SESTIER DE S. MARCO |
ciexa de San Salvador |
CONTRADA S. SALVADOR |
Cenni
storici Centrale in
tutti i sensi nella storia e nella forma di Venezia, la grande chiesa
dedicata a San Salvador (Gesù Salvatore) si erge nell’intrico di una delle zone
della città più fittamente abitate. La prima
fondazione risale al VII secolo e ha origini leggendarie: Gesù Cristo sarebbe
apparso in sogno al vescovo San Magno per indicargli il luogo - al centro di
una Venezia ancora bizantina - dove egli avrebbe dovuto erigere una chiesa da
dedicare a Lui stesso, il Salvatore del mondo. Nel XII secolo
si ritrova traccia certa dell’esistenza di un convento fondato dai canonici
accanto alla chiesa ancora romanica, che veniva gravemente intaccata da un
incendio nel corso del 1167. Dieci anni più
tardi, sarà papa Alessandro III, giunto a Venezia per riappacificarsi con
l’imperatore Federico Barbarossa, auspice il dose Sebastiano Ziani, a riconsacrare la chiesa. Nonostante
ciò, una radicale costruzione viene avviata subito dopo e nel primo decennio
del 1200 i lavori procedono ed interessano tutto il complesso religioso:
chiesa, convento ed adiacenze. Non fu però
questa la versione definitiva della chiesa, di tipo basilicale a tre navate e
transetto, che aveva quindi assunto come riferimento tipologico il Santo
Sepolcro di Gerusalemme, in linea con la tradizione devozionale del tempo. San Salvador
era stata affidata dal 1421 ai canonici regolari lateranensi ma questi erano
stati sostituiti dal 1442 dai canonici regolari di San Salvatore di Bologna
per intervento del papa veneziano Eugenio IV Condulmer. Compromessa l’integrità
dell’edificio già alla metà del 1400, non sembrava però che i nuovi confratelli
conducessero con solerzia i necessari interventi di restauro. Nel 506 venne
messo a punto un programma di completa ricostruzione, che vide da un lato l’intervento
del priore dei canonici, Antonio Contarini (poi divenuto Patriarca), che
perseguiva un ambizioso disegno di riforma architettonica della chiesa, del convento
e delle abitazioni e botteghe adiacenti, e dall’altro, l’opera degli
architetti che si prestarono a trasformarlo in progetto: Giorgio Spavento che
lo ideò, proseguito l’anno dopo da Pietro Lombardo ed il figlio Tullio ed
infine concluso con l'intervento del Sansovino. Il modello
planimetrico, che rimandava a quello della chiesa di San Marco; il richiamo al
culto dell’antico patrono di Venezia, Teodoro; la data scelta per la posa
della prima pietra, il 25 marzo anniversario della fondazione della città; confermavano
le intenzioni ideologiche che si inserivano nella ricostruzione dell’edificio
sacro: la centralità della religione cattolica nazionale della chiesa lagunare, in contrapposizione politica a
Roma. Alcune
iscrizioni documentano il progredire della costruzione: nel 1520 era conclusa
la parte absidale e si potè celebrarvi la messa, nel 1530 la cantoria, nel
1532 la porta laterale sulla Marzaria
e nel 1534 era terminato l'altar maggiore. Caduta la
Repubblica nel 1797, successivi provvedimenti napoleonici abolirono la
congregazione dei canonici e la chiesa passò in proprietà al demanio che fu
restituita alla Curia Patriarcale nel 1806. Tra il 1868 e
il 1879 la chiesa rimase chiusa per permettere i lavori di restauro. |
Opere
d’arte all’interno lato destro, primo altare: Dedicato al Crocefisso e/o
ai Morti. l'altare: di fattura classicheggiante, con quattro colonne che
sorreggono il timpano ad arco; all’altare: pala marmorea Cristo in Croce
(bronzo) fra la Vergine e San Giovanni
(sculture della seconda metà del XVII secolo). lato destro, prima campata: Monumento funebre ad
