SESTIER DE

DORSODURO

ciexa de la Visitazion

CONTRADA

S. AGNESE

 

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Cenni storici:

nel 1392, giunge a Venezia uno sparuto gruppo di religiosi toscani facenti parte della Compagnia dei poveri Gesuati (fondata a Siena nel 1360 dal beato Giovanni Colombini) i quali, dopo aver sostato per qualche periodo presso una casa ubicata nel Sestier de Castelo, grazie al legato di tale Pietro Sassi si spostano nel  Sestier de Dorsoduro alle Zattere in una zona della città che non molto tempo dopo sarà indicata dal popolo “ai Gesuati”.

Restando ignota la consistenza edilizia colà esistente al loro arrivo, i Gesuati alloggiano inizialmente in una casa già esistente dotata anche di uno scoperto di modesta estensione, delimitato a meridione dal canal de la Zueca, a settentrione e a oriente dal rio dei Gesuati (come fu in breve chiamato) e lungo il lato occidentale da una schiera di case private.

Dopo un breve periodo di adattamento ad una struttura non confacente però alla vita claustrale, grazie alle offerte dei fedeli e ai doni di Francesco Gonzaga, primo marchese di Mantova, finalmente nel 1423 poterono partire i lavori per la costruzione di un oratorio dedicato a San Girolamo (patrono dell’Ordine) e del monastero il cui sviluppo, come ben si nota nella pianta del de’ Barbari del 1500, saturò tutta l’area disponibile.

I Gesuati, calunniati in seguito di costumi immorali, vengono però prosciolti da ogni accusa nel 1436 da papa Eugenio IV; anzi la loro fama di santità diviene tale che Nicolò Marcello, ad essi devotissimo, vorrà essere incoronato Dose (1473-1474) da due di questi frati.   

Grazie anche al cospicuo lascito del Dose Nicolò Marcello, nel 1493 il patriarca Tommaso Donà posa la prima pietra e, con l’impiego di maestranze comacine, ha inizio la costruzione di una chiesa più decorosa. Il progetto, assegnato al lombardo F. Mandello, imposta il primo esempio di edificio rinascimentale a Venezia, richiamando da vicino i canoni costruttivi utilizzati da M. Codussi e dai Lombardo. Con l’occasione, la facciata della nuova fabbrica viene ora orientata verso la fondamenta Zatere ai Gesuati.

I lavori si conclusero con la facciata nel 1504 e la chiesa fu consacrata il 21 dicembre 1524 da Giovanni, vescovo titolare di Tiberiade (come appunto riporta la lapide posta all'interno del chiostro attiguo alla chiesa), essendo dedicata non più a San Girolamo ma alla Visitazion.

In crisi di vocazioni, nel 1668 l’Ordine mendicante dei Gesuati viene soppresso e il complesso conventuale acquistato nel 1669 dai Domenicani del beato Giacomo Salomone, già presenti a Venezia. Quando questi consacrarono nel 1743 la nuova chiesa di Santa Maria del Rosario (che rimase però detta dai veneziani “ai Gesuati”), nel 1750 la chiesa della Visitazion, accogliendo la preziosa raccolta di libri donata da Apostolo Zeno, venne trasformata in biblioteca aperta al pubblico. Gli armadi della biblioteca, disegnati dalla stesso Massari, sono oggi depositati presso l'Accademia di Belle Arti.

Nel 1810 in applicazione al decreto napoleonico che sanciva lo scioglimento di tutti gli Ordini religiosi esistenti sul territorio del Regno d’Italia, ai Domenicani furono concessi venti giorni per abbandonare il complesso conventuale, che passò in proprietà del Demanio. La chiesa della Visitazion, fu depredata dei suoi libri e poi abbandonata all’incuria per molti anni, tanto che crollò la piccola cupola e con essa andarono irrimediabilmente perduti anche gli affreschi.

Nel 1815 il grande cenobio diventa un orfanotrofio maschile gestito dai padri Somaschi, mentre nel 1828 la chiesa ritornò ad essere officiata, a beneficio dell’Istituto per orfani. In seguito a vari passaggi di proprietà, il complesso venne acquistato nel 1923 da Don Luigi Orione che continuò a utilizzarle la chiesa per il culto religioso degli orfani, che qui venivano ora avviati alle professione artigianali e perciò chiamati Artigianelli (nome che ha oggi sostituito in città quello della Visitazion).

Un importante restauro dell'edificio sacro è stato reso possibile nel 1994-95 dai finanziamenti erogati dal Magistrato alle acque di Venezia, dalla Regione Veneto e dai Comitati Internazionali tramite l'IRE.

