente
invece il Malipiero si
ritirò, dichiarando anche lo
Scontro della Signoria
venisse pure sottoposto a ballottaggio senz'altro indugio.
Vennero perciò mandati in giro i
bossoli e la Parte dei
Consiglieri ducali ebbe 127 voti
de Parte, 430 voti de Non e 296
Non
sinceri, onde i Correttori ebbero
piena vittoria, talché fu preso
che dovessero portare senz'altro
le loro proposte alla discussione
ed ai suffragi.
Improvvisamente
dunque, il Consigliere ducale al
quale spettava entrare in
contraddittorio con il Correttore
rinunciò alla propria replica,
indebolendo la proposta della
Signoria che, come si è veduto, ne
uscì sconfitta.
Quale fu la motivazione
politica che spinse
la Signoria a cambiare
repentinamente la propria tattica
e recedere dalle posizioni in
precedenza assunte?
Molto probabilmente essa non volle
varcare
quello che considerava un limite
oltre il quale ciò che
rappresentava la propria visione
poteva essere fraintesa come
un aperto sostegno dello
status‑quo, quindi in
contrasto con il volere del
Mazor Consejo che, in
definitiva, una correzione aveva
esplicitamente ordinato.
Arrivò quindi la domenica del 7
marzo, giorno in cui si doveva
iniziare in Mazor Consejo
la discussione sulle proposte
presentate dai Correttori.
Prese la parola il progressista
Correttore Zen, il quale
si volse contro la
proposta presentata dagli altri
tre Correttori, definendola
foriera di alcune novità
pericolose, e rivolte solo a
catturare i consensi del Mazor
Consejo.
Egli illustrò la propria idea di
libertà civile, dove gli uomini
comandavano in vigore delle leggi
e non per l'arbitrio proprio ed
era
questa a suo avviso la differenza
fondamentale tra Regno
e Repubblica, perché nel Regno
comanda uno solo e la sua volontà
è la legge, mentre nella
Repubblica invece la legge è sopra
di tutti e tutti indistintamente
sono tenuti ad osservarla. Più uno
Stato libero si allontana dalla
pluralità, tanto più esso si
avvicina alla monarchia, per
impedire la qual cosa era stata
appunto istituita la sovranità del
Mazor Consejo, strutturando
lo Stato veneziano per modo che
l'aristocrazia perpetuamente si
alternasse in posizione di comando
e di soggezione. Lo Zen passò quindi
ad
lo sviluppo costituzionale
del Consejo dei Diese e delle
sue prerogative; si
volse poi agli Inquisidori de
Stato, il suo vero obiettivo,
lamentando ora la loro incerta
origine, le facoltà non mai ben
definite, l'ampliamento
intervenuto rispetto alla ristretta autorità
iniziale unita all’obbligo
assoluto di riferire al Consejo
dei Diese di ogni loro atto.
Fattasi l'ora tarda, fu sciolta
l'adunanza, mentre lo Zen chiese
licenza di poter continuare il suo
intervento il giorno seguente,
cosa che avvenne quando egli,
proseguendo nella sua esposizione, non tralasciò di
ricordare la vicenda del
bando dalla città inflitto al Querini e continuò sostenendo che questi gravi arbìtrii si
volevano dagli altri tre
Correttori autorizzare in
perpetuo.
Concluse infine affermando che la
proposta sua e del suo collega,
pur preservando l'autorità del
Consejo dei Diese e limitando
quella degli Inquisitori,
lasciava tuttavia intatta la
struttura costituzionale della
Repubblica; mentre invece la proposta dei tre
Correttori, rendendo
indipendenti gli Inquisidori dal
Consejo dei Diese, toglieva
ogni possibilità di controllo e
collocava nell'incertezza
giuridica un rito giudiziario
sconosciuto ai più,
ponendo in grave pericolo la
libertà, i beni, l'onore e la vita
di tutti quelli che in quel mentre
l'avevano tranquillamente
ascoltato.