Andrea Dolfin e Benedetta Pisani Piuttosto freddo e macchinoso, il monumento funebre
dedicato alla memoria di Andrea
Dolfin (Procurator de San Marco morto
nel 1602) e della moglie Benedetta Pisani (morta nel 1595), anticipando le
inflessioni architettoniche che poi saranno coltivate dal gusto barocco,
risulta appesantito da accentuazioni monumentali e forzature retoriche. Progettato e realizzato alla fine del XVI secolo da Giulio del Moro, vi lavorò anche Gerolamo Campagna. Dagli alti basamenti si innalzano quattro colonne di marmo grigio che reggono un vigoroso cornicione con fregio bombato. Nell’ordine
inferiore, tripartito, la statua del Salvatore, di
Giulio del Moro, a sinistra
il busto del Procurator Andrea
Dolfin e a destra il busto della moglie Benedetta Pisani, opera di Gerolamo Campagna. Nell’ordine
superiore, a sinistra la statua di Sant’Andrea
e a destra quella di San Benedetto
opera di Giulio del Moro. lato destro, secondo
altare: Dedicato alla Madonna con
il Bambino. l'altare: realizzato da Gerolamo
Campagna; all’altare: statua in marmo Vergine con
il Putto e due angeli (fine del XVI secolo) di Gerolamo Campagna. lato destro, seconda
campata: Monumento funebre a
Francesco Venier
Concepito, secondo la tradizione classica, in forma di
arco trionfale, il monumento funebre dedicato alla memoria di Francesco Venier (Dose dal 1554 al 1556)
costituisce il più significativo complesso scultoreo ed architettonico della
chiesa. La varietà, il colore e la preziosità dei marmi impiegati, le
dorature e la ricchezza del partito decorativo ne fanno uno dei più compiuti
monumenti funebri dogali della metà del XVI secolo. Progettato e realizzato dal Sansovino tra il 1556 e il 1561, al maestro vi si affiancò
certamente Alessandro Vittoria
assieme ad altri scultori. Dal banco di
marmo posto in basso e sostenuto da
robuste mensole (in tutto simile a quello della Loggetta del campanile di San
Marco) e dal basamento si innalzano quattro libere colonne di marmo grigio d’ordine composito, che reggono il possente cornicione con fregio bombato. Nell’ordine
inferiore, tripartito, al centro: è collocata, distesa sul cataletto formato dalla finta
urna, la figura del Dose,
negli intercolumni laterali: entro
elaborate nicchie con piccole colonne corinzie, mensoloni allungati
reggenti un timpano triangolare e con il catino della volta dalla
tradizionale forma a conchiglia, due allegorie: a sinistra la statua della Carità opera attribuita a Tommaso da Lugano e a destra quella della Fede opera di Alessandro Vittoria. Nell’ordine superiore, ionico, la lunetta dell’arcone centrale contiene un bassorilievo che rappresenta la Pietà adorata dal Dose Venier e dal di lui Santo protettore
Francesco di Alessandro
Vittoria; nei due riquadri
laterali stanno altrettanti stemmi
familiari sormontati dal berretto dogale. lato destro, terzo altare: Originariamente dedicato a Sant’Agostino (venerato dai canonici regolari che officiavano
la chiesa). l'altare: nel 1560 fu acquistato dal ricco mercante Antonio Canovì
(detto Della Vecchia, dall’insegna
del suo negozio) che ne affidò la
ricostruzione al Sansovino.
all'altare: il Canovì finanziò anche la composizione della pala Annunciazione del Signore (1560-65) capolavoro
del Tiziano, dallo stesso firmato
“fecit fecit”. lato destro, transetto,
quarto altare:
In origine dedicato a Sant’Agostino
(con un polittico oggi proprietà privata) e poi dedicato a San Francesco di Paola. l'altare: l’attuale in marmo sostituì il precedente ligneo e, al
pari di quello posto di fronte, fu costruito nel 1736 a spese dei tre rami della famiglia patrizia veneziana
dei Corner sul modello di quello, cinquecentesco, collocato nel lato sinistro
