Le procedura
elettiva prima della riforma del 1268.
Scorrendo
l'evoluzione dell'istituto ducale, si è potuto apprendere come
nei primi tempi il nuovo
Dose venisse molto spesso eletto per acclamazione.
Un metodo assai sbrigativo che però costituiva quasi sempre
anche l'occasione per l'insorgere di violenti scontri armati tra
le varie fazioni nobiliari che si disputavano il controllo del
potere e le rispettive clientele popolari trascinate nella lotta
per fedeltà ai loro signori.
A
palese testimonianza di quanto detto, nel periodo compreso tra
il 742 ed il 1032 su ben ventinove eletti, solo
otto morirono di morte naturale ed uno perì combattendo
valorosamente in guerra, ma ben tre furono assassinati, quattro
accecati, cinque rifiutarono la carica al solo scopo di avere
salva la vita ed otto furono allontanati con la forza ed espulsi
dal ducato.
Per evitare che l'elezione di ogni nuovo
Dose significasse quasi automaticamente anche
l'occasione per contrasti tanto cruenti quanto pericolosi per
l'unità del piccolo Stato, si vennero elaborando nel tempo
procedure sempre più complesse, che se da una parte raggiunsero
lo scopo principale di attenuare le tensioni, dall'altra
costituirono sicuramente il mezzo ideale con il quale la
minoranza aristocratica riuscì a sottrarre, in maniera quasi del
tutto indolore, anche quest'antica ed ultima prerogativa alla
diretta sovranità del popolo.
Se
per l'elezione del Dose
Domenico Selvo (1071‑1085)
vennero ancora convocati tutti gli uomini liberi residenti nel
Dogado, la procedura che fu adottata per l'elezione del
Dose
Sebastiano Ziani (1172‑1178), segnò invece
una prima, importante trasformazione: la legge di riforma
stabilì che l'Arengo dovesse
ora limitarsi a designare undici grandi elettori i quali,
una volta raggiunta la maggioranza sul nome del nuovo
Dose, ne avrebbero
sottoposto l'approvazione all'Assemblea popolare.
Non è difficile immaginare che, entro quel ristrettissimo
numero, gli elettori appartenenti alla classe aristocratica
finirono immediatamente per prevalere, in modo che con
l'accettazione di questo primo filtro, da questo momento la
conferma che veniva in seguito richiesta all'Arengo
iniziò ad assumere i connotati di una pura e semplice formalità,
ormai priva di qualsiasi valore politico.
Verso il pieno consolidamento di questo obiettivo si orientò con
più decisione la riforma successiva, approvata nel 1178,
durante quello che sarà anche l'ultimo anno del dogado di
Sebastiano Ziani, quando il 12
aprile venne introdotta una ulteriore modifica con cui da una
parte venne ridotto da undici a quattro il numero degli elettori
che l'Arengo avrebbe dovuto
nominare, dall'altra i quattro elettori avrebbero dovuto
limitarsi a designare i quaranta membri di un apposito
Colégio che avrebbe eletto il
nuovo Dose a maggioranza
assoluta. Appare del tutto evidente che con la successiva
applicazione di questa modifica, all'Arengo
venne formalmente preclusa ogni possibilità di poter intervenire
con qualche successo in quella che si avviava ormai ad assumere
il contorno di una faccenda praticamente tutta ristretta
nelle mani dell'aristocrazia.
L'adozione della nuova procedura avrebbe dovuto garantire
l'ottima risoluzione del delicato affaire, ed invece nel
1229, un'imprevista situazione di stallo si venne a
creare durante i lavori per la designazione del nuovo
Dose. Del tutto
inaspettatamente infatti, il corpo elettorale si divise allora
in due blocchi ed ognuno propendente per il proprio candidato
nella perfetta parità di consensi: Marino
Dandolo l'una, Jacopo Tiepolo
l'altra. L'inceppamento del meccanismo costituzionale, unito al
perdurare per un periodo troppo lungo di tempo di un pericoloso
vuoto di potere, venne risolto pragmaticamente affidandosi
all'estrazione a sorte, ed il caso volle vincitore
Jacopo Tiepolo. L'episodio non
venne però sottovalutato ed al fine di evitare che tali episodi
potessero verificarsi nuovamente, nel periodo di tempo tra il
1229 ed il 1249, il numero degli elettori del
Colégio venne ampliato a 41, in
modo che così una maggioranza non potesse mai più mancare.
