"Honorem autem et proficuum veneciarum
consiliabimus, tractabimus et operabimus
bona fide sine fraude".
(dal giuramento
pronunciato dal Dose Enrico Dandolo).
La genesi della " Promission Ducal ".
I l
termine Promissione deriva direttamente dal vocabolo
promissio, che trae origine dalla
formula di protocollo con cui aveva normalmente inizio il
preambolo delle antiche leggi veneziane.
Nel caso specifico, la Promission era un documento
pubblico che elencava in maniera assai dettagliata tutti gli
impegni e gli obblighi che il nuovo Dose, giurando al
momento del suo insediamento, si apprestava ad assumere
inizialmente nei confronti del Comune e poi dello Stato.
Il
testo esordiva sempre con il dispositivo: promittentes promittimus,
per concludersi poi con la
formula: haec promissionis charta in sua maneat firmitate.
Per quanto riguardava il tenore della redazione, la
Promission è sicuramente accostabile più ai giuramenti che
erano pronunciati dai vescovi al Patriarca di Venezia, che non
invece alla forma comunemente usata nelle Parti veneziane
(solitamente assai precise e pignole).
Secondo l'opinione del Maranini, ancora prima che avvenisse la
fondazione del Comune, la preminenza politica della classe
aristocratica, fortemente interessata a limitare i poteri del Dux, ebbe
tutto il modo di riflettersi nella
redazione di questo documento il quale, lungi dal
potersi all'inizio definire un atto d'imperio,
assomigliava piuttosto ad una raccolta di promesse che
delimitavano il campo d'intervento entro il quale il Dux giurava
di trattenere i suoi poteri.
Inizialmente il carattere elastico e
forse volutamente ambiguo del trattato, che
aveva quale
oggetto non più di una semplice promessa, appare pienamente
rispondente al progetto politico della classe aristocratica che,
senza scosse vistose all’ordine costituito ma con la prudente lentezza
che caratterizzerà ogni sua azione anche nei secoli a venire,
riuscirà prima a privare di ogni effettivo potere l'Arengo (senza però mai abolirlo
ufficialmente) e poi ad
inglobare entro la struttura costituzionale dello Stato
anche il riottoso istituto ducale.
Il patriziato veneziano potrà permettersi, alla fine del secolo
XII, a non limitarsi di far promettere al Dose il rispetto
formale delle leggi ma anche a fargli giurare l'osservanza di un vero
e proprio Capitolar, vale a dire una dettagliata raccolta dei suoi
diritti e dei suoi doveri nei confronti dello Stato così come, nella
stessa identica maniera, era obbligato a fare ogni
altro semplice magistrato al momento di assumere il proprio ufficio.
Anche se di fatto
equiparato al documento fondamentale di
ogni Consiglio, ufficio o magistratura della Repubblica, nella sostanza però la
Promission continuò in qualche modo a differenziarsi dal consueto taglio
con cui furono redatti i normali Capitolari. Ciò non solo per il fatto che in
essa erano contenute norme assai più
generiche, ma soprattutto perchè
persisteva una chiara volontà a privilegiare la forma,
piuttosto che la sostanza (comunque fortemente restrittiva).
L
a
più antica fra le Promissioni pervenute sino a noi è quella giurata dal
Dose Enrico Dandolo, anche se il
1192, anno
nel quale generalmente si ipotizza la redazione di questo documento, è
di per sè del tutto presunto, essendo stato ricavato
semplicemente dall'anno
di elezione; ciò perché né in questo né in quello
giurato dal suo successore, Piero Ziani, vi è stata riportata la
data.
Non vi è inoltre alcuna certezza che la
Promission del Dandolo possa anche essere considerata la prima in assoluto. A
questo proposito, secondo il Cecchetti,
probabilmente tutti i diritti ed i doveri del Dose,
anteriormente al 1192, non vennero mai condensati in un unico
documento ufficiale, anche se pare non discutibile il fatto
dell'obbligatorietà nel giurare di perseguire il profitto ed onore
di Venezia.