del transetto (oggi intitolato alla Sacra
Famiglia). all'altare: pala San Lorenzo, San
Giacomo, la Maddalena e San Francesco di Sales (1729), opera di Girolamo Brusaferro. Il dipinto
attuale fino alla metà dell’Ottocento stava
collocato sul lato
sinistro, transetto, quinto altare (in quel tempo intitolato a San Giacomo, ed ora invece
dedicato alla Sacra Famiglia). lato destro, facciata del
transetto:
Monumento funebre a
Caterina Corner
Mentre la chiesa si trovava ancora in costruzione, i canonici
cedettero alla famiglia Corner lo spazio ed il diritto di costruzione del
monumento funebre che essa intendeva dedicare a Caterina Regina di Cipro, (la quale aveva
rinunciato alla corona a favore della Repubblica di Venezia), le cui spoglie
vennero qui trasferite dalla Cappella Corner
in chiesa dei Santi Apostoli
alla fine del 1500. L’incarico della progettazione fu inizialmente affidato a Giovanni Maria Falconetto, ma il
progetto rimase sulla carta fino alla fine del XVI secolo, quando l’incarico di
realizzare il monumento passò a Bernardino
Contino, che concluse i lavori nel 1584. La partitura architettonica è
piuttosto complessa, con la struttura che è unita insieme da colonne,
timpani, lesene e modanature. Il monumento, che fa pari con il gemello posto
di fronte (e costruito dallo stesso architetto), qui ha anche ruolo di
portale verso la retrostante sacrestia. al centro, sopra la porta: bassorilievo marmoreo Caterina
consegna al Dose Barbarigo la corona di Cipro (tardo 1500). Sagrestia: vano rettangolare assai semplice, l’ambiente è coevo alla
chiesa e fu realizzato su progetto di Giorgio
Spavento; l’interno riporta le eleganti forme della Rinascenza con
un’interessante serie di polifore, parte aperte e parte orbate, che lo
incoronano e lo illuminano. alle pareti: resti di affreschi di Francesco Vecellio, al soffitto: entro ovale circondato da ghirlande di fiori Il Salvatore benedicente e gloria d’angeli, nelle polifore cieche: affreschi pavoni, uccelli,
verzura, alla parete: dipinto San Magno
di scuola tizianesca. lato destro, transetto,
quinto altare:
Dedicato inizialmente a San Leonardo. l'altare: l’attuale in marmo sostituì il precedente ligneo e, al
pari di quello posto di fronte, venne costruito nel 1736 a spese dei tre rami della famiglia patrizia veneziana
dei Corner sul modello di quello, cinquecentesco, collocato nel lato sinistro
del transetto (oggi intitolato alla Sacra
Famiglia). all’altare: pala San Leonardo, Sant’Andrea, San Nicolò e San Lorenzo
Giustiniani opera di Francesco
Fontebasso, nella
soprastante lunetta: dipinto La presenza della Santissima Trinità nella Pietà
opera di Andrea de Micheli detto
il Vicentino. cappella a destra del
presbiterio:
Dedicata a San Teodoro
ossia San Todaro, il primo patrono
di Venezia. L’urna contiene il corpo del Santo che Jacopo Dauro trasportò nel
1257 dalla chiesa di Messembria in Asia Minore a Costantinopoli e che il
fratello Marco dieci anni dopo portò a Venezia, donandolo alla chiesa di San Salvador, di cui era parrocchiano. La vicina schola granda de san teodoro,
dopo lunghe ed alterne vicende, ne entrò in possesso nel 1551. Sulla parete a destra, in basso: un’iscrizione latina invita
l’ospite a venerare il corpo del Santo (pur nella confusione fatta fra
l’omonimo Teodoro Amaseno (un soldato martire) e Teodoro di Eraclea nel Ponto
(il generale martire e Santo qui venerato). parete a destra, in alto: dipinto Il martirio di San Teodoro (metà del 1500),
attribuito a scuola di Bonifacio de’
Pitati. all’altare: dipinto San Teodoro in gloria di Pietro Mera. pavimento del transetto: al centro: tomba con pareti affrescate di Bartolomeo Bontempelli (m.