Sarà alfine nel 1268, in occasione della morte del
Dose
Renier Zeno, che un avveduto
Mazor Consejo licenzierà la nuova, complicatissima e
definitiva legge elettorale che, sottoposta all'approvazione
dell'Arengo, riunito per
l'occasione all'interno della chiesa di San Marco (e qui gli
storici colgono l'occasione per sottolineare, data la non grande
vastità dell'edificio religioso, come all'interno della chiesa
potessero trovare posto a malapena il doppio dei membri del
Mazor Consejo) venne da questo
invariabilmente plaudita (approvata).
Il
passaggio relativo all'approvazione popolare continuò
invariabilmente a sopravvivere come formalità, ma è evidente che
l'assenso veniva definitivamente a scadere dal ruolo di
necessaria conferma a quello, politicamente molto più profondo,
di vera e propria sudditanza ad una decisione già da altri
assunta.
La
nuova legge, rimasta da allora immutata fino alla fine della
Repubblica, sancì in maniera definitiva che la designazione del
Dose era ormai divenuta una
prerogativa esclusiva del Mazor Consejo.
La legge
elettorale definitiva.
Prima dello schema riassuntivo, che aiuterà ad inquadrare meglio
la complessità della procedura, vale la pena scomporre con cura
ogni singolo passaggio dell'articolato meccanismo:
-
Nessun nobile che avesse meno di trent'anni poteva partecipare
all'elezione.
-
Chiuse
le porte della sala del Mazor Consejo,
veniva verificata la legittimità della presenza di ciascuno,
quindi i segretari contavano i nobili poi versando in un alto
concolo (bacile) tante ballotte quanti erano i
presenti, delle quali trenta erano dorate e riportavano
scritta la dicitura elector (elettore).
-
Iniziava
la prima operazione e mediante l'appello ciascuno era
chiamato ad avvicinarsi al concolo dal quale, in sua
vece, il ballottino (un fanciullo del popolo scelto a
caso per strada dal Consigliere
Ducale più giovane), attentamente sorvegliato dai
membri della Signoria,
estraeva a caso una ballotta. Mentre si proseguiva fino a
completare l'estrazione di trenta ballotte d'oro, tutti i
parenti di coloro che la sorte designava elettore
dovevano immediatamente lasciare la sala, ricadendo da questo
momento nella condizione di cacciati di cappello.
-
Si passava alla seconda operazione e vuotato il
concolo, si provvedeva a gettare dentro trenta ballotte
delle quali però solamente nove erano d'oro con impressa la
parola elettore; dei 30 precedentemente estratti coloro i
quali la sorte assegnava le nove ballotte venivano
accompagnati fuori della sala per riunirsi in quella,
contigua, detta appunto Sala dello
Scrutinio.
-
Aveva
luogo la terza operazione, durante la quale i nove
dovevano nominare a loro volta un gruppo di quaranta nuovi
elettori, ognuno dei quali doveva essere approvato con la
maggioranza di almeno sette voti; completata la lista,
rientrati nuovamente nella sala del
Mazor Consejo, a cura dei segretari venivano
chiamati i nomi dei quaranta, i quali a loro volta col
medesimo sistema del ballottaggio, venivano ridotti a dodici
elettori.
-
La
quarta operazione prevedeva che i dodici, ritiratisi
pure loro in Sala dello Scrutinio,
nominassero a loro volta venticinque nuovi elettori, ognuno
dei quali approvato con la maggioranza di otto voti; si
ritornava quindi in Mazor Consejo
dove venivano chiamati i venticinque, i quali nuovamente erano
ridotti, col sistema solito del ballottaggio, a nove elettori.
-
Con la quinta operazione i nove ritornavano ancora
nella Sala dello Scrutinio
dove eleggevano a loro volta altri quarantacinque nuovi
elettori, ognuno dei quali andava approvato con almeno sette
voti a favore; quindi i nomi dei quarantacinque erano chiamati
dai segretari in Mazor Consejo
e col susseguente ballottaggio il loro numero era ridotto da
quarantacinque a undici elettori.
-
La sesta operazione portava gli undici elettori a fare
ritorno nella Sala dello Scrutinio
dove provvedevano a nominarne altri quarantuno, ciascuno
approvato con almeno nove voti a favore, formando così il
Colégio del Quarantuno,
incaricato di eleggere il nuovo Dose.
Il
rigoroso conclave nel quale veniva immediatamente dopo rinchiuso
il Quarantuno era
minutamente regolato. Radunati gli elettori entro la
Sala dello Scrutinio, quale
primo atto essi provvedevano a nominare un ufficio di
presidenza, composto solitamente da tre priori e da due
scrivani, quindi veniva eseguito l'appello nominale e
poi, se tutto era risultato in ordine, iniziava la prima tornata
dei lavori, nella quale ogni elettore doveva segretamente
segnare un nome su di una polizza, che veniva poi gettata
dentro un'urna.
