Da Dux a
Dose, da monarca a magistrato comunale.
Scomporre
ed esaminare i passaggi di natura politica che, dagli albori
della giovane colonia bizantina, portarono il Dux,
ovvero il monarca direttamente delegato dal potere imperiale
di Bisanzio, a ritrovarsi ricondotto a Dose,
ossia un semplice magistrato comunale inserito a sua volta
dentro una complessa struttura costituzionale, è il tentativo
prefissato.
Con
ciò,
rimarrà
sullo sfondo la complessità degli avvenimenti storici del
tempo: il regno dei Longobardi, l'avvento dei Franchi, la
lenta decadenza dell'Impero Bizantino, i complessi rapporti
con la Chiesa di Roma ed in particolare con il vicino
Patriarcato d'Aquileia, che seppure condizionarono in modo
determinante l'affermarsi della sovranità del ducato
veneziano, potranno essere maggiormente approfonditi secondo
l'interesse di ciascuno.
Così come viene proposta quindi, l'analisi non può che
iniziare dalla focalizzazione sulle origini del primitivo
centro del potere politico nelle lagune. Esso può essere
individuato, a tutti gli effetti, nell'assemblea popolare
conosciuta con il nome di Arengo dove, in seguito alla
grande rivolta popolare del 726 contro il potere di
Bisanzio, seppure per un breve periodo di tempo ebbe legittima
sede la sovranità nazionale del giovane, e ancora
politicamente instabile, ducato veneziano. Va tenuto presente
che, in generale, tutti i cittadini definibili liberi,
senza alcuna distinzione basata sull'appartenenza ad una
determinata classe sociale, si riunivano per trattare le
questioni riguardanti il comune interesse od anche per
provvedere all'elezione dei funzionari locali. Tale usanza
derivava dalla necessità vitale di organizzare la difesa
militare del Comune, che indusse la borghesia ad accattivarsi
anche la plebe urbana, ammettendola, sembra a partire dal 443,
a partecipare alla trattazione degli affari pubblici.
Molto probabilmente anche l'Arengo del ducato veneziano non
ebbe origini molto diverse, anzi è generalmente ritenuto che
gli effetti della rivolta popolare del 726 sommati alla
crescente fiacchezza della politica bizantina, contribuirono a
dare un forte impulso allo sviluppo di quella rudimentale
forma di assemblea politica, il cui primo e più vistoso segno
d'indipendenza si concretizzò nel momento in cui l'elezione
del Dux fu strappata alla competenza imperiale, per essere
stabilmente assorbita entro le prerogative dell'Arengo.
In riguardo invece all'effettivo esercizio della sovranità, è
perlomeno certo che nel corso del IX secolo l'assemblea
popolare fosse già funzionante. L'Arengo veniva di norma
convocato dal Capo dello Stato e da lui stesso presieduto
nelle occasioni solenni in cui era appositamente richiesta
l'approvazione del popolo per atti politici di particolare
importanza.
Chi però, in questo primo periodo, convocasse e presiedesse
l'assemblea durante la vacanza ducale (il delicato
periodo dell'interregno tra la morte di un Dux e l'elezione
del nuovo), non è ancora noto, si suppone che questa delicata
prerogativa spettasse a qualche importante ufficiale dello
Stato.
In
perfetta controtendenza con quanto accadrà più tardi in tutti
gli altri Comuni della penisola, che faranno godere i benefici
della loro autonomia solo a quanti vivevano entro la cerchia
delle mura cittadine, l'Arengo veneziano continuò a
raccogliere al suo interno gli uomini liberi che si trovassero
entro i confini politici del ducato, quindi tutti coloro
residenti da Grado (ad est) fino a Capodargine
(l'attuale Cavarzere, ad ovest).
Le adunate generali ebbero luogo inizialmente nell'isola di
Olivolo (l'attuale isola di San Pietro di Castello), altre
volte in quella del Lido ma in seguito le riunioni si tennero
stabilmente nell'isola di Rivoalto, posta in posizione
centrale rispetto all'estensione lagunare e divenuta
rapidamente importante grazie ai commerci nel frattempo
intrapresi dalle ricche famiglie patrizie e dalla vivace
borghesia mercantile, che qui avevano iniziato a stabilire le
loro dimore.
