organi costituzionali

Repubblica Serenissima

Dose

LA PROMISSIONE DUCALE

 

la genesi della "Promission Ducal".

      la "Promission" di Enrico Dandolo, Dose XLI (1192 - 1205).

      la "Promission" di Piero Ziani, Dose XLII (1205 - 1229).

      la "Promission" di Jacopo Tiepolo, Dose XLIII (1229 - 1249).

      la "Promission" di Marino Morosini, Dose XLIV (1249 - 1253).

      la "Promission" di Lorenzo Tiepolo, Dose XLVI (1268 - 1275).

      la "Promission" di Jacopo Contarini, Dose XLVII (1275 - 1280).

conclusione.

 

"Honorem autem et proficuum veneciarum

 consiliabimus, tractabimus et operabimus

bona fide sine fraude".

 

 (dal giuramento pronunciato dal Dose Enrico Dandolo).

 

 


 

La genesi della " Promission Ducal ".

 I  l termine Promissione deriva direttamente dal vocabolo promissio, che trae origine dalla formula di protocollo con cui aveva normalmente inizio il preambolo delle antiche leggi veneziane.

Nel caso specifico, la Promission era un documento pubblico che elencava in maniera assai dettagliata tutti gli impegni e gli obblighi che il nuovo Dose, giurando al momento del suo insediamento, si apprestava ad assumere inizialmente nei confronti del Comune e poi dello Stato.

Il testo esordiva sempre con il dispositivo: promittentes promittimus, per concludersi poi con la formula: haec promissionis charta in sua maneat firmitate.

Per quanto riguardava il tenore della redazione, la Promission è sicuramente accostabile più ai giuramenti che erano pronunciati dai vescovi al Patriarca di Venezia, che non invece alla forma comunemente usata nelle Parti veneziane (solitamente assai precise e pignole).

Secondo l'opinione del Maranini, ancora prima che avvenisse la fondazione del Comune, la preminenza politica della classe aristocratica, fortemente interessata a limitare i poteri del Dux, ebbe tutto il modo di riflettersi nella redazione di questo documento il quale, lungi dal potersi all'inizio definire un atto d'imperio, assomigliava piuttosto ad una raccolta di promesse che delimitavano il campo d'intervento entro il quale il Dux giurava di trattenere i suoi poteri.

Inizialmente il carattere elastico e forse volutamente ambiguo del trattato, che aveva quale oggetto non più di una semplice promessa, appare pienamente rispondente al progetto politico della classe aristocratica che, senza scosse vistose all’ordine costituito ma con la prudente lentezza che caratterizzerà ogni sua azione anche nei secoli a venire, riuscirà prima a privare di ogni effettivo potere l'Arengo (senza però mai abolirlo ufficialmente) e poi ad inglobare entro la struttura costituzionale dello Stato anche il riottoso istituto ducale.

Il patriziato veneziano potrà permettersi, alla fine del secolo XII, a non limitarsi di far promettere al Dose il rispetto formale delle leggi ma anche a fargli giurare l'osservanza di un vero e proprio Capitolar, vale a dire una dettagliata raccolta dei suoi diritti e dei suoi doveri nei confronti dello Stato così come, nella stessa identica maniera, era obbligato a fare ogni altro semplice magistrato al momento di assumere il proprio ufficio.

Anche se di fatto equiparato al documento fondamentale di ogni Consiglio, ufficio o magistratura della Repubblica, nella sostanza però la Promission continuò in qualche modo a differenziarsi dal consueto taglio con cui furono redatti i normali Capitolari. Ciò non solo per il fatto che in essa erano contenute norme assai più generiche, ma soprattutto perchè persisteva una chiara volontà a privilegiare la forma, piuttosto che la sostanza (comunque fortemente restrittiva).