Completato il giro, gli scrivani estraevano le polizze e
registravano il nominativo di ogni nobile indicato, compilando
così la lista dei candidati, quindi riponevano entro l'urna
tante polizze quanti erano stati i nomi complessivamente
indicati. A sorte veniva estratta la prima polizza e letto ad
alta voce il nome inscritto, se la persona nominata era presente
tra il Quarantuno, questi
aveva l'obbligo di allontanarsi prima dell'inizio del
dibattimento. Una volta che la discussione veniva considerata
esaurita, era il momento di passare al voto.
La
procedura di voto prevedeva che ad ogni elettore
rimanesse seduto al suo posto e che gli fosse consegnata una
ballotta, quindi una speciale "urna" suddivisa in tre
scomparti coperti (rispettivamente per il voto de Parte,
il voto de Non, il voto non sincero) veniva
portata in giro tra gli elettori i quali, introducendo la mano
dentro all'urna, facevano cadere la ballotta dentro lo scomparto
desiderato, il tutto nel massimo segreto.
Terminata l'operazione di voto, gli scrivani provvedevano alla
conta: se il quorum, fissato dalla legge in almeno venticinque
voti a favore, era stato raggiunto, il nuovo
Dose era stato eletto,
altrimenti si procedeva estraendo una seconda polizza e si
ricominciava nuovamente tutta la minuziosa trafila.
Va
notato che, alla già estrema severità della legge elettorale, si
accompagnavano le disposizioni d'ordine che in pratica finivano
per ampliare notevolmente la già grande rigidità formale:
-
dal momento in cui le porte del Mazor
Consejo venivano sbarrate e sino all'avvenuta
formazione del Quarantuno,
le porte del Palazzo Ducale restavano chiuse e sorvegliate a
vista da drappelli di fedelissimi arsenalotti armati di
tutto punto, mentre era severamente proibita all'assemblea
ogni comunicazione con l'esterno;
-
una
volta eletto il Quarantuno,
tali restrizioni restavano applicate sull'attività del
collegio in modo se possibile ancora più formale e rigoroso:
nessuno dei grandi elettori poteva fisicamente uscire dalla
Sala dello Scrutinio se
prima il nuovo Dose non
era stato eletto;
-
per evitare che qualche membro preminente del
Quarantuno potesse
indirettamente esercitare sugli altri un'illecita pressione
(cosa che avveniva non di rado, nonostante le severe
disposizioni esistenti) qualunque richiesta, anche la più
piccola ed insignificante, fatta nel corso del conclave (un
libro particolare, ma anche un semplice bicchiere di vino)
veniva automaticamente fatta pervenire moltiplicata per il
numero degli elettori.
Essendo il prodotto
di un meccanismo elettivo volutamente complicato, le lunghe
discussioni sui nomi dei candidati proposti, le frequenti
sospensioni e le sotterranee quanto estenuanti mediazioni
politiche, facevano durare i lavori a volte anche per settimane,
tanto che non di rado accadde che il
Minor Consiglio si risolvesse ad invitare il
Quarantuno, con il dovuto
garbo ma altrettanta fermezza, ad una sollecita quando non
ulteriormente prorogabile scelta.
Finalmente, una volta che il nuovo Dose
era stato scelto, al popolo che intanto affollava ogni giorno la
piazza, era annunciato, seguendo un cerimoniale che meglio si
vedrà nel capitolo che segue, ciò che oramai in pratica
costituiva un evento irrevocabile.
Schema riassuntivo del meccanismo di voto.
Operazioni Elettive |
Numero degli elettori |
Eletti per elezione (quorum richiesto) |
Eletti per elezione |
1^ |
Tutti i membri del Maggior Consiglio con almeno 30 anni |
Estrazione della
balla d'oro
|
30 |
2^ |
30 |
Estrazione della
balla d'oro |
9 |
3^ |
9 |
nominati:
40
( quorum 7 )
|
Ridotti con estrazione della balla d'oro a:
12 |
4^ |
12 |
nominati:
25
( quorum 8 )
|
Ridotti con estrazione della balla d'oro a:
9 |
5^ |
9 |
nominati:
45
( quorum 7 )
|
Ridotti con estrazione della balla d'oro a:
11 |
6^ |
11 |
nominati: 41
( quorum 9 )
|
el Dose
de Venexia |
La cerimonia di
incoronazione.
Come per ogni momento della vita pubblica della Repubblica,
anche la cerimonia di incoronazione del nuovo
Dose era minutamente regolata
da un lungo cerimoniale, carico di un forte simbolismo che
continuamente richiamava la fedeltà allo Stato, la netta
separazione dei poteri ed infine l'ineluttabile vacuità del
passaggio in questa vita terrestre.