La replica spettò al Foscarini il
quale, salito il pulpito, iniziò
l’intervento avvisando che avrebbe
potuto con estrema facilità
confutare la teoria
dell'avversario, ma poiché l'ora
era tarda egli si riservò di
trattare la materia nel giorno
seguente.
La mattina del 10 il Foscarini
prese a dimostrare quanto aveva
asserito, e ricostruita la storia del
Consejo dei Diese in modo assai
più preciso e particolareggiato
che non avesse fatto lo Zen, venne
quindi ad affrontare la parte viva
del contendere.
Egli affermò che non nelle
intenzioni dei tre Correttori,
ma piuttosto in quelle dei due
stava la vera novità, che questi
ultimi intendevano, oggi, abolire
gli Inquisidori de Stato
per abolire, domani, il Consejo
dei Diese mirando, sotto il
pretesto della
libertà, alla dissoluzione dello
Stato.
Per meglio chiarire il concetto,
egli fece leggere alcune
Parti dalle quali risultava che:
-
risiedeva nel Consejo dei
Diese una facoltà invero
amplissima, quanto era certo che
essa derivava dalla delega
del
Mazor Consejo;
-
che
da questa autorità delegata derivava
la facoltà per i Diese
di trasmettere ad altri organi le
incombenze che avevano ritenuto
necessario non trattenere;
-
che tale facoltà fu in seguito
riconosciuta legittima dal
Mazor Consejo per mezzo di
alcuni suoi decreti, in special
modo quelli del 14 settembre
1628 e 30 novembre 1667;
-
che quando il Mazor Consejo
si indirizzava al Consejo dei
Diese esso si rivolgeva a quel consesso
costituito al completo in tutti
i suoi ordini, facoltà e
magistrati.
Dopo ciò, il Foscarini si spostò ad
esaminare la proposta dei due Correttori, dimostrandone gli
svantaggi e i pericoli che
sarebbero derivati
dall’accettazione di una così
inedita (sotto il profilo
giuridico) distinzione tra nobilomeni
ed i cittadini;
sostenendo come fosse l’imparziale
applicazione della giustizia la
base sulla quale poggiava il rispetto che la
Repubblica godeva da parte dei
sudditi.
Il timore di possibili abusi da
parte degli Inquisidori, esagerati
alquanto dallo Zen, sarebbe
venuto a cessare quando
si fosse considerato che la loro
autorità non durava più di un
anno, che ciascuno di essi poteva
esser rimosso dall'incarico in
qualsiasi riduzione del Mazor
Consejo, che detta istituzione
non aveva assegnato né denaro né
milizia, dovendo ufficialmente
richiedere ciò di cui abbisognava
di volta in volta.
Il Foscarini sottolineò anche la palese
inutilità dell'incarico che i due
Correttori volevano lasciare al
Tribunale, cioè di indagare e
quindi riferire al Consejo dei
Diese, poiché così facendo
l'istruzione dei processi perdeva
immediatamente tutta la propria
segretezza; ricordò che già altre
repubbliche erano perite perché
mancanti appunto di una forza di
polizia attiva e segreta, e che
solo la mente dei Veneziani aveva
saputo collocare tale opportuno
istituto in un angolo della
propria aristocrazia, senza timore
di alcun pericolo oligarchico.
Scegliendo di eliminare la
segretezza del rito giudiziale,
nessuno si
sarebbe più esposto a denunciare
azioni criminose, ed anche Machiavelli ricordava spesso come
una delle cause che pose fine alla
Repubblica di Firenze fu proprio
quella di non essersi trovati più
accusatori di misfatti commessi
dalle famiglie più potenti.
Così dicendo, il Foscarini
concluse il suo intervento.