 L  a più antica fra le Promissioni pervenute sino a noi è quella giurata dal Dose Enrico Dandolo, anche se il 1192, anno nel quale generalmente si ipotizza la redazione di questo documento, è di per sè del tutto presunto, essendo stato ricavato semplicemente dall'anno di elezione; ciò perché né in questo né in quello giurato dal suo successore, Piero Ziani, vi è stata riportata la data.

Non vi è inoltre alcuna certezza che la Promission del Dandolo possa anche essere considerata la prima in assoluto. A questo proposito, secondo il Cecchetti, probabilmente tutti i diritti ed i doveri del Dose, anteriormente al 1192, non vennero mai condensati in un unico documento ufficiale, anche se pare non discutibile il fatto dell'obbligatorietà nel giurare di perseguire il profitto ed onore di Venezia. Per contro, sullo stesso punto, l'opinione del Maranini è che i primi giuramenti solenni dei Dosi sono effettivamente da considerarsi come vere e proprie promesse, scritte e pensate in modo da tutelare quanto più possibile gli interessi dello Stato. A sostegno della sua tesi lo storico chiama in causa la redazione della promissio maleficiorum del 1181.

Infine, a parere del Cessi, solo a partire dalla Promissione del Dandolo le norme che determinavano i diritti ed i doveri assegnati alla dignità ducale vennero finalmente coordinati in un unico testo di legge; probabilmente, egli conclude, precedentemente a tale data i Dosi giuravano solamente sopra singoli atti legislativi. Vi è dunque qualche tenue possibilità che prima di Enrico Dandolo altri Dosi abbiano quantomeno pronunciato blandi impegni di autolimitazione del proprio potere.

La svolta arriverà con la fondazione del Comune veneziano (tra il 1141 ed il 1143), poiché se prima di tale avvenimento risulta francamente impossibile ipotizzare l'esistenza di un consiglio politico che potesse agire indipendentemente dalla volontà del Dux, successivamente a ciò è accertata la costituzione di un Consiglio di Savi (Sapientes) dotato di una forte autonomia politica rispetto all'autorità ducale, e perfettamente in grado di operare nella direzione di predisporre un Capitolar sul quale il futuro Dux avrebbe dovuto giurare per poter completare l'insediamento.

Volendo allora considerare la data di fondazione del Comune come l'inizio, ne consegue che, a livello di semplice congettura, il primo Dose al quale i Savi sarebbero riusciti ad imporre un giuramento solenne di autolimitazione, può essere stato Piero Polani (1130 - 1148) oppure Domenico Morosini (1148 - 1156).

 


 

La "Promission" del Dose Enrico Dandolo.

 N  el Capitolar più antico giunto fino a noi, quello di Enrico Dandolo (1192-1205), seppure la struttura della redazione del testo sia sostanzialmente non lineare, tuttavia gli impegni solennemente giurati dal Dose appaiono schiettamente delineati:

  • governare rettamente secondo giustizia,

  • accrescere il prestigio di Venezia,

  • rendere prontamente giustizia a tutti,

  • applicare le leggi in maniera imparziale,

  • fare giustizia dei documenti falsi,

  • mantenere il segreto di quanto dibattuto nei consigli,

  • non riscuotere né appropriarsi di beni o rendite spettanti al Comune,

  • non concedere a nessuno il sigillo del Ducato,

  • armare a proprie spese almeno dieci navi per il Comune,

  • non influenzare l'elezione dei Vescovi e del Patriarca,

  • non inviare lettere personali al Pontefice, all'Imperatore o ai Re,

  • non nominare di proprio arbitrio giudici e notai,

  • rispettare la collegialità nella gestione del potere,

  • mantenere il buon accordo tra il Minor ed il Mazor Consejo.

Sono i toni fortemente perentori delle limitazioni elencate in questa Promission, che hanno indotto gli studiosi a formulare l'ipotesi che questo non possa essere considerato con sicurezza il primo atto in assoluto, ma che invece l'opera dei Savi nel tentativo di addivenire ad un più stretto controllo del potere ducale fosse in realtà già iniziata nei dogadi precedenti.