Per contro, sullo stesso punto, l'opinione del Maranini è che i primi giuramenti
solenni dei Dosi sono effettivamente da considerarsi come vere e
proprie promesse, scritte e pensate in modo da tutelare quanto
più possibile gli interessi dello Stato. A
sostegno della sua tesi lo storico chiama in causa la redazione della
promissio maleficiorum del 1181.
Infine, a parere del Cessi, solo a partire dalla
Promissione del Dandolo le norme che determinavano i diritti ed
i doveri assegnati alla dignità ducale vennero finalmente
coordinati in un unico testo di legge; probabilmente, egli
conclude, precedentemente a tale data i Dosi giuravano solamente
sopra singoli atti legislativi. Vi è dunque qualche tenue
possibilità che prima di Enrico Dandolo altri
Dosi abbiano quantomeno pronunciato blandi impegni di autolimitazione
del proprio potere.
La
svolta arriverà con
la
fondazione del Comune veneziano
(tra il 1141 ed il 1143),
poiché se prima di tale avvenimento
risulta francamente impossibile ipotizzare l'esistenza di un
consiglio politico che potesse agire indipendentemente dalla
volontà del Dux,
successivamente a ciò è accertata la costituzione di un Consiglio di
Savi (Sapientes) dotato di una forte
autonomia politica rispetto all'autorità ducale, e perfettamente in grado di
operare nella direzione di predisporre un
Capitolar sul quale il futuro Dux avrebbe dovuto giurare per poter completare l'insediamento.
Volendo allora considerare la data di fondazione del Comune come
l'inizio, ne consegue che, a livello di semplice congettura, il primo
Dose al quale i Savi sarebbero riusciti ad imporre un
giuramento solenne di autolimitazione, può essere stato
Piero Polani (1130 - 1148) oppure Domenico Morosini (1148 -
1156).
La
"Promission" del Dose Enrico Dandolo.
N
el Capitolar più antico giunto fino a noi, quello di Enrico
Dandolo (1192-1205), seppure la struttura della redazione del
testo sia
sostanzialmente non lineare, tuttavia gli impegni solennemente giurati
dal Dose appaiono schiettamente delineati:
-
governare rettamente secondo giustizia,
-
accrescere il prestigio di Venezia,
-
rendere prontamente giustizia a tutti,
-
applicare le leggi in maniera imparziale,
-
fare giustizia dei documenti falsi,
-
mantenere il segreto di quanto dibattuto nei consigli,
-
non riscuotere né appropriarsi di beni o rendite spettanti al
Comune,
-
non concedere a nessuno il sigillo del Ducato,
-
armare a proprie spese almeno dieci navi per il Comune,
-
non influenzare l'elezione dei Vescovi e del Patriarca,
-
non inviare lettere personali al Pontefice, all'Imperatore o ai Re,
-
non nominare di proprio arbitrio giudici e notai,
-
rispettare la collegialità nella gestione del potere,
-
mantenere il buon accordo tra il Minor ed il Mazor Consejo.
Sono i
toni fortemente perentori delle limitazioni elencate in questa
Promission, che hanno indotto gli studiosi a formulare
l'ipotesi che questo non possa essere considerato con sicurezza
il primo atto in assoluto, ma che invece l'opera dei Savi
nel tentativo di addivenire ad un più stretto controllo del
potere ducale fosse in realtà già iniziata nei dogadi
precedenti.
La
"Promission" del Dose Piero Ziani.
I
n questa Promission, giurata da
Piero Ziani (1205-1229), oltre al più ristretto numero degli impegni
elencati rispetto al
Dandolo, colpisce in particolare la genericità con cui viene trattato
il tema relativo all'obbligo per il Dose di sostenere i
diritti del Comune (anche contro sé steso?).