In quanto capo riconosciuto del ducato, i lavori politici
dell'assemblea popolare erano di norma preparati e guidati dal
Dux,, strettamente legato alla classe patrizia, dalle fila
della quale egli proveniva, ma che si trovava a sostenere una
carica ancora fortemente influenzata della primitiva posizione
di monarca assoluto, il cui vasto potere in quest'epoca ancora
non era limitato da alcun effettivo controllo istituzionale.
Egli ancora esercitava direttamente l'amministrazione della
giustizia, gestiva la nomina dei funzionari pubblici,
disponeva dell'uso dei beni dello Stato, otteneva da tutti gli
abitanti del ducato il giuramento di fedeltà, aveva
riconosciuta la guida suprema dell'esercito.
Tuttavia, nel lento svolgersi del IX, X ed XI secolo, questo
stato di cose fu interessato da un profondo stravolgimento,
innescato dal rapido sviluppo che aveva conosciuto nel
frattempo la vita commerciale del ducato, cosa che fece
emergere con forza la necessità di una qualche certezza
giuridica, da applicare invariabilmente nel campo del diritto
privato e del diritto pubblico, dove più pressante era
avvertita l'esigenza di codificare con un minimo di ordine le
tante consuetudini affermatesi fino a quel momento.
Venne da sè infatti che la vastità degli interessi economici
da tutelare, la crescente popolazione del ducato, la mole
degli affari pubblici da amministrare, impedirono ben presto
al Dux di poter provvedere sempre in prima persona al diretto
disbrigo di tutte le funzioni di governo, tanto che egli si
vide ben presto costretto a circondarsi di abili funzionari ai
quali poter delegare parte delle sue prerogative.
Evidentemente però questi burocrati non potevano essere scelti
senza alcuna considerazione di tipo politico e proprio per
questo motivo essi finirono per essere prelevati fra i
componenti delle maggiori e più potenti famiglie del ducato,
che assieme ai borghesi e agli umili popolani, formavano
l'Arengo.
In progresso di tempo, come sempre accade, il continuo
maneggio della cosa pubblica incrementò il prestigio personale
e l'autorità di questo primo nucleo di funzionari pubblici,
giungendo alfine il momento nel quale fatalmente il loro
operato assunse un carattere sostanzialmente definitivo, tanto
da non poter più essere revocato nemmeno dal Dux, che pure di
quei poteri delegati continuava ad esserne ufficialmente
l'esclusivo detentore.
E' questo un passaggio cruciale, che portò alla nascita di
quello che, pur non potendo ancora essere definito un vero e
proprio consiglio ducale, poteva già considerarsi una
ristretta assemblea permanente di collaboratori, che
trasformandosi in modo più o meno rapido in un indispensabile
consiglio amministrativo, divenne in pratica il
supporto principale senza il quale ben difficilmente la
volontà del Dux avrebbe potuto ottenere pronto ed effettivo
compimento.
Stando agli antichi documenti, sappiamo che la composizione
sociale di questo embrione di consiglio ducale era
ancora alquanto eterogenea, infatti pure se i suoi membri
venivano scelti esclusivamente dal Dux, che sappiamo non
esente da determinante pressioni politiche, in esso sedevano
oltre ai giudici provenienti dalla classe aristocratica, anche
i dignitari ecclesiastici ed i rappresentanti della classe
popolare.
La
presenza
degli
ecclesiastici è, in questo determinato periodo della storia
del ducato, ancora ampiamente giustificata. Solo in seguito
essi saranno per sempre estromessi dai pubblici uffici e
precisamente quando, sugli sviluppi di una controversia
scoppiata nel corso del 1148 tra il patriarca Enrico Dandolo
(poi costretto alla fuga) ed il Dux Pietro Polani
(inizialmente colpito anche dalla scomunica, ma poi assurto a
vincitore), le pretestuose polemiche sollevate dagli uomini di
Chiesa dopo esaurito lo scontro, porteranno alfine il Dux
successore, Domenico Morosini, ad ufficializzare il principio
della netta separazione tra gli interessi laici dello Stato e
quelli spirituali della Chiesa, con l'assoluta ed indubbia
prevalenza dei primi sui secondi.
Alla solenne proclamazione di questo principio fece seguito
l'immediata, rigorosissima, applicazione della nuova dottrina
politica che impose l'espulsione immediata di tutti i
rappresentanti del clero da ogni e qualsiasi carica pubblica.