Il
giorno dell'incoronazione, all'ora stabilita e facendo prima
suonare un campanello, il Cavaliere andava a prelevare il Doge
nelle sue stanze private, precedendo un breve corteo formato
dagli scudieri, dai cavalieri, dai gastaldi ducali, dai
segretari, dai cancellieri e dal Cancellier Grande;
quando il Serenissimo aveva completata la vestizione, con
dogalina cremisi e berretta a tozzo detta anche a
tagliere (molto simile nella forma a quella usata dai
generali veneti, e che in seguito egli avrebbe continuato ad
usare anche durante le adunanze di minor conto) il gruppo usciva
dagli appartamenti e arrivato nella sala che fungeva da
anticamera d'udienza, il Doge incontrava ad attenderlo il
Collegio del Quarantuno, ossia coloro che lo avevano scelto
ed eletto.
Aggregatosi il Quarantuno al corteggio, transitando ora per la
sala detta dello Scudo, il Doge aveva tempo per salutare i
propri parenti e gli amici che quindi unendosi anch'essi con lui
proseguivano, scendendo per la Scala d'Oro ed arrivando alla
porta che immetteva nella sala del Collegio, dove sulla soglia
stava ad attendere la Signoria, il cui Consigliere Ducale più
giovane ufficialmente presentava al Doge il ballottino,
raccomandandolo alla sua augusta protezione.
Dalla sala del Collegio ci si spostava poi nella piccola chiesa
posta dietro alla sala del Senato, dove il Capo dello Stato si
toglieva la berretta a tozzo e riceveva la benedizione
dell'acqua santa, quindi raggiungeva il proprio inginocchiatoio
rimanendo però in piedi fino al momento in cui tutto il Collegio
del Quarantuno non fosse entrato, subito dopo mentre la Signoria
s'inginocchiava ai posti ad essa riservati e così altrettanto
faceva anche il Quarantuno iniziando ad accomodarsi dalla fila
di panche posta accanto a quelle riservate ai Capi della
Quarantia ma non potendo però mai occupare quelle riservate ai
Consiglieri che fossero eventualmente impediti od assenti, che
così rimanevano vuote; gli amici ed i parenti invece assistevano
alla messa rimanendo nell'andito.
Conclusa la funzione, il corteo usciva rientrando per la sala
dell'anticollegio e scendendo ancora la Scala d'Oro si arrestava
questa volta davanti alla porta della Cancelleria Inferiore: qui
era il momento nel quale la Signoria, assieme al Cancellier
Grande ed agli altri ministri, si fermava ed il Doge volgendo
loro lo sguardo li congedava salutandoli; quindi egli proseguiva
per la scala detta di San Nicolò avendo davanti a sé il
ballottino e dietro subito a seguire il Quarantuno, indi amici e
parenti.
Passando per la porta detta di San Clemente, egli faceva il suo
ingresso nella Chiesa di San Marco, salendo quindi l'ambone di
sinistra, a questo scopo riservato e chiamato "el pergòlo
grando", per mostrarsi al popolo che affollava la Basilica
ed avendo al suo fianco due del Quarantuno; il più anziano dei
quali lo annunciava ufficialmente alla moltitudine con la
formula di rito: ”Questo è il vostro Doge, se vi piace!”
(questo proclama ebbe a subire una non indifferente modifica
quando, vuotata di qualsiasi peso politico la collaudatio
popolare del nuovo eletto, che pure non venne mai formalmente
disattesa, essa assunse la seguente nuova forma: ”Abbiamo
eletto Doge... e seguiva il nome del patrizio)”, mentre le
campane iniziavano a suonare a distesa.
Muovendo verso la medesima porta dalla quale egli era entrato in
Chiesa, il Doge incontrava ad attenderlo sulla soglia il
Primicerio, ricevendone da questi acqua santa, benedizione di
pace ed incenso, quindi uniti si portavano verso l'altar
maggiore dove il prelato recitava alcune orazioni ed il Doge,
dopo essersi prima inginocchiato, ascendeva egli stesso
all'altare dove solennemente giurava di rispettare i privilegi
della Chiesa, mentre il Cavaliere faceva tintinnare su di una
sottocoppa appositamente preparata il numero di quindici
zecchini.