1602). cappella maggiore: L’ampio presbiterio è opera di Giorgio Spavento. altar maggiore: opera del bergamasco Guglielmo
dei Grigi, sorge isolato nelle forme di un grande pannello con imponente
fastigio a volute dalle quali si innalza la statua del Salvatore (1500). Vi è contenuta
la pala d’argento dorato, lavoro di oreficeria veneziana del primo 1300, con
aggiunte e restauri del XV secolo. Fra i Santi, la Vergine e i simboli degli
Evangelisti, al centro: Trasfigurazione di Cristo fra Mosè ed Elia. all’altare: davanti alla pala (visibile solo dal 3 al 15 agosto) fa
da custodia il dipinto Trasfigurazione di Cristo, capolavoro di Tiziano. cappella a sinistra del
presbiterio:
Dedicata al Santissimo
Sacramento, alla decorazione della cappella volle provvedere
personalmente il patriarca Antonio Contarini. parete a sinistra: dipinto Cena in Emmaus opera della scuola di Giovanni Bellini. catino absidale: resto di più ampio mosaico Il
priore Antonio Contarini e il patriarca Antonio Contarini adorano il
Santissimo Sacramento (1523) di Grisogono Novello. lato sinistro, transetto,
quinto altare:
Un tempo di San Giacomo,
verso la metà del 1800 fu dedicato alla Sacra
Famiglia, soggetto devozionale che iniziò a diffondersi a partire
dal XVII secolo. altare:
cinquecentesco, il modello compositivo ispirò la realizzazione posteriore dei
due altari posti nel braccio destro del transetto. all’altare: dipinto Sacra Famiglia (secolo XVII) opera di Lattanzio Querena,
nella soprastante lunetta: dipinto Padre Eterno fra il
Salvatore e la Vergine opera di Natalino da Murano (metà del XVI secolo). lato sinistro, facciata del
transetto:
Monumento funebre a
Marco Corner
A chiesa ancora in costruzione, i canonici cedettero lo
spazio ed il diritto di costruzione del monumento funebre che la famiglia
Corner intendeva dedicare a Marco
Corner (che fu il primo cardinale della nobile Casata). L’incarico della progettazione fu inizialmente affidato a Giovanni Maria Falconetto, ma il
progetto rimase sulla carta e nel 1570 venne affidata a Bernardino Contino la realizzazione del monumento, che pur
facendo la pari con il gemello posto di fronte (e costruito dallo stesso
architetto) qui ospita il battistero. Il complesso scultoreo è costituito da
una partitura architettonica piuttosto complessa, la struttura è unita
insieme da colonne, timpani, lesene e modanature. al centro del monumento, dietro il fonte
battesimale: dipinto Il battesimo di Gesù
al Giordano di Nicolò
Renieri. al centro, sopra il dipinto: bassorilievo Imposizione del
berretto cardinalizio da parte del papa a Marco Corner (anche se,
alla fin fine, il monumento è dedicato ai primi tre cardinali usciti dalla
potente famiglia veneziana, oltre a Marco, il fratello Francesco e Andrea). lato sinistro, transetto,
quarto altare:
Dedicato in origine alla Pietà, fu ricostruito nel 1617 a spese di Grazioso Bontempelli del Calice, un mercante oriundo di
Brescia che gestiva con il fratello Bartolomeo, appunto all’insegna del Calice, un fontego (fondaco) di panni di seta e d’oro nella vicina marzaria (merceria). Fu intitolato a San Carlo Borromeo quando erano
appena trascorsi sette anni dalla canonizzazione del celebre arcivescovo di
Milano. l'altare: di
elegante fattura, è decorato con colonne e marmi pregiati; nella nicchia centrale: dipinto La Pietà, San Carlo
Borromeo e i ritratti del committente e del fratello, di Sante Peranda. lato sinistro, terzo
altare: Dedicato a Sant’Antonio
Abate, l’altare e la tela furono entrambi commissionati alla fine
del 1500 dalla schola
picola dei salumeri. l'altare: di
imponente fattura, fu realizzato da Alessandro
Vittoria, a sinistra del tabernacolo:
la statua di San Rocco e a
destra: la statua di San Sebastiano (protettori contro la peste); al centro: tabernacolo
marmoreo aggiunto nel 1729 per conservare una reliquia di Sant’Antonio Abate,
sebbene sulla porticina sia stata in seguito adattata l’immagine di
Sant’Antonio da Padova. all'altare: dipinto Maria con Bambino, Sant’Antonio Abate tra San Giovanni
battista e San Francesco d’Assisi (seconda metà XVI secolo), di Jacopo Palma il Giovane. lato sinistro, porta
laterale organo e cantoria: Il raffinato prospetto dell’organo e della cantoria
(1530), opera del Sansovino, ricco
di marmi e di intagli dorati, costituisce contorno alla porta laterale che conduce in marzaria. nelle due nicchie laterali, a sinistra: statua di San Girolamo,
di Danese Cattaneo; a destra: statua di San Lorenzo, di Giacomo Fantoni Colonna, entrambi allievi del Sansovino. sopra la cantoria, le portelle dell’organo: sull’esterna sinistra la Trasfigurazione
di Gesù, sull’esterna destra la Resurrezione;
sull’interna sinistra Sant’Agostino e