Guarda caso, l'allontanamento, attuato a tutti i livelli
dell'amministrazione ed ampiamente condivisa da una
larghissima parte della popolazione, finirà per favorire
politicamente la classe aristocratica, che con alacrità prese
subito a colmare il vuoto creatosi nei ranghi con l'immissione
di nuovi funzionari laici a lei fedeli.
Ciò detto sugli ecclesiastici, oltre alla componente
rappresentata dai giudici, all'interno del consiglio del Dux
vi era anche la presenza di elementi estratti in
rappresentanza del popolo e con ogni probabilità anch'essi,
come già tutti gli altri, scelti direttamente dal Capo dello
Stato.
I giudici, scelti dal Dux entro una ristretta libertà di
scelta, rappresentavano ormai la tangibile volontà
dell'aristocrazia ad essere sempre meno propensa ad
assecondare le tendenze monarchiche dell'istituto ducale;
forse proprio per rompere l'accerchiamento in corso il Dux fu
indotto a ricercare nell'appoggio del popolo, quale possibile
contraltare alla forte ambizione egemonica della classe
sociale dominante.
L'abile disegno politico di contrapporre alle potenti famiglie
rialtine la forza di un singolare istituto egualitario venne
però concepito già vecchio, in quanto ampiamente superato dal
fatto che da parte del patriziato la spoliazione della
sovranità popolare era già iniziata da tempo, fin dentro lo
stesso Arengo. Assemblea, per sua natura e composizione,
confusionaria e tumultuosa, era tuttavia ancora chiamata ad
eleggere il nuovo Dux, provvedendovi senza che norme ben
precise ne regolassero le procedure, visto che le scarne
cronache dei contemporanei ci informano che spesso l'elezione
avvenisse per acclamazione.
E' evidente che le famiglie patrizie, forti delle ampie
risorse finanziarie a loro disposizione e con lo spirito di
classe reso compatto dalla superiorità culturale, riuscirono
ben presto a soggiogare la troppo debole coscienza di
sovranità di quell'assemblea; grazie ad ogni sorta di intrigo,
di corruzione e probabilmente anche di intimidazione fisica
praticato avverso una maggioranza di persone scarsamente o per
niente avvezze alla pratica politica, umili popolani che quasi
sicuramente nemmeno arrivavano a comprendere l'enorme
importanza politica che rivestiva la loro diretta
partecipazione all'elezione di ogni nuovo Dux.
Ecco dunque che il tentativo ducale di porre in contrasto la
nobiltà ed il popolo fallì completamente ed il Dux, come già
aveva dovuto chiamare alle alte cariche pubbliche ed
ecclesiastiche i componenti dell'aristocrazia, probabilmente
si trovò costretto a chiamare presso il suo consiglio non
popolani liberi e coscienti delle proprie idee, ma docili
strumenti scelti e designati da quegli stessi patrizi ai quali
avrebbero dovuto contrapporsi.
Debellata questa ultima resistenza, nel ristretto consiglio
del Dux venne allora affermandosi con salda determinazione,
pur se ancora in via del tutto ufficiosa, la prevalenza delle
famiglie nobili di Rialto i cui esponenti, attraverso
l'operosa e penetrante lentezza della consuetudine,
probabilmente arrivarono ben presto a conservare la carica
anche per più mandati successivamente, risultandovi facilmente
rieletti. Si avviava così verso il riconoscimento politico
ufficiale una prevalenza ormai già acquisita da tempo.
E' degno i nota che dal punto di vista strettamente giuridico
nulla di quanto maturava ebbe dirette ed immediate
ripercussioni sul normale svolgimento della vita politica,
prova ne è il fatto che fin quasi alla metà del secolo XII la
formale parità di diritti fra gli abitanti del ducato
continuerà ad essere rigidamente osservata e tutti
continueranno ad essere convocati per eleggere il nuovo Dux,
ugualmente i diversi ceti sociali continuavano ad essere
rappresentati all'interno del consiglio.