Nel 2008 la Comunità religiosa di San Luigi Orione si è trasferita in terraferma e, da quella data, l'edificio sacro non è più utilizzato per le funzioni religiose. La chiesa è oggi proprietà privata e viene aperta al pubblico in occasione di mostre d'arte o concerti. Ciò nonostante, in ottobre 2008 la chiesa è stata arricchita da una nuova Via Crucis (ispirata alla Via Crucis di Giambattista Tiepolo che si trova conservata nella sacrestia della chiesa di San Polo) e da altri due quadri a soggetto religioso, dipinti su tela da M. Favaretto (discendente del Veronese e insegnante in un liceo artistico veneziano).

Dal settembre 2009 al gennaio 2013 sono stati sottoposti a un rigoroso restauro i 58 dipinti del soffitto ligneo.

Visita alla chiesa:

NAVATA

soffitto: costituisce la parte più significativa e pregevole della chiesa, dal punto di vista stilistico, compositivo e tecnico esso costituisce un unicum in Venezia. Composto da 58 tavole, ciascuna di metri 1,30 per lato, dove sono ritratti in busto: Santi, Apostoli, Profeti, Frati Fondatori e al centro: grande tondo (diametro di metri 2,50) Visitazione della Vergine. I dipinti risalgono agli inizi del XVI secolo e sono opera di Pietro Paolo Agabiti (o Agapiti) e della sua bottega che operava tra le Marche e la Toscana. Alcune tavole rivelano influssi delle scuole di Leonardo da Vinci e di Luca Signorelli.

intorno al soffitto, lungo le pareti: fregio a fresco

LATO DESTRO

Altare

all’altare: tela San Girolamo Emiliani affida alla Beata Vergine i suoi orfanelli (1850) di Alessandro Revera.

PRESBITERIO

arco trionfale: parte della costruzione originaria.

a destra, porta di accesso al coro: radica lavorata a mano (XVI secolo) sopra la porta: tela monocroma Vescovo (XVI secolo) di Autore ignoto.

alla parete dietro l’altar maggiore: pala Pentecoste () di Antonio Varolari detto il Padovanino, al di sotto: bassorilievo Santissima Trinità (XV secolo).

cupola cieca, ai quattro pennacchi: affresco Evangelisti (inizi XVI secolo)

a sinistra, porta di accesso al coro: radica lavorata a mano (XVI secolo) sopra la porta: tela monocroma Vescovo (XVI secolo) di Autore ignoto.

 SACRESTIA

all'altar maggiore: icona marmorea Dio Padre sorregge il Figlio Gesù morente in croce (inizi XVI secolo) attribuita alla Scuola dei Lombardo.

lavabo: marmo rosso di Verona (XVI secolo).

due formelle: rilievo Addolorata e Cristo flagellato (XVII secolo).

LATO SINISTRO

Altare

all’altare: tela Crocifissione () di Nicolò Renieri (il cui vero nome è Nicolas Régnier, pittore fiammingo).

 


 

Molte delle opere pittoriche contenute in questa chiesa (tanto da far dire allo storico Francesco Sansovino, figlio di Jacopo, “come non vi fosse in essa spazio vuoto”), furono rimosse dopo la soppressione napoleonica per essere disperse o trasferite in altri luoghi.

E’ il caso della Resurrezione di Rizzo da Santacroce, oggi presso le vicine Gallerie dell'Accademia di Belle Arti; oppure la Crocefissione di Tintoretto (ora nella chiesa dei Gesuati, terzo altare a sinistra), o infine le portelle d'organo del Tiziano, approdate a New York, presso un collezionista privato, e delle quali si sono perse le tracce.

 



Portale e facciata:

il rivestimento rinascimentale della facciata fu affidato a F. Lurano da Castiglione; l’opera, portata a termine nel 1504, risente dell’influenza dei canoni costruttivi di M. Codussi e dei Lombardo, entrambi qui idealmente presenti.

La facciata (a linee semplici, dette “a capanna”), è suddivisa orizzontalmente in due ordini (ciascuno ritmato da quattro paraste corinzie che a loro volta suddividono verticalmente la facciata in tre parti), conclusi dal frontone triangolare decorato nel timpano da bassorilievi raffiguranti due angeli reggenti un  grande trigramma “IHS” di San Bernardino da Siena, tipico di quest’Ordine, e ornato ai vertici da tre statue.