 


 

La "Promission" del Dose Piero Ziani.

 I  n questa Promission, giurata da Piero Ziani (1205-1229), oltre al più ristretto numero degli impegni elencati rispetto al Dandolo, colpisce in particolare la genericità con cui viene trattato il tema relativo all'obbligo per il Dose di sostenere i diritti del Comune (anche contro sé steso?).

Nonostante però questa pecca sostanziale, l'elenco delle limitazioni costituisce un presidio difficilmente valicabile dal Dose, che prometteva di:

  • mantenere ai Giudici del Proprio i redditi e le regalie che essi erano soliti ricevere;

  • riscuotere dalle Arti, dai Chioggiotti e dal Patriarca d'Aquileia quanto era stabilito dalla legge;

  • non accettare alcun dono personale;

  • confermare i Gastaldi delle Arti;

  • ricevere l’emolumento annuo stabilito per la carica ricoperta;

  • versare di buon grado le imposte di guerra stabilite dai Consiglieri;

  • sostenere i diritti del Comune;

  • non confiscare le proprietà private a proprio arbitrio;

  • eseguire ciò che a lui era affidato e far eseguire quello che venisse deliberato dai Consigli;

  • tenere udienza pubblica ogni venerdì;

  • far applicare i diritti derivanti dall’apposizione della bolla ducale e conservarla integra.


 

La "Promission" del Dose Jacopo Tiepolo.

 L  a Promission successiva, giurata da Jacopo Tiepolo (1229-1249), venne notevolmente ampliata e dettagliata nei contenuti e, come asserisce a questo proposito il Romanin, essa probabilmente servì da base anche per tutte le altre che seguirono.

Nel documento, dopo l'introduzione dove è riportata la data del 6 marzo 1229, il Dose prometteva solennemente di:

  • amministrare giustizia nei casi presentati dagli Anziani a la paxe o dai Capi de Contrada;

  • giudicare secondo l'uso e i costumi  e, in difetto di queste, secondo coscienza;

  • in Consiglio porsi dalla parte che gli paresse più ragionevole, serbando il segreto sulle decisioni raggiunte;

  • non ricevere altri compensi oltre quelli spettanti;

  • sorvegliare che la cessione dei beni del Comune avvenisse approvata dal Mazor Consejo unito al Minor Consejo, adoperandosi comunque per la loro conservazione;

  • procurare la riscossione dei crediti pubblici e l'esecuzione delle sentenze dei Consoli dei mercanti;

  • fare giustizia di tutte le carte false, secondo l'uso in vigore;

  • rimanendo vacante la sede patriarcale di Grado, indire l'elezione del sostituto convocando il clero ed il popolo;

  • far rispettare l’uso di riconoscere il diritto all'elezione dei vescovadi resisi vacanti ai rispettivi diocesani; quelle dei monasteri dalle rispettive congregazioni coi loro vescovi, senza che egli potesse intromettere se non avendo il consenso della maggioranza del proprio Consiglio;

  • non ingerirsi sui dazi da riscuotere, se non salve tutte le onorificenze che di diritto gli spettavano;

  • non ingerirsi delle cose di Chioggia, senza la maggioranza favorevole del suo Consiglio, conservando però le onorificenze che erano pattuite con quella città, così come la possibilità di intervenire giudizialmente quando quella comunità mancasse ai propri obblighi; rimaneva però assegnata alla competenza del Comune il compito di inviare a Chioggia il podestà e di amministrare anche alcune funzioni che prima gli spettavano;

  • assegnare al Comune tutte le spese che riguardavano l'invio di messi ed altro, rimanendo però pattuito che entro i confini del dogado egli avrebbe viaggiato a sue spese.

