Da
Consiglio del Dux a Consiglio dei Savi del Comune.
Per
analogia, data la stretta contiguità nell'evoluzione, la trasformazione del
Consiglio del Dux in Consiglio dei
Savi del Comune ricalca, nello spazio di tempo
iniziale, quella già
analizzata trattando del Dose.
Pertanto, prima di analizzare l'affermarsi ed il successivo sviluppo del
ruolo politico del Mazor Consejo,
è necessario focalizzare l'attenzione sulle
origini dell’assemblea popolare, ossia l'Arengo, dove a
partire dagli inizi della storia del ducato, più o meno
formalmente, ebbe residenza la giovane sovranità veneziana.
Va prima rammentato però che, in generale, la
riunione di tutti i cittadini liberi,
di qualsiasi classe sociale, per trattare i comuni interessi
e per eleggere i funzionari locali, derivava da un'usanza
antichissima, che risaliva almeno sino alla metà del
secolo V, quando la necessità della difesa del borgo indusse
i maggiorenti a parificare la plebe urbana alle altre classi
sociali, ammettendola anch'essa, forse proprio a partire dall'anno
443, a partecipare nella discussione dei pubblici affari.
Con buona probabilità l'Arengo veneziano non ebbe
origini tanto dissimili, anzi conforme al parere degli
storici, è possibile ritenere che la violenta rivolta
popolare insorta nel corso dell’anno 726 contro l’Esarca
di Ravenna, in concomitanza con la crescente fiacchezza
politica bizantina, abbiano dato un forte contributo
al tentativo in atto da parte dei veneziani di darsi una
maggiore attività politica.
In ogni caso, sicuramente nel corso del IX secolo,
l'Arengo è funzionante, venendo
saltuariamente convocata dal Dux, e da
lui stesso presieduto in tutte le occasioni in cui
l’ancora incerta consuetudine richiedeva l'approvazione del popolo
per gli atti pubblici di particolare rilevanza
amministrativa.
Non è ancora stato individuato chi convocasse e
presiedesse, in questo primo periodo, l'Arengo durante la vacanza ducale;
delegato probabilmente ad amministrare anche le procedure per l'elezione del nuovo Dux.
Al
momento è plausibile supporre che l'iniziativa
spettasse a qualche importante ufficiale dello Stato, e ciò
comunque fino al momento in cui questo importante atto divenne
prerogativa dei Consiglieri ducali.
A questo proposito non va ignorato che il Comune veneziano, in ciò
distinguendosi da tutti gli altri Comuni italiani, non fece
valere i benefici dell’autonomia politica solo nei confronti
degli abitanti racchiusi entro il piccolo arcipelago di
Rialto, esso si preoccupò di ammettere all'Arengo tutti
gli abitanti compresi entro il confine del ducato,
individuabile nell’incerta striscia di acqua e di terra che
andava da Grado a Capodargine (l'odierna Cavarzere).
Le riunioni ebbero luogo inizialmente sulla spiaggia dell'isola
di Olivolo (attuale isola di San
Piero de Castelo), ma successivamente nell'isola
più centrale di Rialto. Guidava i lavori il Dux, di estrazione patrizia ed
investito di un potere da monarca quasi assoluto, ancora
privo di qualsiasi controllo
istituzionale. Nelle sue mani si concentravano le principali
funzioni della pubblica amministrazione, alla sua persona si
legavano tutti gli abitanti del ducato, mediante il giuramento di fedeltà.
Tuttavia nel corso del IX, del X e del XI secolo, lo
sviluppo degli intensi scambi commerciali fece sentire, con
crescente urgente, la necessità di un ordine amministrativo
e di una certezza giuridica, rivolti non solo alla tutela
del diritto privato, ma anche verso una più sicura
codificazione delle tante consuetudini del diritto pubblico.
La vastità degli interessi economici
del ducato, il costante aumento demografico, l'enorme mole degli affari
pubblici da amministrare, non consentivano certo al Dux di
riuscire a sbrigare in totale solitudine le impellenti funzioni di
governo.