Durante questa fase della cerimonia, il Quarantuno stava in
piedi distribuito attorno all'altare, ed al termine di questa il
Primicerio, ricevendo dal Diacono il gonfalone di San Marco, lo
presentava innanzi al Doge pronunciando la formula di rito:
Consignamus Serenitati Vestre vexillum Sancti Marci in signum
veri et perpetui Ducatus, al che il Serenissimo rispondeva:
Accipio; dopo di ciò il Cavaliere lo scortava innanzi
all'Ammiraglio dell'Arsenal al quale veniva
consegnato il gonfalone per il proseguo del cerimoniale.
Copertosi nuovamente il capo, il Doge scendeva allora dagli
scalini del coro per salire sul pozzetto, accompagnato
dal ballottino, da tre o massimo quattro parenti fra i più
stretti nonché dall'Ammiraglio che reggeva lo stendardo; la
grande portantina veniva quindi issata sulle spalle da un
nutrito gruppo di robusti arsenalotti ed uscita dalla Chiesa
faceva il giro completo della piazza, durante il quale il Doge
lanciava grandi quantità di monete (provenienti dal proprio
patrimonio personale) alla moltitudine che, festante, lo
acclamava per nome.
Mentre il giro attorno alla piazza veniva completato, nel
frattempo il Quarantuno aveva lasciato la Chiesa e raggiunto i
Consiglieri Ducali, che attendevano il Doge sul pianerottolo
superiore della maestosa Scala dei Giganti in cortile del
Palazzo Ducale, essendo presenti anche il Savio Cassier ed il
Cancellier Grande; poco dopo, passando attraverso la Porta della
Carta, il Doge arrivava ancora seduto in pozzetto fino al primo
gradino della scala monumentale da dove egli ne iniziava in
solitudine l'ascesa, quale metafora della propria carriera
politica che, come tutti, era comunque iniziata dal basso.
Giunto al pianerottolo, sotto lo sguardo severo dei due colossi
di marmo Nettuno e Marte ed avendo giusto in faccia il leone di
San Marco, il Doge prestava solenne giuramento di osservare
fedelmente la Promissione Ducale il cui codice era tenuto
dal Consigliere Ducale più anziano (il Vicedoge) al quale
l'aveva a sua volta fatto pervenire il Cancellier Grande, che
poi la riceveva di ritorno.
Successivamente al giuramento, il Cavaliere toglieva dalla testa
del Serenissimo la berretta a tozzo e quindi, secondo una
disposizione approvata dal Senato nel 1485, il Consigliere
Ducale più giovane in età poneva sul capo del Principe il
camauro (vale a dire la cuffietta di lino bianco che mai era
tolta, nemmeno in chiesa), mentre il Consigliere Ducale più
vecchio vi poggiava sopra la Zogia (la "Gioia", ossia il
fastoso diadema che rappresentava la pubblica corona)
pronunciando la formula di rito: accipe coronam ducatus
Venetiarum.
Muovendo poi dalla Scala dei Giganti fino alla Loggia Foscara,
alla moltitudine del popolo radunata in Piazzetta il Doge si
mostrava ufficialmente incoronato fra le acclamazioni festanti.
Conclusa l'esposizione, il Doge, preceduto dai ministri e
seguito dal corteo si avviava verso la Sala del Piovego,
dove egli prendeva posto sedendo ora in trono, attorniato dai
membri della Signoria e del Quarantuno equamente distribuito ai
suoi lati; qui il Savio Cassier si licenziava e quando tutti i
presenti avevano trovato posto poteva allora levarsi il più
anziano del Quarantuno, cui il cerimoniale assegnava il compito
di rammentare al Serenissimo che la sala dove ora si trovavano
riuniti sarebbe stata la medesima nella quale il Capo dello
Stato sarebbe nuovamente transitato poco dopo aver reso conto al
Signore Iddio per la propria anima ed al Governo della
Repubblica per il suo operato.
Terminata anche questa severa ammonizione che poneva l'accento
con crudezza la caducità della vita e dunque dell'incarico,
tutti nuovamente si levavano ed uscivano, quindi, in prossimità
della Scala d'Oro iniziava il Minor Consiglio a congedarsi, al
primo pianerottolo della scala era il turno dei Capi della
Quarantia ed infine, arrivati nella sala dello Scudo, alla porta
della camera d'udienza, si accomiatavano i parenti ed il
Quarantuno.
Volgendosi
il Dose incontrava di nuovo il Savio Cassier che attendeva
la riconsegna della Zogia che, affidata nelle mani di un notaio,
veniva riposta presso la Procuratia di San Marco dove era
conservata assieme al tesoro di San Marco. Tolta la Zogia, il Cavaliere gli ricopriva il capo con la
berretta a tozzo e quindi, congedatosi anche il Savio Cassier,
finalmente il nuovo Principe, accompagnato dalla propria corte,
si ritirava nelle stanze private.