Nonostante però questa pecca sostanziale, l'elenco delle
limitazioni costituisce un
presidio difficilmente valicabile dal Dose, che prometteva di:
-
mantenere ai Giudici del Proprio i redditi e le regalie
che essi erano soliti ricevere;
-
riscuotere dalle Arti, dai Chioggiotti e dal Patriarca d'Aquileia
quanto era stabilito dalla legge;
-
non accettare alcun dono personale;
-
confermare i Gastaldi delle Arti;
-
ricevere l’emolumento annuo stabilito per la carica ricoperta;
-
versare di buon grado le imposte di guerra stabilite dai Consiglieri;
-
sostenere i diritti del Comune;
-
non confiscare le proprietà private a proprio arbitrio;
-
eseguire ciò che a lui era affidato e far eseguire quello che
venisse deliberato dai Consigli;
-
tenere udienza pubblica ogni venerdì;
-
far applicare i diritti derivanti dall’apposizione della bolla
ducale e conservarla integra.
La
"Promission" del Dose Jacopo Tiepolo.
L a
Promission
successiva, giurata da Jacopo Tiepolo (1229-1249), venne
notevolmente ampliata e dettagliata nei contenuti e, come asserisce a questo proposito il Romanin, essa
probabilmente servì da base anche per tutte le altre che
seguirono.
Nel documento, dopo l'introduzione dove è riportata la data del 6
marzo 1229, il Dose prometteva solennemente di:
-
amministrare giustizia nei casi presentati dagli Anziani
a la paxe o dai Capi de Contrada;
-
giudicare secondo l'uso e i costumi e, in difetto di queste,
secondo coscienza;
-
in Consiglio porsi dalla parte che gli paresse più ragionevole,
serbando il segreto sulle decisioni raggiunte;
-
non ricevere altri compensi oltre quelli spettanti;
-
sorvegliare che la cessione dei beni del Comune avvenisse
approvata dal Mazor Consejo unito
al Minor Consejo, adoperandosi
comunque per la loro conservazione;
-
procurare la riscossione dei crediti pubblici e l'esecuzione
delle sentenze dei Consoli dei mercanti;
-
fare giustizia di tutte le carte false, secondo l'uso in vigore;
-
rimanendo vacante la sede patriarcale di Grado, indire
l'elezione del sostituto convocando il clero ed il popolo;
-
far rispettare l’uso di riconoscere il diritto all'elezione dei
vescovadi resisi vacanti ai rispettivi diocesani; quelle dei
monasteri dalle rispettive congregazioni coi loro vescovi, senza
che egli potesse intromettere se non avendo il consenso della
maggioranza del proprio Consiglio;
-
non ingerirsi sui dazi da riscuotere, se non salve tutte le
onorificenze che di diritto gli spettavano;
-
non ingerirsi delle cose di Chioggia, senza la
maggioranza favorevole del suo Consiglio, conservando però le
onorificenze che erano pattuite con quella città, così come la
possibilità di intervenire giudizialmente quando quella
comunità mancasse ai propri obblighi; rimaneva però assegnata
alla competenza del Comune il compito di inviare a Chioggia il
podestà e di amministrare anche alcune funzioni che prima
gli spettavano;
-
assegnare al Comune tutte le spese che riguardavano l'invio di
messi ed altro, rimanendo però pattuito che entro i confini del
dogado egli avrebbe viaggiato a sue spese.