  • acquistare quote del debito pubblico al pari di ogni altro privato cittadino;

  • osservare l'obbligo della conservazione della Basilica di San Marco, di cui egli era assegnatario del protettorato;

  • non spedire lettere né legazioni al Papa, all'imperatore o ad altri principi, senza l'approvazione del suo Consiglio e, ricevendone, comunicarne immediatamente il contenuto;

  • non nominare i giudici della Curia del Proprio, nemmeno sottrarre loro i dovuti compensi;

  • non nominare notai senza il parere favorevole del suo Consiglio assieme alla collaudatio (approvazione) del popolo;

  • non confiscare o concedere ad alcuno beni del Comune;

  • non esigere nulla in più, oltre a quanto gli spettava per legge e per consuetudine, dalle schole picole di mestiere; avrebbe confermato il Gastaldo eletto da ogni Arte;

  • gli escusati (che il Romanin indica come la possibile guardia nobile del Dose) non sarebbero stati obbligati a maggiori servizi di palazzo oltre a quelli già previsti;

  • conservare in buon stato la moneta, perseguendo i falsificatori;

  • non nominare nessun successore;

  • non ricevere doni, facendo giurare la medesima costrizione anche alla Dogaressa ed ai suoi figli;

  • non sollecitare nè permettere ad altri di raccomandarsi per ottenere impieghi e dignità, nè permettere ai suoi figli di accettare alcuna carica di Reggimento;

  • trattare tutti i cittadini con equità e tutti nel medesimo modo proteggere;

  • eseguire quanto stabilito nel Minor Consejo o nel Mazor Consejo;

  • non cercare maggior potere di quello che gli era concesso dalle leggi;

  • trattenere per sè le regalie e le onoranze a lui normalmente riconosciute dalle comunità suddite, ricevendo di stipendio 2.800 lire suddivise per trimestre;

  • essendo impedito di partecipare ai Consigli, avrebbero supplito in sua vece i Consiglieri minori, e quando l'assenza si fosse prolungata, davanti al voto concorde dei sei Consiglieri e della maggioranza del Mazor Consejo, egli avrebbe dovuto rinunciare al dogado, senza manifestare opposizione;

  • far eseguire le elezioni riguardanti le magistrature vacanti, e ricevere nelle sue mani il giuramento di fedeltà degli eletti;

  • adoperarsi per mantenere il buon accordo tra il Minor Consejo e il Mazor Consejo;

  • trattenere al suo servizio non più di venti servi, compresi i cuochi;

  • far conservare da un collaboratore di sua fiducia il sigillo ducale, delegandolo egli solo ad apporlo sui documenti pubblici;

  • concedere udienza tutti i venerdì a chiunque spettasse, senza favorire nessuno;

  • tutti i casi dubbiosi che insorgessero nell'interpretazione della Promission, sarebbero stati risolti con l'intervento del Minor Consejo e del Mazor Consejo a questo scopo assieme riuniti.

Le molte e gloriose imprese militari che ricoprirono di onore il Dose Jacopo Tiepolo, non costituirono tuttavia la ragione principale che rese famoso il Nostro. Egli infatti si distinse soprattutto per la mirabile raccolta nella quale fece ordinare tutte le leggi dello Stato, per poi pubblicarle sotto il nome di Statuto.

Composto di cinque libri, con il sesto che venne aggiunto sotto il dogado di Andrea Dandolo (1343-1354), il primo di questi iniziava trattando dei beni delle chiese e dei monasteri e della loro alienazione e proseguiva illustrando la procedura e del modo di chiamare e stare in judicio (quindi la formalizzazione delle prove, i testimoni, i documenti, le sentenze e la loro esecuzione).

Il secondo libro trattava dei minori, che a quel tempo corrispondeva all'età del dodicesimo anno, (con Andrea Dandolo (1343-1354) portata a quattordici anni, infine sotto il Dose Pasquale Cicogna (1585-1595) fissata a sedici anni) delle tutele per i pupilli minorenni e delle regole alle quali dovevano sottostare i tutori.

