La sarìa curiosa ...

la testa de la vecia

SESTIER DE

 S. MARCO

A Venezia brusàr la vecia (ossia bruciare la vecchia, in senso figurativo, naturalmente) rappresentava l'atto conclusivo con il quale tradizionalmente si concludeva il famoso carnevale, avvenimento che in qualche passata occasione è anche stato meritoriamente riproposto dall'Amministrazione Comunale, dove un manichino in paglia veniva dato alle fiamme su di un pontone prudenzialmente ormeggiato in mezzo al bacino San Marco.

Seppure molto spettacolare, in sè il rogo non rispecchia però il rito originario in voga a Venezia sin ben oltre l'inizio del '900, quando appunto il fantoccio non veniva bruciato ma invece segato in due, allo scopo di far fuoriuscire dal taglio fiori e confetti.

Sul perchè poi la rappresentazione popolare vuole che a bruciare (o essere tagliata in due) debba essere la caricatura di una vecchia, il Tassini (Curiosità Veneziane, VENEZIA, 1886, pag. 396) lo spiega con grande abbondanza di particolari:

"S. Luca (Campo, Ramo va in Campo, Salizzada, Rio). (…) Si ha dai Registri dei Giustiziati che il 27 marzo 1721 venne decapitato e squartato Domenico Rossi da Palma, garzone nella farmacia della Vecchia in Campo San Luca, (…) Qual origine possa aver avuto l'antica insegna di tale farmacia, vedilo all'articolo Teatro (Calle e Ramo, Corte del) a San Luca. Era forse pell'esistenza di questa insegna che in Campo San Luca, più frequentemente che in altri campi della città, davasi, a mezza quaresima, lo spettacolo dell'abbruciamento della Vecchia. Varri fra noi devono ricordarsi di tale spettacolo, veduto nella loro fresca età. Raccolte spontanee offerte, e parato il campo di damaschi e bandiere, fabbricavasi un solaio, alto circa tre uomini da terra, sopra il quale ponevasi un fantoccio, rappresentante una vecchia con cuffia in testa, e larva sul viso, a cui due guardie rendevano ridicoli onori, mentre più o meno scordati istrumenti facevano echeggiare l'aria delle loro armonie. Frattanto avevano luogo altri spassi diversi, come quello di far volare per una corda qualche povero cane, legato ad un fuoco d'artificio; quello d'arrampicarsi sopra liscia ed unta antenna alla conquista di qualche salame, o fiasco di vino, attaccati alla cima; oppure quello di ghermire colla bocca un'anguilla, immersa in un mastello d'acqua tinta di nero, la quale ridicolosamente bruttava il volto dei campioni postisi al cimento. Alla fine accendevasi e cadeva in cenere il fantoccio. Più anticamente però la Vecchia non abbruciavasi, ma segavasi per mezzo, e ne uscivano fiori e confetti, che i monelli si contrastavano fra loro".

Il ricorso al Tassini (Curiosità Veneziane, VENEZIA, 1886, pag. 719) è ugualmente necessario per conoscere la leggenda che circonda la curiosità riguardante  la testa de la vecia :

Teatro (Calle e Ramo, Corte del) a S. Luca. (…) Merita uno sguardo quella testina di marmo, rappresentante una donna in vecchia età, che, unitamente agli stemmi dei Bembo e dei Moro fra essi congiunti, nonché allo stemma della Confraternita di S. Rocco, scorgesi sopra una muraglia in Corte del Teatro a S. Luca. Se il bujo dei tempi non ci permette di sapere chi raffiguri quella testa, possiamo dedurre che essa fosse fatta collocare ove esiste dalla famiglia Querini. (…) Non è improbabile poi aver avuto origine dalla testina l'insegna della Vecchia, che porta da secoli la farmacia in Campo di S. Luca, poiché il casamento ove è situata arriva fino alla corte del Teatro e per di dietro ha un uscio sottoposto precisamente alla testina. Senonchè, a titolo di curiosità, qui riporteremo un'altra origine dell'anzidetta insegna, che si legge nel volume IV dei Commemoriali manoscritti del N.U. Pietro Gradenigo da S. Giustina: Una Vecchia Donna, della parrocchia di S. Paterniano, di avaro temperamento, tutto ciò che ricavava dal suo lavoro, o altra industria, nascondeva e cuciva fra le fodere di un vecchio ed inutile tabarro, il quale fra le straccie teneva nella parte più dimenticata della soffitta della propria casa, così celando al suo discolo, quanto pietoso figliuolo, tanto danaro. Un giorno nella più rigida stagione d'inverno, mosso egli da fervida compassione d'un ignoto e nudo povero interricito sulla strada del freddo, si risolse di donare a lui il tabarro stesso, credendo non aver bisogno d'implorare permissione alla madre per mantello sì stracciato. La settimana seguente, occorrendo alla genitrice d'aumentare il suo deposito, e non ritrovatolo per diligenza usata, interrogò finalmente il figlio se ne sapeva dar nuova, che da essa sentita fatale per la difficoltà di ricuperarlo, gli palesò per ultimo quanto oro vi era cucito onde lasciarlo in tempo di sua morte in di lui eredità. Penetrato il Giovine da tale impensata informazione, si diede tutto all'impegno di rintracciare il Mendico, ma non sortiva nell'intento. Si risolse allora di vestirsi a modo d'uno stolto inginocchiato ai scalini del Ponte di Rialto, cioè dove ogni momento concorre l'affluenza degli uomini, che girano per la città, e rivolgendo un naspo adagio, adagio, secondando anche la mano con il flebile canto, che replicava a modo d'invitare li passeggeri a compatire qualche suo sfortunato destino, mai tralasciò la mentita comparsa se non diede l'occhio sopra il Povero, che cercava, quale appena venduto con lieto animo lo chiamò a sé, dimostrando compassione che in stagione sì aspra se ne stesse malamente riparato. Poi gli disse: Fratello! Io rimango per te sì penetrato che penso di cambiar teco il mio tabarro, tanto più che saprò con questo mezzo come meglio provvedere a me stesso.

Non fu difficile ad acconsentire il bisogno forastiero, sorpreso dalla umanità del pio Veneziano, e ringraziatolo con mille benedizioni, prese il dono, e se ne andò con la buona ventura. Allora, senza perder tempo, lasciato il naspo, di buon passo il figlio ritornò alla madre, e con promiscuo piacere repristinarono a lor prò l'opulente borsa. Così continua il misterioso simbolo a rammentare il fatto, stante che, col mezzo del soldo, si fondò florido negozio di accreditata farmacia, contradistinta da un significante intaglio, che rappresenta la Vecchia sedente con la Rocca ed il Fuso, a cui piedi sta il fanciullo, contorcendo il filo col mezzo d'un Naspo.

Il Fanciullo stesso si chiamava Vincenzo Quadrio, e fu primo spicier all'insegna della Vecchia. (…).

 

La cronacheta de Sior Antonio Rioba.

Brusèmo la vècia! Brusèmo la vècia!

Se ga capìo che no ga niente a che far co' queo che in Tera Ferma i ciama el "pan e vin", (beo anca queo da vedar) questa qua de la vecia gera tuta n'altra roba.

Brusàr la vecia, un fià de ani fà lo go visto far in giro par Venexia, ma xe sempre un gran pericolo impizar foghi!

 


 

 

 

 

CONTRADA

S. LUCA

CORTE

DEL TEATRO

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