Ampiamente documentati dai cerimoniali marciani, sia
manoscritti che a stampa, è noto che in alcuni riti solenni
che venivano celebrati in basilica, era prevista anche la
partecipazione del Dose.
Considerato
vicario in terra del Santo Evangelista Marco, il Capo dello
Stato aveva giurisdizione diretta sulla basilica (considerata
per tutta la durata della Repubblica la "cappella privata" del
Dose), come anche su alcune altre
chiese veneziane. Tale giurisdizione era del tutto
indipendente dalla stessa autorità papale, con poteri quasi di
vescovo che venivano esercitati per i riti liturgici dal
canonico Primicerio, suo delegato
nelle cose spirituali.
Nelle solennità marciane, alla celebrazione della Messa, il Dose partecipava in prima persona
come attore liturgico, iniziando dalla processione con la
quale egli era accompagnato dal Palazzo Ducale, lungo la Scala
d'Oro e poi quella dei Giganti, da gruppi scaglionati dei
dodici canonici ducali in piviale di lama d'oro, dal corteo
dei chierici e dalla corte dogale, facendo il suo ingresso in
basilica dalla porta di San Clemente, proseguendo poi fino a
raggiungere la cappella omonima.
Arrivato al presbiterio, dove l'attendevano il Primicerio ed il
Nunzio del papa, il gruppo si
disponeva in linea ai piedi dell'altare: il Dose sulla destra, al lato del
Vangelo, al centro il Primicerio e a seguire il Nunzio. A
questo punto iniziava la celebrazione della Messa.
Quando poi il Primicerio e il Nunzio salivano l'altare per la
recita dell'Introito, contemporaneamente il Dose ascendeva al suo trono, che
si trovava collocato esattamente al centro dell'ingresso
dell'iconostasi, mentre ai lati del presbiterio, assistevano
alla funzione gli ambasciatori accreditati e i rappresentanti
del Senato, dai quali gli scranni
mutuarono la denominazione di "senatoriali".
La presenza del Dose nella
celebrazione della Messa era regolata secondo precise norme
liturgiche, corrispondenti a quelle della "assistenza
pontificale" del vescovo nel Caerimoniale episcoporum,
rimasto in vigore sino alle ultime riforme. Ad esempio i
canonici ducali facevano bossolo, cioè si radunavano a
semicerchio attorno al Dose
quando era il momento di recitare con lui il Gloria in
excelsis, il Sanctus, l'Agnus Dei ed altri
canti particolari.
Anche nei riti più solenni della Settimana Santa, il Dose partecipava ogni giorno alle
cerimonie liturgiche, sia di mattino che alla sera, nel
Mattutino delle tenebre, come pure alla Processione delle
Palme, al Giovedì e al Venerdì Santo, nonché al Sabato Santo,
in occasione del complicato rito del Sepolcro.
Al mattino del Venerdì Santo il Dose,
vestito in abito da lutto, assisteva ai riti della Messa dei
presantificati e poi all'adorazione della Croce, accompagnato
in questo dagli ambasciatori, dalla Signoria, dai senatori e da altri magistrati. A
sera infine, dopo l'ascolto della predica sulla Passione,
partecipava alla Processione del Santissimo in basilica.
Il rito utilizzato nelle funzioni liturgiche, il cosiddetto rito
patriarchino, su cui molto si è discusso e sul quale si
continua ancora oggi a discutere, fu attivamente praticato in
basilica fino al 1807, anno in cui fu definitivamente imposto
quello romano (cfr: Cattin - Musica e liturgia a San Marco,
Venezia 1990).
Si noti che il rito patriarchino non è d'origine orientale, né
ha alcun legame di derivazione con il Patriarcato d'Aquileia.
E' più corretto parlare di un rito romano comune nella Chiesa
latina, ma con alcune peculiarità, principalmente sull'uso dei
Salmi, fatto secondo il salterio romano (che era
proprio della basilica vaticana di San Pietro), mentre nel
resto della Chiesa si seguiva il salterio gallicano.
Altro importante elemento di distinzione stava nel predominio
di colori liturgici completamente diversi dal rito romano,
quali: il bianco per gli evangelisti e le vergini martiri
(rosso nella liturgia romana), il verde per le sante non
vergini (bianco nella liturgia romana) il giallo dorato o
samsidoro per i dottori e gli abati (bianco nella liturgia
romana).