Nello spazio centrale inferiore si apre l’elegante portale rinascimentale, con i due stipiti e l’architrave finemente ornati da rilievi marmorei e, al di sopra, dal timpano curvilineo coronato da una cimasa. In particolare, sono interessanti i due bassorilievi a forma di tondo che ornano gli stipiti della porta esterna, raffiguranti celebri gesuati. Nel tondo a sinistra è  identificabile Giovanni da Tossignano, che fu vescovo di Ferrara (la figura a destra).

Il secondo ordine è occupato al centro dal  grande occhio circolare e dalle due monofore laterali abbellite da semplici contorni.

Interno:

l’interno della chiesa, in parte deturpato da restauri posteriori, è ad una sola navata. Della primitiva costruzione rimangono oggi il timpano e le colonne, adattate alla porta principale, lo splendido soffitto ligneo a cassettoni, impreziosito da un fregio a fresco lungo le pareti e le pitture cinquecentesche di scuola umbra entro comparti.

In particolare, il soffitto della navata è interamente rivestito da tavole raffiguranti busti di Santi dell'Antico e del Nuovo Testamento e, al centro, il grande tondo raffigurante l'incontro tra la giovane Maria e sua cugina Elisabetta. La decorazione, uno dei più interessanti gruppi di pittura toscana ancora esistenti a Venezia nel sito originario, rappresenta un unicum nel panorama artistico della Venezia rinascimentale. I dipinti erano interessati da un preoccupante ed esteso degrado ma grazie a un intervento di restauro voluto ed interamente finanziato dalla Provincia Religiosa di San Marziano di Don Orione, fra il 2008 e il 2011 sono stati meticolosamente recuperati.

L’arco trionfale, originale del Quattrocento, immette al presbiterio che è sopraelevato di due gradini rispetto alla navata e diviso da essa da una balaustra in marmo di Carrara. Al centro è collocato l’altar maggiore costituito dalla semplice mensa e sovrastato dalla cupola cieca, ricostruita dopo il crollo dovuto all’abbandono ottocentesco, ornata nei pennacchi da quattro tondi a fresco.

Campanile (campaniel):

il basso e semplice campaniletto, addossato al lato destro della chiesa, fra il presbiterio e il coro, è realizzato tutto in cotto, con canna a pareti lisce e la cella campanaria con apertura ad arco su ciascuna facciata; al di sopra un tetto di coppi spiovente a quattro falde.

Monastero:

nel 1423, addossato al lato destro della chiesa, si sviluppa il piccolo monastero quattrocentesco dei Gesuati, anche se più che di nuovi edifici in realtà si dovette trattare della ristrutturazione ed ampliamento di vecchi stabili che furono adattati alle necessità della vita claustrale. All’interno del piccolo chiostro, poste su un basso muretto, stanno le colonne di pietra a sostegno di archi a tutto sesto in mattoni contornati sull’estradosso da una semplice cornice, anch’essa in cotto. Il porticato del chiostro, che si appoggiava con un lato al fianco destro della chiesa, risulta oggi in parte manomesso, anche se nell’insieme esso ha mantenuto l’antico aspetto di estrema semplicità delle linee architettoniche.

A lavori ultimati, restò libera solo una stretta fondamenta lungo il rio dei Gesuati e una più larga lungo il Canal de la Zueca, all’interno dell’area conventuale stavano ora due grandi fabbricati paralleli, congiunti trasversalmente da altri di minore lunghezza.

Quando più tardi il Massari realizzò il nuovo grande convento dei Domenicani con due chiostri interni (uno dei quali rimasto incompiuto a causa della morte dell'architetto avvenuta il 20 dicembre 1766), egli collocò in posizione strategica tra il chiostro quattrocentesco e i due chiostri settecenteschi, quasi ad assumere una funzione di perno dell'intero impianto monastico, una scala elicoidale, che ricorda quella che venne realizzata nel non lontano convento della Carità.

Soppresso l’Ordine dei Gesuati, la costruzione del nuovo, imponente complesso settecentesco dei Domenicani impose la demolizione di alcune fabbriche dell’antico convento, in particolare quelle poste sui lati a filo del rio dei Gesuati.

Chiuso nel 1810 per decreto napoleonico assieme alla chiesa, il convento venne avocato al Demanio e fu più tardi destinato ad ospitare un Orfanotrofio, la cui Istituzione, denominata “Gli Artigianelli” ancora oggi vi opera.

Bibliografia:

 

Umberto Franzoi / Dina Di Stefano

Le chiese di Venezia

Azienda Autonoma Soggiorno e Turismo, Venezia 1975

 

Giulio Lorenzetti

Venezia e il suo estuario

Edizioni Lint, Trieste 1956

 

Tudy Sammartini / Daniele Resini

Campanili di Venezia

Edizioni Grafiche Vianello, Treviso 2002

 

 

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