Lo Zen non perse tempo e,
salito l’arengo, ribatté che anche Montesquieu aveva
definito tirannico il
Tribunale degli Inquisidori,
rassicurando inoltre che le sue intenzioni
e quelle del collega erano invece
orientate a ricondurre l'istituzione
entro gli antichi limiti.
Egli volle ricordare nuovamente
che si stava battendo perché al
Consejo dei Diese venisse
ricondotta la perduta autorità,
affinché si decretassero leggi
contro i vizi predominanti, contro
i divulgatori dei segreti di
Stato, ma che la possibilità
d'intervento fosse scrupolosamente
regolata dalla legge, non
dall'arbitrio degli uomini, che
perciò l'attuale rito giudiziale fosse
reso palese, non tenuto segreto, che
fosse permessa la difesa e che si
riconoscesse l’istituto del
confronto con l'accusatore.
A queste ardite parole fece
riscontro il mormorio indignato dell'assemblea
ma
per calmare la generale
inquietudine si levò a
parlare il Correttore Marcello,
il quale non negò che quanto
era stato asserito dal collega
fosse
riscontrabile nelle carte dell'archivio degli
Inquisidori, ma sottolineò
con vigore che il Tribunale, con
questo
agire misterioso, aveva sin qui
protetto con successo
la Repubblica, e che in definitiva
l'applicazione del rito segreto
preservava la classe aristocratica
dal disonore di un processo
pubblico, senza però che i rei
sfuggissero al giusto castigo.
Marcantonio Zorzi,
membro della Quarantia al
Criminal, creduto fino ad allora
contrario agli Inquisidori,
con generale ammirazione prese a
dimostrare come non
sempre fosse utile alla causa
della giustizia applicare
le formalità previste dalle
leggi. Contro i casi di
congiura, di ribellione, di
segreta corrispondenza con
forestieri, di occulta violenza
contro l'onore o la vita di un
cittadino, lo Stato doveva poter
intervenire con sollecitudine, non
potendo accordare nessuna possibilità di
sviluppo ai disegni di
sovversione, che nel mentre i
giudici si trovavano impegnati ad
accertare le varie responsabilità,
sarebbero giunti a rovinare la Repubblica.
A questo proposito egli portò
come illuminanti gli esempi della
congiura di Bajamonte Tiepolo e del Dose
Marin Falier, rimarcando la
pericolosità di imporre agli Inquisidori
un limite di condanna di soli due
anni, poiché di fronte a simile risibile
condanna, ciascuno avrebbe preso
animo nel delinquere.
Bello fu il discorso del
Grimani, che prese a parlare
dopo il Zorzi, egli con grazia ed
eleganza ricapitolò quanto era
stato esposto contro la
proposizione presentata dai due
Correttori, sostenendo con tutta
la forza derivantegli dalla
propria eloquenza le ragioni dei
tre.
Generale e profondo si fece il
silenzio quando, lasciato ad un
tratto il suo banco, andò ad
occupare il pulpito il
Consigliere Ducale Paolo
Renier il quale, dopo
un’appropriata introduzione, prese
a confutare con determinazione sia
l'una che l'altra proposta.
Qualificò quella dei due
inutile e forse anche nociva,
perchè introducente metodi e
facoltà del tutto nuove senza che
ve ne fosse davvero bisogno,
mentre si erano dimostrate già
sufficienti le regolamentazioni
esistenti. La proposta dei tre era
a suo dire di un danno
anche maggiore,
poiché
consacrava il Tribunale
esente da controlli, con il
pericolo della costituzione di
un'oligarchia.
Egli sostenne che la segretezza
di alcune delle fasi del rito
degli Inquisidori, aveva mantenuto
finora a livelli più che
accettabili la moralità del gruppo
dirigente, con la conseguente
obbedienza e rispetto del popolo e
la grande stima goduta presso gli
stati esteri.