Conseguentemente, egli si vide costretto a circondarsi di un adeguato numero di capaci
funzionari, naturalmente provenienti in larghissima parte dalle fila delle maggiori e più
potenti famiglie patrizie del ducato. Il
costante maneggio della cosa pubblica, in progresso di tempo
procurò a questi funzionari di nomina ducale un'autorità che finì
ben presto con l’assumere il connotato
di un valore definitivo, tanto che il loro operato
non poté più essere revocato, nemmeno dal Dux.
In questo periodo inizia a prendere forma
il Consiglio ducale,
privo ancora di precisi caratteri giuridici e rimanendo dunque
ancora formalmente subordinato al pieno volere del Dux,
palesa quantomeno la lenta quanto inesorabilmente attitudine
a diventare necessario, se non altro perché
l'attuazione della volontà del Dux avesse il suo compimento
esecutivo.
Il primitivo Consiglio, stando agli antichi
documenti, era composto dal Dux, dai giudici (sempre laici e scelti
anch'essi fra la nobiltà),
dai dignatari ecclesiastici (finché non saranno
definitivamente allontanati da ogni carica pubblica, nel
corso del 1148) e dai rappresentanti della plebe.
Se giustificata appare la presenza degli ecclesiastici, meno
immediatamente comprensibile è invece la presenza di elementi di
estrazione popolare che con ogni probabilità erano anch'essi, come
tutti gli altri, scelti dal Dux. Prelati e giudici, nominati dal Dux in ristretta libertà di scelta,
rappresentavano già
l’espressione politica di una nobiltà poco incline ad
assecondare le mire dinastiche e dispotiche del Dux, per cui non è difficile immaginare che
egli fosse indotto a cercare nell'appoggio
popolare un contraltare all’aristocrazia.
Ai disegni politici delle grandi famiglie patrizie, il Dux contrappose
dunque un singolare istituto egualitario, posto che
l'Arengo ancora era da tutti formalmente riconosciuto quale organo
sovrano. A questo punto non dovette essere certo difficile per i patrizi
riatini spingere l'Arengo verso l'accettazione, più o meno
inconsapevole, dei loro ambiziosi disegni. Assemblea
confusionaria e tumultuosa, essa provvedeva infatti ad eleggere il
nuovo Dux senza seguire delle procedure ben precise, tanto
che, normalmente, l'elezione avveniva per generale
acclamazione.
Fortemente agevolate dalla
superiorità della cultura e dalla larga disposizione di
mezzi finanziari, con l''intraprendenza affinata
attraverso i traffici mercantili, le grandi famiglie
patrizie riuscirono ben presto ad
impadronirsi dell'Arengo, anche approfittando dell'assenza di qualunque forma di
ordinamento, che permetteva ogni sorta di intrigo, di agitazione
e di
corruzione. Forme di intimidazione esercitate verso umili
popolani poco o per niente avvezzi ai sottili giochi
di potere, che quasi sicuramente nemmeno
arrivavano a comprendere l'enorme importanza che rivestiva
ogni elezione od approvazione di leggi. Definitivamente naufragata la
possibilità di porre in
contrasto tra di loro la nobiltà ed il popolo, il Dux, come già aveva chiamato alle alte cariche pubbliche
i membri dell'aristocrazia, molto
probabilmente finì per circondarsi non di uomini del popolo liberi e
coscienti delle loro idee, ma di persone semplici, scelte dagli stessi maggiorenti ai quali
avrebbero invece dovuto contrapporsi.
Con ciò all'interno del
ristretto Consiglio che
coadiuvava il Dux nulla più impedì che il volere delle famiglie nobili di Rialto
si traducesse in azione politica, fino a quando, attraverso la paziente applicazione
della consuetudine, alcuni dei membri del consiglio, ed è facile
immaginare quali, ottennero di poter rimanere in carica o di
esservi continuamente rieletti per parecchi anni
consecutivi, consolidando così una prevalenza che, di fatto,
era già stata acquisita.