Solamente oltre la metà del secolo XII la prevalenza politica
acquisita dell'aristocrazia volse a darsi un più preciso
consolidamento giuridico, ed al raggiungimento di questo
obiettivo venne utilizzata con grande abilità politica la
fondazione del Comune Veneziano. Questa istituzione pubblica,
la cui necessità venne non a caso fortemente sostenuta dalla
nobiltà rialtina, avrebbe permesso di escludere, una volta per
tutte, le altre classi sociali dall'attività politica,
decretando il definitivo superamento dell'originaria
eguaglianza.
Con queste premesse, appare dunque decisivo poter determinare
la data di fondazione del Comune, poiché da quel preciso
istante si farà più veloce e costante il declino della figura
del Dux in quanto detentore di diritti, in contrapposizione
all'elevarsi dell'importanza di una struttura costituzionale
assai più articolata e complessa che vedrà, infine, trionfare
la ragion di Stato aristocratica.
Nei documenti dell'epoca arrivati fino a noi, gli storici
hanno trovato traccia dell'esistenza del Comune fin dal
1143, anche se la presenza di alcuni Savi chiamati
a comporre il consiglio comunale viene per la prima volta
menzionata in un documento di due anni prima, quindi nel
1141.
La presenza dei Savi certificata già in questo periodo non fa
altro che sottolineare ulteriormente come i veri
rappresentanti della sovranità del Comune fossero proprio loro
e, seppure accanto ad essi continueranno a comparire anche i
Giudici, all'interno del consiglio ducale saranno comunque i
Savi che raggiungeranno ben presto un'assoluta ed esclusiva
autorità, obiettivo al quale perverranno ricercando prima di
tutto l'annichilimento politico dell'istituto
monarchico‑ducale, quindi relegando il Dux al ruolo di
semplice magistrato comunale.
In questo stretto passaggio la genialità politica
dell'aristocrazia veneziana diede il meglio di sè, riuscendo a
gestire il passaggio delle competenze tra un istituto politico
ed il suo diretto antagonista, evitando di commettere l'errore
fatale di contrapporre al Dux un magistrato tutto nuovo. I
Savi del Comune lo riconosceranno invece volentieri quale loro
Dose, limitandosi ad imporgli, inizialmente, nulla di
più della costante presenza di qualche consigliere.
Il perfetto connubio del volere del Comune quale effettiva
volontà dello Stato appare ufficialmente già raggiunta nel
1192, anno che vide la puntigliosa redazione della più
antica Promissione ducale arrivata integra sino ai
nostri giorni, sottoposta al giuramento formale del Dose
Enrico Dandolo nella cerimonia di insediamento (ciò peraltro
non esclude che tale forma legale di limitazione del potere
non fosse avvenuta anche per i Dux precedenti).
Dopo questo forse primo passo, iniziando dalla Promissione
giurata dal Dose Jacopo Tiepolo nel 1229, il principio
politico della sovranità comunale si ritroverà attuato fino
alle sue estreme conseguenze, quando cioè il Dux, spogliato di
quasi tutti i poteri e assai limitato nella libertà d'azione
da norme sempre più stringenti, sarà stato oramai
completamente trasformato, di diritto, in uno strumento fedele
alla superiore volontà del Comune;
Di certo dopo il secolo XII, la posizione costituzionale e
politica del Dose, nei riguardi dei meccanismi che regolavano
la gestione del potere fra i pubblici ordinamenti del giovane
ducato, non subirà più alcuna variazione di rilievo; egli
rimarrà, da allora e sino alla fine della Repubblica, ciò che
il patriziato veneziano lo aveva in effetti sempre desiderato:
-
il
glorioso simbolo dello Stato;
-
il
supremo custode delle Leggi della Repubblica;
-
il
presidente di tutte le assemblee politiche.
Ogni concreta possibilità di autonoma iniziativa politica,
derivante dai poteri riconosciuti all'istituzione ducale, sarà
resa definitivamente impossibile nel momento in cui la legge
imporrà al Dose di condividere tutte le proprie attribuzioni
con i membri del Minor Consiglio
(che assumeva il titolo di Serenissima
Signoria riunendosi con i tre
Capi della Quarantia al Criminal), all'interno del
quale, il Capo dello Stato si ritroverà ad essere considerato
alla stessa stregua degli altri sei Consiglieri ducali.
Dalle ceneri dell'istituto monarchico rappresentato dal Dux,
prende vita, per poi rapidamente cristallizzarsi nelle nuove
forme, niente di più di un magistrato comunale: il Dose.