Il terzo libro statuiva le norme per la validità dei contratti, trattava delle società mercantili, delle locazioni e delle vendite degli immobili.

Il quarto libro aveva per oggetto il testamento, il quale poteva essere redatto su carta scritta e rogata dal notaio, oppure fatto per Breviario vale a dire dettato a voce da persona morente; nonché delle esecuzioni testamentarie e delle successioni intestate.

Il quinto libro trattava delle successioni fatte fuori di Venezia, che dovevano essere raccolte dal Bailo o dal corrispondente rappresentante veneziano locale; in esso si parlava anche delle liti di possesso, delle ipoteche ed infine dei pegni.

Il libro che concerneva specialmente il diritto criminale, era conosciuto anche sotto il nome di Promissione del Maleficio, anche questa una quasi promessa che il Dose fece allo Stato di adoperarsi per mantenere la pubblica sicurezza. Già compilato sulla base di antiche leggi a cura del Dose Orio Malipiero (1178-1192), a sua volta corretto e riformato da Enrico Dandolo (1192-1205), veniva ripubblicato con nuove aggiunte e nuove correzioni appunto sotto il Dose Jacopo Tiepolo nel 1232. Esso trattava dei furti, delle violenze, della falsificazione delle monete, di merci, di atti pubblici o legali, degli atti illeciti compiuti contro le donne, infine della erbaria cioè della vendita di certe bibite alle quali si attribuivano forze straordinarie.

Un breve accenno meritano anche gli Statuti Nautici che praticamente riproponevano, ampliandolo ed aggiornandolo, un breve Codice nautico fatto pubblicare a suo tempo dal Dose Pietro Ziani (1205-1229) e che dopo la revisione del Tiepolo del 1229, furono nuovamente rimaneggiati dal Dose Renier Zen (1253-1268) nel corso del 1255. Essi trattavano della costruzione dei navigli, sulla quantità e qualità della zavorra che andava imbarcata, sul corredo delle ancore e delle gomene calcolato in proporzione alla stazza del naviglio stesso. Era qui affrontata anche la composizione delle ciurme, della ripartizione dei danni in caso di naufragio e di avaria, delle dotazioni di bordo che competevano a ciascun marinaio imbarcato, della costituzione di un consiglio (formato dal proprietario, dal nocchiero e da tre mercanti indicati da tutti quelli imbarcati) per l’assunzione di decisioni che riguardassero il bene generale.

 


 

La "Promission" del Dose Marino Morosini.

 L a Promission successiva, giurata nel 1249 dal Dose Marino Morosini (1249-1253), stabilì, in modo ancora più dettagliato e stringente, i nuovi limiti dell'autorità ducale. Il risultato raggiunto con il documento precedente non era stato giudicato soddisfacente ed anzi, proprio dalla redazione della Promission traspare tutta la riprovazione dei legislatori per l'ampio potere che, nonostante tutto, il Dose Jacopo Tiepolo era comunque riuscito a gestire.

In aggiunta alla lista degli impegni precedentemente giurati dai capi di Stato che lo avevano preceduto, il Dose Marino Morosini dovette inoltre promettere di:

  • non aspirare a conseguire più autorità di quanta gli fosse già concessa per legge,

  • attenersi al giudizio del Minor Consejo e del Mazor Consejo nel caso insorgessero dubbi sull'interpretazione di una norma,

  • non convocare l'Arengo a suo libero arbitrio,

  • non favorire l'assegnazione di uffici pubblici, specialmente se a vantaggio dei figli;

  • predisporre le elezioni dei magistrati e riceverne il relativo giuramento di fedeltà.