Si noti che dal punto di vista strettamente
giuridico nulla era nel frattempo mutato. Almeno fino alla
metà del secolo XII persistette integro il riconoscimento della
formale parità fra tutti i cittadini del ducato, ugualmente
chiamati ad eleggere il Dux ed ugualmente rappresentati
entro il suo consiglio. Solo oltre tale termine di tempo
ciò che ufficiosamente già si era da tempo affermato, volse
repentinamente ad una più decisa codificazione: l’occasione
propizia si ebbe con la fondazione del Comune, che
rappresentò il mezzo atteso per escludere definitivamente
dal potere tutte le altre classi sociali, accantonando
definitivamente l'originaria eguaglianza.
Il Comune veneziano viene indicato nei documenti come
operante, in quanto organizzazione politica, fin dal 1143, anche se
in verità i Savi (Sapientes)
del Consiglio
vengono per la prima volta menzionati già due anni prima, nel
1141.
Debuttando ufficialmente all’interno del
consiglio del Dux, essi vi rappresentano gli interessi del Comune,
inizialmente lavorando accanto ai Giudici ma arrivando ben
presto a
guadagnare, all'interno della ristretta assemblea,
un'assoluta prevalenza sui secondi.
I Savi, infatti, inizieranno subito con grande alacrità ad
applicarsi alla realizzazione del
progetto di impadronirsi dell'autorità politica,
impostando la loro azione sul progressivo annichilimento del ruolo
dell'istituto monarchico‑ducale, per trasformarlo alla
fine in una
semplice magistratura comunale. In questo passaggio sta
tutto il capolavoro politico del patriziato
veneziano: invece di scegliere la strada della
contrapposizione al potere e alla figura del Dux, il Comune
continua a riconoscere il Doge come il suo capo, limitandosi
ad imporgli i propri consiglieri.
E' del tutto evidente infatti che il rapporto che ora intercorre fra il Doge e i Savi è
sostanzialmente diverso rispetto a quello in vigore con i
membri del vecchio consiglio ducale. Questi non sono più di
nomina ducale ma vengono delegati
direttamente dalla classe sociale che ha fondato il Comune,
risultando completamente slegati dalla volontà del
Doge.
Forti di questa autonomia, i Savi arrivano rapidamente
a rendere praticamente indispensabile il loro parere su ogni
questione importante, talvolta potendo anche scegliere di
opporsi al Dux e riuscendo spesso a far prevalere la loro
opinione.
Il definitivo suggello, che farà della volontà comunale la
volontà dello Stato, si suppone sia stato posto nel 1192, con la redazione
della prima Promissione ducale a noi nota, ed imposta al
giuramento del Dose Enrico Dandolo. In quella successiva,
sottoposta al giuramento del Dose Jacopo Tiepolo nel
1229,
il principio della sovranità comunale è finalmente attuato
fino alle sue estreme conseguenze: il Dose è
stato ormai
trasformato, di fatto e di diritto, in uno strumento fedele
alla volontà della Repubblica Aristocratica.
L'organo sovrano della Repubblica, il
Mazor Consejo, pare
derivare per linea diretta da quell’iniziale e ristretto
Consiglio di Savi. Si è premessa la formula dubitativa,
poiché al momento non è stata ancora rintracciata alcuna
prova concreta a sostegno di questa tesi.
E’ verosimile in ogni caso che tra il 1141 (anno in cui i
documenti ufficiali certificano l'esistenza dei Savi), ed il
1207 (anno al quale risale l'approvazione della procedura
elettorale che virtualmente sancì l’esclusione del popolo
dall'elezione del Dose), i Savi divennero gli
esclusivi detentori dell'autorità politica, raggiungendo
così la propria stabilizzazione corporativa.
Tale assorbimento è largamente riscontrabile nei documenti
ufficiali che vanno tra il 1143 (anno di fondazione del
Comune) ed il 1192 (anno in cui, presumibilmente, il
consiglio dei Savi si scisse nei due Consigli, il
Mazor ed il
Minor), laddove pur essendo
ancora attuata una correttezza formale, consentendo ad
esempio al Dose di promuovere ancora autonomamente i
provvedimenti legislativi, traspare come egli sia sempre
assiduamente assistito dai Savi che si preoccupano
diligentemente di sottoporre gli atti pubblici più
importanti alla formale approvazione dell'Arengo.