Tutte queste conquiste sarebbero
state cancellate in un minuto,
travolte dalla licenziosità che ne
sarebbe derivata non appena si
fosse abolito quell'alone di
mistero che circondava le
procedure del Tribunale. Infine il Renier ricordò
che in Signoria egli si
era fermamente opposto
all'elezione dei cinque
Correttori e proponendo il
richiamo a Venezia del Querini,
affinché contro lo stesso
venissero applicate le procedure
previste dalle leggi in vigore,
Ora nuovamente egli chiedeva il
rientro dell'esiliato
affinché, rimesso alla competenza
del Consejo dei Diese,
venisse formalmente processato per
essere regolarmente punito se
colpevole, oppure assolto se
innocente.
Seppure l’intervento del Renier
venne vivacemente applaudito per
l’indubbia rigorosità
dell'impostazione, tuttavia esso
non mancò di sollevare anche
perplessità in ordine alla facoltà
che il Consigliere si era arrogato
di avanzare una terza soluzione,
alternativa tra quelle in
discussione, quasi egli si fosse autoproclamato in sesto
Correttore. La sua
inedita proposta si poneva in
aperto contrasto con quanto richiesto
dal Mazor Consejo e di questo errore
se ne avvide il Renier il
quale prontamente dichiarò che,
nonostante quanto aveva asserito,
non competeva certo ad un
Consigliere sollevarsi ad arbitro,
ritirando così la
richiesta di richiamare il Querini a
Venezia.
Seguirono altri interventi, quindi prese la
parola per ultimo il Foscarini
e dopo aver anch’egli variamente
argomentato, propose che
l'assemblea passasse ai voti, cosa
che la maggioranza approvò
ritenendo chiuso il dibattito.
Era il giorno 16 marzo 1762 e
fatto sedere ciascun nobilomo ai banchi, la Signoria mandò in giro i bossoli,
ognuno dei quali era accompagnato
da uno dei notai ducali che
consegnava di propria mano ad ogni
patrizio la ballotta del voto, per
evitare ogni possibile frode.
Raccolti i suffragi in quattro
cassette (due di colore
bianco, per i voti affermativi
complessivi espressi per le due
proposizioni dei Correttori, una
verde per i voti negativi contro
entrambe, infine una rossa per i
voti non sinceri per entrambe le
proposte), se presa separatamente
l'esitò avrebbe dichiarato
vincitrice la Parte
dei tre, ma poichè essa non
superava la somma dei
voti negativi, dei non sinceri e dei
voti affermativi espressi a favore
della proposta
dei due, venne fatto un nuovo
ballottaggio per il sì o per il
no. La proposta dei tre vinse
anche questa volta, ma solamente
con solo due
ballotte di scarto, dal che nacque viva
discussione sull'opportunità che
una così risicata maggioranza
potesse essere considerata
sufficiente per l’approvazione di
una Parte così importante,
oppure se si dovesse sottoporre le
due proposte ad una nuovo
ballottaggio.
La maggioranza che si era
saldamente coagulata attorno ai
tre Correttori rimase tale
ed impose che la Parte
fosse considerata definitivamente
approvata; mentre ciò avveniva, la
notizia venne immediatamente
comunicata al popolo che
numerosissimo stava in attesa
dell'esito gremendo la piazza ed
anche il cortile del palazzo.
La forte tensione che serpeggiava
tra la folla si sciolse
all'istante e tutte le contrade
della città risuonarono di plausi
e di canti, specialmente intorno
ai palazzi del Foscarini, del
Marcello e del Grimani, dove anche
si fecero fuochi d'artificio e
baldoria, mentre alcuni smodati
tentarono invece di incendiare le
case dello Zen ed anche quella del Renier,
salvati a loro volta dalla
prontezza degli Inquisidori de
Stato, che avevano provveduto
per tempo a far mandare sul posto
drappelli di guardie ben armate, a
tutela delle persone e delle loro
proprietà.
