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Sebbene l’edificio non venne progettato
sin dall’origine specificamente quale fontego, nondimeno esso
fu certamente concepito con la funzione mista di caxa-fontego, una pianificazione
costruttiva assai comune nella Venezia di quel tempo, quando le piccole navi
ancora risalivano il Canalasso
e scaricavano le merci direttamente al domicilio dei mercanti. La grande Ca’ fu realizzata pare attorno al 1225, su commissione di Giacomo
Palmieri, console del Comune di Pesaro e considerato quale
fondatore della famiglia patrizia veneziana dei Pesaro. Nel corso del 1381 il Governo ne approvò l’acquisto col fine di farne dono a Niccolò II d'Este, marchese di
Ferrara, quale tangibile ringraziamento per l’appoggio avuto in occasione
della guerra di Chioggia, combattuta contro la Repubblica di Genova. Il
prestigio di cui godeva la Ca’
doveva essere assai elevato se nel 1438
Giovanni VIII Paleologo,
imperatore di Bisanzio, fu qui ospitato nel corso di una visita a Venezia. Fu
però discontinua la proprietà della famiglia d’Este sull'edificio: esso fu
infatti confiscato una prima volta per ragioni belliche nel 1482 e nuovamente nel 1509, quando il Governo lo sequestrò
a Alfonso I d'Este. Ritornatane in proprietà, la Repubblica
ne fece dono a papa Giulio II,
il quale in verità ne aveva fatto espressamente richiesta per alloggiarvi il
nunzio apostolico a Venezia. Successivamente la Ca’ passò a papa Leone X,
che ne fece dono al prelato Altobello Averoldo.
Nel 1527
però il Governo deliberò che l’edificio ritornasse alla famiglia d’Este, che
nel frattempo si era nuovamente schierata con la Repubblica, ospitando nel 1562 Alfonso II d’Este, duca di Ferrara. Nel 1602
Cesare d'Este ne cedette la proprietà
al cardinale Aldobrandini, nipote del pontefice Clemente VIII, il quale a sua volta la venderà nel 1618 al nobilomo veneziano Antonio Priuli,
che in quell’anno verrà eletto Dose. Nel 1621 il Dose Antonio Priuli
decideva infine di affittare l’edificio alla comunità Turca di Venezia, che finalmente
vide soddisfatta una richiesta che insistentemente perorava al Governo fin
dal 1608. Divenuto il fontego dei Turchi, vi vennero
ricavati magazzini, lavatoi, servizi e le camere da letto necessarie per
ospitare i mercanti della nazione Ottomana. Con il crollo degli scambi commerciali oltremarini legato alla ventennale Guerra di Candia, nel 1732 l'edificio versava in condizioni di forte degrado, tanto che si verificò anche un crollo interno. Nonostante ciò, il fontego mantenne la sua funzione fino alla fine della Repubblica (1797), continuando poi a rimanere in uso alla nazione Ottomana fino al 1838. In quell’anno, un imprenditore veneziano, tale Busetto detto “Petich”, lo acquistò dal conte Leonardo Manin, legatario di Piero Pesaro, la cui famiglia ne era alfine ritornata in possesso attraverso il patrimonio portato in dote al matrimonio da una nobildonna veneziana Priuli. Nel 1860 il fontego fu dapprima ottenuto in enfiteusi
dal Comune di Venezia, che poi lo acquistò per la somma di 80.000 fiorini
austriaci e nel 1869 esso venne sottoposto ad un radicale restauro che
nelle intenzioni del progettista, Federico Berchet, avrebbe dovuto consentire di recuperarlo
alle forme seicentesche, ma che invece finì poi con il modificare
profondamente lo stato in cui l’edificio era stato trasformato, internamente
ed esternamente, dal tempo e dalle vicissitudini. Alla conclusione dei lavori era sopravvissuta
solo la struttura tipica del fondaco, quale ad esempio la contenuta altezza
dell’edificio, e il disegno stilistico veneto-bizantino che caratterizzava
l'architettura veneziana del XIII secolo. Il fontego
rimase infatti suddiviso in due piani, con la facciata principale sul Canalasso che
presenta un piano terra segnato da dieci archi a tutto sesto e una loggia con
diciotto arcate di dimensioni minori e il cui disegno fu realizzato
ispirandosi alla vecchia facciata. Allo stesso modo, essendo a conoscenza dell’esistenza
delle due torrette laterali ai lati della facciata (fatte demolire per ordine
del Senato), il Berchet ebbe l’idea
di ricostruirle, articolandole su tre livelli. Inserì inoltre sulla sommità
della facciata anche una fila di merli, visibili certo in alcune vedute cinquecentesche
ma anch’esse ormai del tutto assenti nel vecchio edificio. Quale tocco
finale, molte delle decorazioni esterne (patere, sculture, cornici),
largamente impiegate nel restauro, sono in realtà materiale di recupero,
quando non veri e propri falsi scultorei realizzati ispirandosi
all'architettura bizantina. Anche la grande corte rettangolare interna su cui
si affacciano le numerose stanze del fontego venne
completamente ricostruita, inserendo lungo le due pareti più lunghe del
pianoterra un porticato con archi a tutto sesto. Il fontego fu dapprima sede del civico Museo Correr, qui inaugurato nel 1880 e solo in seguito trasferito con le raccolte storiche ed artistiche in Piazza San Marco. Quando l’edificio rimase libero, l’ingegner Giorgio Silvio Coen propose di trasferirvi nel 1923 l’istituendo Museo di Storia Naturale che avrebbe riunito le varie raccolte scientifiche esistenti a Venezia, ed in particolare quelle del Museo civico Correr, dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, la collezione privata del conte Alessandro Pericle Ninni, ed altre minori.
L’andata del Dose al fontego dei Turchi
La riva del fontego prospiciente il Canalasso.
Veduta del Canalasso al fontego
dei Turchi.
Incisione della veduta del fontego.
Il fontego nell’800, prima del restauro.
Il fontego all’inizio dei restauri.
Immagine dal celebre dagherrotipo di Ruskin
Il fontego dei Turchi prima del restauro.
Il fontego dei Turchi a restauro concluso.
Il fontego dei Turchi in una veduta odierna.
La salizada del fontego, a sinistra la porta da Terra.
Il cortile interno del fontego.
La fontana.
Il cortile interno del fontego. |
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