Sorge ora spontaneo chiedersi quale fosse la procedura
seguita per il rinnovo dei componenti di questa ristretta
assemblea e come eventualmente si colmassero i vuoti creati
dai membri resisi indisponibili.
La procedura elettiva riguardante il Consiglio dei Savi,
(riconosciuto formalmente col titolo di
Mazor Consejo a partire
dal 1172) fu sempre di forma variabile; a volte erano due
elettori per ciascun Sestiere che annualmente nominavano i funzionari,
anche necessari
con carica per un anno, anche scegliendoli indifferentemente fra
patrizi e popolani, essendo lo scopo principale quello di
avere rappresentanti in modo equanime ciascuno dei sei
Sestieri nei quali è ancora oggi suddivisa la città.
Altre volte si preferiva invece designare sei elettori che eleggevano
i membri con carica di sei mesi, quindi altri sei
elettori eleggevano i membri per i sei mesi successivi;
oppure ancora si avevano quattro elettori, scelti due de
çitra (di qua) e due de ultra (di là) del
Canalasso.
Spesso si procedeva anche nominando elettori straordinari,
specie quando occorreva surrogare a membri mancanti per
morte o per assenza o per passaggio ad altri uffici, od
anche dopo che fosse stato stabilito di accrescere il numero
complessivo dei
membri, non essendo mai stato stabilito per legge.
Fino almeno al 1230, quindi, non è possibile affermare con certezza
quanti fossero gli elettori incaricati di formare il consiglio,
ma un'opportuna riforma introdotta appunto dopo tale data, divise gli elettori in due
categorie:
-
la prima era formata da 7 elettori, che duravano in
carica dal 29 settembre (San Michele) al 29 settembre successivo (detti
elettori d'anno);
-
la seconda era composta
invece da 3 elettori, eletti il
29 marzo e con la carica di 6 mesi.
Dalle notizie sulle consuetudini dell’epoca, è possibile
affermare con buona approssimazione che gli stessi
Savi fossero nelle condizioni
per esercitare la massima
discrezione sulla designazione dei nuovi colleghi, ciò è
corroborato anche dal testo di una legge del
1207, dove appare con chiarezza come gli elettori fossero designati
dallo stesso consiglio uscente, pratica confermata nella sua
validità anche da una legge del 1286, quando per la prima
volta si trova espressamente dichiarato che la scelta degli
elettori avvenisse dai membri del consiglio appena scaduto.
Con ciò la possibilità dell'immediata rielezione alla
carica di Savio, in questo periodo ancora ben disciplinata,
dava all'assemblea l’indubbio vantaggio della stabilità e
della competenza,
pure se formalmente la carica continuava ad avere la
durata limitata ad un anno.
Il
Consiglio dei Savi diventa il Maggior Consiglio del ducato.
L’importanza
dell'incarico di scegliere i nuovi
Savi, andò rapidamente declinando quando al principio
dell’elettività di un numero predefinito di membri destinati
a
comporre il Mazor Consejo, la consuetudine
gradualmente introdusse la pratica secondo la quale l’ottenerne
il
seggio equivaleva poi a rimanerne saldamente inclusi. E’ pur
vero che escludere i membri delle
famiglie patrizie più potenti si sarebbe dimostrato più uno svantaggio che un vantaggio per lo
Stato, a causa dell'indubbia competenza che essi comunque avevano
affinato nel maneggio dei pubblici affari.
Presa per assunta al consuetudine, iniziò l'ampliamento e
quindi il progressivo snaturamento del primitivo ruolo del
Mazor Consejo:
Verso la fine
del 1230 i membri del Pregadi e quelli
della Quarantia al Criminal vennero chiamati a
far parte del consiglio; così che un numero sufficientemente
ampio di tecnici e di politici esperti venne posto al riparo dalle ricorrenti vicende elettorali.