Con questa Promission venne sancito in maniera definitiva il carattere di generica magistratura comunale che ormai era stato associato alla suprema carica dello Stato. La riprova di ciò è data dalla disamina del Capitolar che venne giurato dal Dose successore, Ranier Zen, nel 1253. In esso la magistratura dei Correttori a la Promission Ducal, attiva durante il periodo dell’interregno per riformare il documento, oltre ad aggiungere alcune nuove clausole, inserì pure un apposito capitolo che vietava espressamente al Dose ed ai congiunti di ricevere doni in caso di matrimonio.

 


 

La "Promission" del Dose Lorenzo Tiepolo.

 N  umerose furono invece le aggiunte che vennero inserite nel Capitolar giurato nel 1268 dal Dose Lorenzo Tiepolo (1268 - 1275), il quale s'impegnò a:

  •  non esercitare mercatura,

  • fare doni solo in particolari occasioni,

  • riferire prontamente al Mazor Consejo ogni turbativa,

  • non rilasciare a suo arbitrio i detenuti,

  • sollecitare i giudici perchè definissero rapidamente le cause pendenti.

  •  


 

La "Promission" del Dose Jacopo Contarini.

 A  ltre ancora furono le limitazioni che si aggiunsero nel testo della Promission che venne giurata dal Dose successivo,  Jacopo Contarini (1275 - 1280), sette anni dopo:

  • divieto di unirsi in matrimonio con donna forestiera senza l'assenso del Mazor Consejo,

  • divieto di poter ricevere prestiti oppure feudi,

  • divieto di acquistare immobili fuori del dogado,

  • pagare entro otto giorni quanto avesse acquistato,

  • farsi leggere per intero, ad intervalli di due mesi, il proprio Capitolar,

  • non parteggiare nel caso sorgessero dissidi in sua presenza,

  • dare pronta notifica ai Consiglieri degli atti che gli si chiedessero di sottoscrivere.

E' fatto inoltre notare dagli storici che in questa Promission, come in anche in quella seguente, per la prima volta manca completamente il prologo e questa non casuale assenza è stata stimata di grande importanza formale. Nel prologo infatti era richiamata la sostanza della concezione dello Stato, così come inteso dalla nobiltà rialtina e che propugnava la sintesi delle due tesi politiche in voga all'epoca:

  • la teoria ascendente, per cui il potere ducale si fondava sul consenso della comunità,

  • la teoria discendente secondo cui il potere ducale era conferito direttamente da Dio.

In questo occasione, la scelta fatta dai Correttori di omettere il prologo e di conseguenza l'impossibilità per il Dose di rivendicare o tentare di far prevalere la tesi della teoria discendente, viene generalmente indicata come la ferma risposta che venne dal Comune in relazione al fallito tentativo da parte di Lorenzo Tiepolo di imporre un'affermazione dinastica.

 


 

Conclusione.

 C  ondizioni del medesimo tenore della precedente "Promission" furono confermate dai Correttori in occasione della redazione del Capitolare che il Dose Giovanni Dandolo (1280 - 1289) giurò nel 1280, dove egli fece promessa di riscuotere le rendite che gli spettavano, ed in caso d'incertezza solo i Consiglieri avrebbero stabilito l'ammontare del suo appannaggio; prometteva di inviare un gonfalone di San Marco ad ogni città suddita; confermava che avrebbe spedito lettere personali solo dopo l’avvenuta lettura del testo da parte dei Consiglieri

La Promission del 1289 giurata dal Dose Piero Gradenigo non differisce sostanzialmente da quella di Giovanni Dandolo, una sola nuova restrizione di una certa importanza venne imposta al neo‑eletto: di non poter uscire dal dogado se non col permesso dei Consiglieri.

 

Alla fine del XIII secolo, praticamente  in coincidenza con l'approvazione della Parte fondamentale detta della serrata, il tenace impegno politico perseguito dall'aristocrazia veneziana aveva ormai irreversibilmente trasformato il Dose in un Principe a palazzo, un nobilomo in Venezia, un cittadino nello Stato.

 


 

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