-
acquistare quote del debito pubblico al pari di ogni altro
privato cittadino;
-
osservare l'obbligo della conservazione della Basilica di San
Marco, di cui egli era assegnatario del protettorato;
-
non spedire lettere né legazioni al Papa, all'imperatore
o ad altri principi, senza l'approvazione del suo Consiglio e,
ricevendone, comunicarne immediatamente il
contenuto;
-
non nominare i giudici della Curia del Proprio, nemmeno
sottrarre loro i dovuti compensi;
-
non nominare notai senza il parere
favorevole del suo Consiglio assieme alla collaudatio (approvazione) del
popolo;
-
non confiscare o concedere ad alcuno beni del Comune;
-
non
esigere nulla in più, oltre a quanto gli spettava per
legge e per consuetudine, dalle schole picole
di mestiere; avrebbe confermato il Gastaldo
eletto da ogni Arte;
-
gli escusati (che il Romanin indica come la possibile
guardia nobile del Dose) non sarebbero stati obbligati a
maggiori servizi di palazzo oltre a quelli già previsti;
-
conservare in buon stato la moneta, perseguendo i falsificatori;
-
non nominare nessun
successore;
-
non ricevere doni, facendo giurare la medesima
costrizione anche alla Dogaressa ed ai suoi figli;
-
non sollecitare nè permettere ad altri
di raccomandarsi per ottenere impieghi e dignità, nè
permettere ai suoi figli di accettare alcuna carica di Reggimento;
-
trattare tutti i cittadini con equità e tutti nel medesimo modo
proteggere;
-
eseguire quanto stabilito nel Minor Consejo o nel Mazor
Consejo;
-
non cercare maggior potere di quello che gli era concesso dalle
leggi;
-
trattenere per sè le regalie e le onoranze
a lui normalmente riconosciute dalle comunità suddite,
ricevendo di stipendio 2.800 lire suddivise per trimestre;
-
essendo impedito di partecipare ai Consigli,
avrebbero supplito in sua vece i Consiglieri
minori, e quando l'assenza si fosse
prolungata, davanti al voto concorde dei sei Consiglieri e della
maggioranza del Mazor Consejo, egli
avrebbe dovuto rinunciare al dogado, senza manifestare
opposizione;
-
far eseguire le elezioni riguardanti le magistrature vacanti, e
ricevere nelle sue mani il giuramento di fedeltà degli eletti;
-
adoperarsi per mantenere il buon accordo tra il Minor
Consejo e il Mazor
Consejo;
-
trattenere
al suo servizio non più di venti servi, compresi i cuochi;
-
far conservare da un collaboratore di sua fiducia il sigillo
ducale, delegandolo egli solo ad apporlo sui documenti pubblici;
-
concedere udienza tutti i venerdì a chiunque spettasse, senza
favorire nessuno;
-
tutti i casi dubbiosi che insorgessero
nell'interpretazione della Promission, sarebbero stati risolti
con l'intervento del Minor
Consejo
e del Mazor Consejo a questo
scopo assieme riuniti.
Le
molte e gloriose imprese militari
che ricoprirono di onore il Dose Jacopo Tiepolo, non costituirono
tuttavia la ragione principale che rese famoso il
Nostro. Egli infatti si distinse soprattutto per la mirabile raccolta
nella quale fece ordinare tutte le leggi dello Stato, per poi
pubblicarle sotto il nome di Statuto.
Composto di cinque libri, con il sesto che venne aggiunto sotto
il dogado di Andrea Dandolo (1343-1354), il primo di questi
iniziava trattando dei beni delle chiese e dei monasteri e della
loro alienazione e proseguiva illustrando la procedura e del
modo di chiamare e stare in judicio (quindi la formalizzazione
delle prove, i testimoni, i documenti, le sentenze e la
loro esecuzione).
Il
secondo libro trattava dei minori, che a quel tempo
corrispondeva all'età del dodicesimo anno, (con Andrea Dandolo
(1343-1354) portata a quattordici anni, infine sotto il Dose
Pasquale Cicogna (1585-1595) fissata a sedici anni) delle tutele
per i pupilli minorenni e delle regole alle quali dovevano
sottostare i tutori.
Il
terzo libro statuiva le norme per la validità dei contratti,
trattava delle società mercantili, delle locazioni e delle
vendite degli immobili.
