Previste dal
cerimoniale, con queste parole il Cavalier del Dose
recava innanzi al Pien Collegio l'annuncio ufficiale
dell'avvenuta scomparsa del Dose :
“Serenissimo
Principe.
Il
Serenissimo d’immortal memoria è passato da questa a miglior
vita,
compianto da
tutti gli ordini per le sue rare e singolari virtù.
Presento a
V.S. il regio sigillo e le chiavi dell’Erario
per comando
degli Eccellentissimi familiari
e per dover
del mio umilissimo ministero”.
Rappresentando
in questo momento la massima carica della Repubblica, il Consigliere Ducale più anziano per età,
nella sua qualità di Vicedose, così rispondeva:
“Con molto
dispiacere
avemo inteso la
morte del Serenissimo Principe di tanta pietà e bontà,
però ne faremo un
altro.”
Non appena il
Dose aveva cessato di
vivere, un congruo numero di arsenalotti armati, scelti con gran
cura fra i più fidati e precedentemente allertati, veniva posto
a presidiare le due entrate di Palazzo Ducale.
Negli appartamenti ducali arrivavano i medici, che provvedevano
ad asportare le viscere, gli occhi, il cervello ed ogni altra
parte molle, in modo poi da evitare che la decomposizione degli
organi sprigionasse il caratteristico, nauseabondo odore.
Completata questa prima operazione, il corpo era lavato e
sottoposto ad imbalsamazione quindi veniva vestito con stoffe
d'oro, il berretto in testa ed il manto sulle spalle.
Successivamente veniva disteso sulla portantina nella quale in
precedenza era stato spiegato un lenzuolo pure dorato; infine a
lato della salma veniva adagiata la spada, mentre ai piedi
venivano calzati gli speroni rivolti in avanti.
Il
Cavalier del
Doge raccoglieva quindi il sigillo (che andava spezzato)
e le simboliche chiavi dell'Erario e si recava innanzi al
Pien Collegio a proferire la frase prevista dal cerimoniale
e ricevendone l'illuminante risposta dal Vicedoge.
Dopo di ciò la salma poteva essere traslata dagli
appartamenti ducali fino alla sala di palazzo detta del
Piovego, vi provvedevano sollecitamente i canonici di San
Marco mentre il feretro era scortato dai membri della Signoria. Questo era il momento in
cui le campane suonavano nove volte doppie, affinché
anche tutta la città fosse ufficialmente a conoscenza dell'avvenuta
morte del Dose.
Concluso il trasferimento, le stanze della residenza
ducale dovevano essere immediatamente lasciate libere anche dai
famigliari e dalla servitù, poichè la legge disponeva che
una volta che le spoglie del Dose
ne fossero uscite, i suoi appartamenti dovevano essere
contemporaneamente occupati dai membri della Signoria, chiamata a
supplire alla mancanza del Capo dello Stato durante
l'interregno. In questo delicato periodo di tempo, tutti gli
atti amministrativi altrimenti non rinviabili riportavano la
dicitura di rito: Consiliarij Venetiarum et Rectores Ducatus
(i consiglieri di Venezia e reggenti del ducato), conclusi alla
fine con Vacante Ducatu.
Non appena
insediata, la
Signoria provvedere a
designare ventidue patrizi, normalmente scelti fra i più
eminenti, i quali venivano poi inviati a stazionare in
permanenza nella camera ardente, dove il corpo del
Dose restava esposto al pubblico
per la durata di tre giorni.
Durante questo breve periodo, considerato di lutto stretto, i
ventidue patrizi vestivano esclusivamente la veste di color
scarlatto, il tipico rosso acceso con il quale vestivano
solitamente i membri della Signoria.
Il voluto contrasto con i vestiti di colore nero indossati dagli
altri nobili, simboleggiava visivamente, che seppure il Dose fosse passato a miglior vita,
ciò non costituiva affatto un motivo di impedimento per lo
Stato, che posto sotto la tutela dei sei Consiglieri
Ducali continuava invariabilmente ad
esercitare tutte le sue prerogative.
Passati i tre giorni di esposizione previsti dal cerimoniale, la
Signoria convocava a palazzo il Mazor
Consejo, invitando tutti
coloro che sarebbero convenuti di vestire a lutto. I figli ed i
parenti stretti del defunto venivano invece convocati e radunati
presso la sala del Senato.
Nel momento in cui da Palazzo Ducale iniziava a muoversi la
processione solenne, con destinazione verso la chiesa dove il Dose aveva stabilito, in vita o per
testamento, di essere sepolto, tutte le campane della città
iniziavano a suonare a morto; al passaggio del corteo le
botteghe chiudevano le porte ed ognuno sospendeva la propria
occupazione, in segno di rispetto.
Attraverso un dettagliato elenco riportato dal celebre diarista
Marin Sanudo, è possibile anche risalire alla composizione del
corteo funebre. Esso si apriva con gli alfieri reggistendardo
delle numerose schole picole di
mestiere, seguivano le rappresentanze delle sei schole grandi, poi le nove
congregazioni di preti, quindi i comandadori vestiti di
bianco con in testa il berretto rosso recante l'effigie di San
Marco, poi gli scudieri vestiti tutti di nero, quindi
prima il Capitolo di San Marco e
poi il Capitolo patriarcale,
seguiva una rappresentanza della schola
alla quale il Dose era iscritto e
della quale ne indossava l'abito (non avendo aderito mai ad
alcuna schola, s’imponeva d'ufficio
quella granda de San Marco).
Avanzava quindi il grande baldacchino con il defunto, portato a
spalle dagli arsenalotti; subito dopo veniva l'ombrello d'oro,
poi i ventidue patrizi vestiti di rosso scarlatto in
rappresentanza della Signoria,
impossibilitata a partecipare in quanto obbligata a risiedere
permanentemente in Palazzo Ducale; veniva poi il Patriarca,
quindi gli ambasciatori e chiudeva il corteo la folla al
seguito, composta da patrizi, borghesi e popolo, fianco a
fianco.
Una volta che il corteo era arrivato presso la chiesa designata,
vi faceva ingresso il baldacchino che veniva collocato sopra un
palchetto che era stato preparato a cura della schola di appartenenza del
Dose, posto normalmente in
posizione rialzata, rivestito di drappi neri, circondato da
fiaccole e candele.
Da
un pulpito appositamente costruito, rivestito anch'esso
completamente di panno nero, era compito di un patrizio, scelto
anch'esso dalla Signoria, eseguire
l'orazione funebre ufficiale, nella quale venivano rimarcati i
tanti pregi del Principe appena scomparso. Successivamente il
Patriarca officiava la messa, dopo di che la salma veniva
riposta nell'urna sepolcrale.
Nel pomeriggio, completata la cerimonia con la consumazione del
pasto funebre, mentre tutti si accingevano a far ritorno alle
loro case, si udiva in tutta la città il suono della campana di
San Marco che annunciava la convocazione del Mazor Consejo per il giorno
seguente.
Iniziavano
le procedure per l'elezione del
nuovo
Dose.