In conclusione, seppure dal punto
di vista meramente numerico la
fazione conservatrice vinse
di strettissima misura, dal punto
di vista politico la maggioranza
dei nobilomeni scelse di sostenere con
coerenza l'operato sia del
Consejo dei Diese ma anche e
soprattutto quello degli
Inquisidori de Stato,
riconfermandone pienamente
l'autorità, il prestigio e la
necessità del perdurare dell'opera
di sorveglianza politica a
prevenzione di disordini ed abusi.
Ebbe così termine la correzione
del 1762 e scegliendo di citare in
chiusura ancora le parole del Romanin, al quale appartiene la
cronaca di quei giorni, sembra
ogni altro commento superfluo:
“Molti volevano salvo l'uomo, e
molti il magistrato, ma con mezzi
tanto contrari, che non era
possibile di salvar l'uno senza la
rovina dell'altro. Nella
occorrenza però di due danni, il
pubblico si riguardava come il
maggiore ed a quello
necessariamente era forza che
cedesse la causa privata”.
Le competenze definitive.
Dopo aver attraversato tre
importanti correzioni, le
competenze del Consejo dei Diese,
così riformate e corrette,
rimarranno tali fino alla fine
della Repubblica.
-
supremo giudice politico della
nobiltà, ed anzi dal 1624 e con
ulteriore conferma del 1762,
esso divenne il giudice
esclusivo del patriziato, dopo
che alcune facoltà in questo
settore furono definitivamente
alienate dalla competenza della
Quarantia al Criminal;
-
giurisdizione
su tutti i fatti criminosi più
gravi, anche commessi da non
nobili (spionaggio,
falsificazioni, colpe nefande)
ritenendo giustamente che ogni delitto
efferato presenti anche un
aspetto politico, specie per il
perturbamento che esso provoca
nelle coscienze dei cittadini;
-
competenza su ogni caso di
fellonia, setta, congiura,
diffusione volontaria di notizie
false;
-
facoltà
di controllo su tutte le
magistrature dello Stato e
possibilità di perseguire i rei
colpevoli di lesioni al pubblico
interesse, infedeltà, intese con
stranieri, diffusione di segreti
d'ufficio;
-
riconosciuta autorità
disciplinare e giudiziaria su
tutta la Cancelleria ducale;
-
dipendevano
direttamente dall’autorità del
consiglio gli atti delle
corporazioni delle sei (poi
sette) schole grandi della
città;
-
supremo giudice disciplinare
della nobiltà, su tutti i casi
di risse ed ingiurie tra
patrizi, imponendo sanzioni
gravissime in caso di mancata
immediata e pubblica
riconciliazione;
-
lotta contro il broglio, ossia
contro ogni forma di intrigo
politico che in qualche modo
potesse limitare l'assoluta
indipendenza di coscienza del
patrizio nel momento
dell'esercizio della sovranità.
A questo proposito, non solo
veniva perseguita ogni
grossolana forma di corruzione,
come le lusinghe, le
intimidazioni, le elargizioni,
ma anche le forme più sottili ed
indirette: il voto annunciato
pubblicamente da nobili
autorevoli, la propaganda
elettorale, le congratulazioni
con gli eletti, le lodi durante
le pubbliche discussioni, le
raccomandazioni per ottenere
cariche;
-
attribuzioni di
polizia civile, con
provvedimenti per la tutela del
buon ordine sia nei consigli
politici che in città quali:
divieto assoluto di portare
armi, divieto di
duellare, contro la violenza nelle
barche, prevenire gli
incendi;
-
competenza sulla protezione
della Zecca, sulla conservazione
dei boschi pubblici e sulla
regolamentazione dell'usufrutto
di quelli privati, sulla
concessione e sfruttamento delle
miniere, sulla difesa dei segreti
industriali dell’arte vetraria;
-
qualche
competenza sul buon costume;
vari decreti furono emanati
infatti sulle fogge dei vestiti,
gli spettacoli, i teatri, le
questue, gli scandali nelle
chiese, nei monasteri, sulle
prostitute.