Il
quarto libro aveva per oggetto il testamento, il quale poteva
essere redatto su carta scritta e rogata dal notaio, oppure
fatto per Breviario vale a dire dettato a voce da persona
morente; nonché delle esecuzioni testamentarie e delle
successioni intestate.
Il
quinto libro trattava delle successioni fatte fuori di Venezia,
che dovevano essere raccolte dal Bailo o dal corrispondente
rappresentante veneziano locale; in esso si parlava anche delle
liti di possesso, delle ipoteche ed infine dei pegni.
Il
libro che concerneva specialmente il diritto criminale, era
conosciuto anche sotto il nome di Promissione del Maleficio,
anche questa una
quasi promessa che il Dose fece allo Stato di adoperarsi per
mantenere la pubblica sicurezza.
Già compilato sulla base di antiche leggi a cura del Dose Orio
Malipiero (1178-1192), a sua volta corretto e riformato da
Enrico Dandolo (1192-1205), veniva ripubblicato con nuove
aggiunte e nuove correzioni appunto sotto il Dose Jacopo Tiepolo nel
1232.
Esso trattava dei furti, delle violenze, della falsificazione
delle monete, di merci, di atti pubblici o legali, degli atti
illeciti compiuti contro le donne, infine della erbaria cioè
della vendita di certe bibite alle quali si attribuivano forze
straordinarie.
Un
breve accenno meritano anche gli Statuti Nautici che praticamente
riproponevano, ampliandolo ed aggiornandolo, un breve Codice
nautico fatto pubblicare a suo tempo dal Dose Pietro Ziani
(1205-1229) e che dopo la revisione del Tiepolo del 1229, furono
nuovamente rimaneggiati dal Dose Renier Zen (1253-1268) nel
corso del 1255.
Essi trattavano della costruzione dei navigli, sulla quantità e
qualità della zavorra che andava imbarcata, sul corredo delle
ancore e delle gomene calcolato in proporzione alla stazza del
naviglio stesso.
Era qui affrontata anche la composizione delle ciurme, della
ripartizione dei danni in caso di naufragio e di avaria, delle
dotazioni di bordo che competevano a ciascun marinaio imbarcato,
della costituzione di un consiglio (formato dal proprietario,
dal nocchiero e da tre mercanti indicati da tutti quelli
imbarcati) per l’assunzione di decisioni che riguardassero il
bene generale.
La
"Promission" del Dose Marino Morosini.
L
a Promission
successiva, giurata nel 1249 dal Dose Marino Morosini
(1249-1253), stabilì, in modo ancora più dettagliato e
stringente, i nuovi limiti dell'autorità ducale. Il
risultato raggiunto con il documento precedente
non era stato giudicato soddisfacente ed anzi, proprio dalla redazione
della Promission traspare tutta la riprovazione dei legislatori
per l'ampio potere che, nonostante tutto, il Dose Jacopo Tiepolo era
comunque riuscito a gestire.
In
aggiunta alla lista degli impegni precedentemente giurati dai capi di
Stato che lo avevano preceduto, il Dose Marino Morosini dovette
inoltre promettere di:
-
non aspirare a conseguire più autorità di quanta gli
fosse già concessa per legge,
-
attenersi al giudizio del Minor Consejo e del Mazor
Consejo nel caso insorgessero dubbi sull'interpretazione di
una norma,
-
non convocare l'Arengo a suo libero arbitrio,
-
non favorire l'assegnazione di uffici pubblici, specialmente se
a vantaggio dei figli;
-
predisporre le elezioni dei magistrati e riceverne il relativo
giuramento di fedeltà.
Con questa Promission venne sancito in maniera
definitiva il carattere di generica magistratura comunale
che ormai era stato associato alla suprema carica dello Stato.