Una Parte del 1272, riconobbe l’aggregazione al
Mazor Consejo ai
Baili, ai Castellani, ai
Pretori, ai
Consiglieri, ai
Consoli e perfino ai
Conti, i quali seppure
appartenenti alla nobiltà locale dei territori sudditi,
vennero così usati, per breve tempo, quale strumento
periferico di potere.
Dal 1238 si vollero aggregati, al loro ritorno in città,
anche i Capitani con incarichi sostenuti nelle colonie,
quindi fu il turno dei Giudici di palazzo, quindi dei
titolari degli uffici amministrativi, di polizia, tutti
aventi sede in Venezia.
Nel 1276 si aggregarono anche tutti i
Visdomini
ed i Rettori, infine una Parte approvata nel
1288
deliberò l’aggregazione anche di tutti gli
Ufficiali di
Rialto. Ben presto tutti gli Ufficiali dello Stato, in
carica ed ex officio (esaurito l’incarico), ebbero
dunque assicurato un seggio in Mazor
Consejo, e
così corpose furono le aggregazioni operate che ben presto il
numero dei membri di diritto sopravanzò
lo sparuto gruppo dei membri elettivi.
Si tenga presente, a questo punto, che siamo ormai giunti negli anni immediatamente precedenti alla famosa
legge della serrata, la cui importanza fondamentale
per la sopravvivenza della ragion di stato aristocratica
presto saranno note.
Quando ancora la sua composizione si basava esclusivamente
sulla procedura elettiva, pare che il numero dei membri del
Mazor Consejo fosse abbastanza costante, oscillando il
numero mediamente fra i 450 ed i 500 consiglieri ma non
appena conclusa la tornata delle aggregazioni sopra citate, verso la fine del XIII secolo i suoi membri erano divenuti ormai più di un
migliaio.
Resta ora da chiedersi quale fu la ragione, oltre a
quella apparente della bramosia di conservazione
dell’incarico, che spinse il sistema a ricercare un numero
così alto di
aggregazioni che, oltretutto, gonfiando in modo abnorme un
organo inizialmente con uno spiccato
carattere esecutivo, lo aveva ridotto ora, goffo e quasi
immobile, a racchiudere al suo interno un numero
così alto di tecnocrati del potere (ancora indifferentemente
nobili e non nobili).
A questo proposito, una delle indicazioni alla quale più
sovente si fa riferimento, propone che essendo in questi
tempi l'antica unità d'intenti del patriziato
fortemente incrinata, un’agguerrita minoranza dei meno
fortunati nei successi commerciali, cercava di agganciare
alla propria causa anche il favore del popolo, proprio
mediante l’infiltrazione di zente nova in
Mazor Consejo, cercando così di riequilibrare lo svantaggio dei
consensi.
A sua volta però, la fazione maggioritaria non rimase a
guardare, irritata dall’illegale tentativo di un riequilibro
delle forze in campo, reagì attraverso la convulsa tornata
di aggregazione di magistrature minori, tentando a sua volta
di annullare il tentativo del partito avversario mediante il
coinvolgimento di un numero più ampio possibile di nobili e
dei pochi non nobili.
Ormai considerata a pieno titolo l’assemblea detentrice del
potere, aggrega oggi, infiltra domani, l'ingresso di così
tante persone finì appunto con lo stravolgere per sempre
l'antico, ristretto, consesso formato da pochi e sceltissimi
Savi, avviandolo così irrimediabilmente a trasformarsi
nell’organo sovrano destinato a raccogliere al suo interno
la classe politica della Repubblica.
Necessità
di riforma e di stabilità politica.
Il
clima di forte lotta politica instauratosi durante la prima
metà del XIII secolo non volse ad un miglioramento apprezzabile
nemmeno nel secondo cinquantennio.
L’inizio del XIII secolo aveva coinciso con il definitivo
sviluppo costituzionale del Comune veneziano, l'aristocrazia
rialtina aveva dunque creato un organismo imbevuto e
sorretto di tale e tanta vitalità politica, che solamente
lunghi secoli di decadenza potranno alfine portare ad
esaurimento completo.
Concluso il processo di supremazia, esautorato l'Arengo di
ogni e qualsiasi attività politica, la nobiltà veneziana si
era volta a consolidare maggiormente le conquiste ottenute,
in particolare cercando di garantirsi che l'istituzione
creata non potesse mai essere messa in pericolo di
indebolirsi.
Vero è che il Mazor Consejo in pratica eleggeva se
stesso, ma una tale forma di controllo sarebbe stata davvero
efficace solo presupponendo una corale unità d'intenti della
classe ormai dominante, mentre già si è visto come rancori e
gelosie familiari stavano minando senza posa l'unità
politica del patriziato.
Ciò detto, non va dimenticato che le forti divergenze
interne alla nobiltà, non impedirono in ogni caso al Comune
veneziano (a differenza di tutti gli altri Comuni italiani)
di resistere alle rivendicazioni politiche sostenute più
tardi dalle classi sociali che si troveranno escluse dal
potere; anche se la storiografia ufficiosa segnala che la
classe patrizia, verso la metà del XIII secolo, si andava
raggruppando in due schieramenti opposti: l'uno meglio
disposto verso il popolo e definibile progressista,
l'altro tendenzialmente oligarchico e perciò conservatore.
Si vedrà come l’uso dei termini utilizzati nel linguaggio
politico moderno per determinare la maggiore o minore
propensione al riformismo, sia facilmente fuorviante e non
applicabile correttamente, senza tenere presente il momento
storico nel quale esso avviene.
Sono questi decenni nei quali i Comuni sono sottoposti alla
pressione di borghesi e popolani che rivendicano una
partecipazione attiva alla vita politica delle istituzioni,
anche Venezia non ne resta immune e l'aristocrazia viene dunque
dividendosi: una parte credendo che l'unico mezzo per
resistere sia quello di tenere fede senza incertezze al
vecchio principio che, fuori della cerchia patrizia, non si
ammettevano che sudditi devoti; l'altra parte, (spinta
probabilmente da mire assai più oligarchiche della prima) vide proprio nel
popolo il solo possibile alleato ed con l'uso sottile della
demagogia iniziò a serrare verso questi le proprie
posizioni.
Per contrastare efficacemente questo tentativo, il partito
fedele alla tradizione reputò di dover intervenire con
l'energia necessaria a garantire la salvezza degli ordinamenti
dal prevedibile caos
politico, riservando l'aggregazione in
Mazor Consejo solo ai membri di quelle famiglie che
vi avevano avuto accesso fino ad una certa data.
Questo non significò, come potrebbe apparire a prima vista,
il costituire un'oligarchia, semmai questa venne sviluppandosi
in seguito, a causa della degenerazione di quelle
magistrature straordinarie istituite nel secolo seguente per
contrastare e reprimere tentativi di sovvertimento da parte
del partito battuto.
A questo proposito, come afferma il Maranini : “se
vogliamo giudicare una costituzione dal punto di vista
teorico, la dobbiamo chiamare buona solo se l'attuazione
integrale dei principi in essa contenuti è possibile e
vantaggiosa; solo se, nel corso della sua evoluzione, questi
principi arrivano di fatto a concretarsi interamente in
istituti giuridici”.
E’ davvero difficile
poter negare che questo fu esattamente il caso dell'ordinamento
costituzionale di Venezia, il quale approdato alla fine del XIII secolo alla
sua piena maturità, seppe in seguito reggere per
lunghissimo tempo alla disgregazione interna dovuta alla
degenerazione politica della classe al potere, per poi
collassare
definitivamente quando i principi sui quali si basava
affondarono nel più completo anacronismo rispetto ai
nascenti modelli politici sui quali si veniva formando la
vita pubblica in occidente.
Ciò che pose in salvo il Comune veneziano dell'alto medioevo
determinò anche la causa principale che ne impedì un
dinamico rinnovo per rimanere al passo coi tempi. Il giorno
della promulgazione della legge sulla serrata fu sancita la salvezza dello Stato
ma, in quello stesso momento anche
l'inizio del suo lentissimo ma inesorabile declino.