La riprova di ciò è
data dalla disamina del Capitolar che venne giurato dal
Dose successore,
Ranier Zen, nel 1253. In
esso la magistratura dei Correttori
a la Promission Ducal,
attiva durante il periodo dell’interregno per riformare il
documento, oltre ad aggiungere alcune nuove clausole,
inserì pure un apposito capitolo che vietava espressamente al Dose ed ai
congiunti di ricevere doni in caso di matrimonio.
La
"Promission" del Dose Lorenzo Tiepolo.
N
umerose furono invece le aggiunte che vennero inserite
nel Capitolar giurato nel 1268 dal Dose
Lorenzo Tiepolo (1268 - 1275), il quale s'impegnò a:
-
non esercitare
mercatura,
-
fare doni solo in particolari occasioni,
-
riferire prontamente al Mazor Consejo ogni turbativa,
-
non rilasciare a suo arbitrio i detenuti,
-
sollecitare i giudici perchè definissero rapidamente le cause
pendenti.
-
La
"Promission" del Dose Jacopo Contarini.
A
ltre ancora furono le limitazioni
che si aggiunsero nel testo della Promission che venne
giurata dal Dose successivo, Jacopo Contarini (1275
- 1280), sette anni dopo:
-
divieto di unirsi in matrimonio con donna forestiera
senza l'assenso del Mazor Consejo,
-
divieto di poter ricevere prestiti oppure feudi,
-
divieto di acquistare immobili fuori del dogado,
-
pagare entro otto giorni quanto avesse acquistato,
-
farsi leggere per intero, ad intervalli di due mesi, il proprio
Capitolar,
-
non parteggiare nel caso sorgessero dissidi in sua presenza,
-
dare pronta notifica ai Consiglieri degli atti che gli si
chiedessero di sottoscrivere.
E'
fatto inoltre notare dagli storici che in questa Promission, come
in anche
in quella seguente, per la prima volta manca completamente il prologo
e questa non casuale assenza è stata stimata di grande importanza formale.
Nel
prologo
infatti
era
richiamata la sostanza della concezione
dello Stato, così come inteso dalla nobiltà rialtina e che
propugnava la sintesi delle due tesi politiche in voga all'epoca:
-
la teoria
ascendente, per cui il potere ducale si fondava sul consenso
della comunità,
-
la teoria discendente secondo
cui il
potere ducale era conferito direttamente da Dio.
In
questo occasione, la scelta fatta dai Correttori di omettere il prologo
e di
conseguenza l'impossibilità per il Dose di rivendicare o tentare
di far prevalere la tesi della teoria discendente, viene
generalmente indicata come la ferma
risposta che venne dal Comune in relazione al fallito tentativo da
parte di Lorenzo Tiepolo di imporre un'affermazione
dinastica.
Conclusione.
C
ondizioni del medesimo tenore della precedente "Promission" furono
confermate dai Correttori in occasione della redazione
del Capitolare che il Dose Giovanni Dandolo (1280
- 1289) giurò nel 1280, dove egli fece promessa di
riscuotere le rendite che gli spettavano, ed in caso
d'incertezza solo i Consiglieri avrebbero stabilito
l'ammontare del suo appannaggio; prometteva di inviare un
gonfalone di San Marco ad ogni città suddita; confermava che
avrebbe spedito lettere personali solo dopo l’avvenuta lettura
del testo da parte dei Consiglieri.
La
Promission del 1289 giurata dal Dose Piero Gradenigo non differisce
sostanzialmente da quella di Giovanni Dandolo, una sola nuova
restrizione di una certa importanza venne imposta al
neo‑eletto: di non poter uscire dal dogado se non col
permesso dei Consiglieri.
Alla fine del XIII secolo, praticamente in coincidenza con
l'approvazione della Parte fondamentale detta della serrata, il tenace impegno politico perseguito dall'aristocrazia
veneziana aveva ormai irreversibilmente trasformato il Dose
in un Principe a palazzo, un nobilomo in Venezia, un cittadino nello
Stato.