sull’interna destra San Teodoro. Tutte
sono opera di Francesco Vecellio, fratello del Tiziano. lato sinistro, secondo
altare: Dedicato a San Gerolamo. altare:
cinquecentesco, realizzato dal bergamasco Guglielmo dei Grigi. all’altare: statua in
marmo San Gerolamo, opera di Tommaso Lombardo da Lugano, discepolo del Sansovino. lato sinistro, campata: Monumento funebre a
Lorenzo e Gerolamo Priuli L’importanza e la grande visibilità cittadina assunta da San Salvador fecero si che il monumento funebre dedicato alla memoria
di Lorenzo Priuli
(Dose dal 1556 al
1559) e del fratello Gerolamo
Priuli (Dose
dal 1559 al 1567) venisse qui costruito nonostante i due fratelli riposassero
nella chiesa di San Domenego de Castelo. La complessa macchina monumentale, realizzata sotto forma
di grande parametro scenografico, tiene unita nella medesima intelaiatura i
catafalchi dei due fratelli. Un’intelaiatura doppia e sovrapposta in cui però il centro
è suddiviso da una sola colonna a sostenere le parti simmetriche
dell’insieme, creando un effetto abbastanza insolito. Il progetto fu redatto da Giovanni Antonio Rusconi ma fu portato a compimento da Alessandro Vittoria sotto la
direzione di Cesare Franco. Dal banco di
marmo posto in basso e sostenuto da
robuste mensole (in tutto simile a quello della Loggetta del campanile di San
Marco) e dal basamento si innalzano sette colonne
di marmo grigio scuro, che
reggono il possente cornicione con fregio in rilievo. Nell’ordine inferiore, le figure dei Dogi stanno distese sul cataletto formato
dalla finta urna, ma hanno entrambi un’espressione di grande vigore; entrambe
sono attribuite a Giulio del Moro. Nell’ordine
superiore, le due statue marmoree
raffigurano i santi onomastici dei due Dogi: a destra si riconosce San Girolamo e a sinistra San Lorenzo, anch’esse opera di Giulio del Moro. lato sinistro, primo
altare: Originariamente era dedicato a San Nicolò ed assegnato alla schola de devozion de san nicolo’. l'altare: nel 1751 fu ricostruito dopo un
incendio che dieci anni prima lo aveva distrutto assieme al barco (coro pensile) esistente sopra
la porta principale. Partecipò alla spesa anche la schola de devozion de san lunardo che però
pretese nella pala anche l’immagine del proprio patrono, San Leonardo. Su
probabile richiesta dei canonici regolari, fu inserito anche il beato
Arcangelo Canetoli. all’altare: pala San Nicolò, San Leonardo
e il beato Arcangelo Canetoli iniziato da Giovanni Battista Piazzetta e terminato dal discepolo Domenico Maggiotto.
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Facciata
e portale Diversa è la
storia della facciata rispetto alla grande mole dell’edificio. Lasciata incompiuta
nel XVI secolo, successivamente a spese di tale Jacopo Galli, ricco mercante,
nel periodo fra il 1660 e il 1666 fu possibile procedere con il completamento,
eseguito su progetto di Giuseppe Sardi, apparendo compiuta nel 1703 essendo
in quell’anno riprodotta in una incisione di Luca Carlevaris. La fronte
monumentale, per qualche verso enfatica, è esaltata dall’alto basamento su
cui poggiano le semicolonne, corinzie, dell’ordine maggiore. Ricca è la composizione
di statue ed allegorie (della seconda metà del XVIII secolo) opera di
Bernardo Falconi, che coronano in alto la facciata e culminano con l’effigie
del Redentore. I motivi d’origine
palladiana, ravvisabili nel portale, nell’ordine maggiore e nella successione
dei timpani triangolari), si mescolano efficacemente con gli elementi
longheniani di elaborazione secentesca, quali le specchiature marmoree, i
festoni, il rigoglio delle statue. Originale anche il finestrone centrale
posto al centro del secondo ordine, riferibile anch’esso ad un tema
palladiano (villa Poiana). La facciata
della chiesa dialoga con efficacia,anche in forza della comune paternità, con
la fronte della vicina Scuola Grande di San Teodoro, contribuendo a dilatare
l’altrimenti angusto campo di San Salvador Al portale si
accede per un’alta gradinata, sotto cui si stende l’antica cripta. |
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Interno: Per la vastità
delle proporzioni, per la severa unità di linea e di concezione, per la solida
eleganza costruttiva, l’interno si presenta come il più ragguardevole esempio
architettonico veneziano della maturità Rinascimentale, che prelude allo
stile classico. La pianta, a tre navate con triplice crociera e cupole
centrali, rinvia al grande modello di San Marco, soprattutto per quanto
concerne il sistema dell’asse principale della croce e la disposizione delle
cupole maggiori e minori, secondo uno schema incrociato (o a quinconce). Il cubo è la
forma che impronta di sé l’insieme e le singole parti della macchina, mentre
le cupole emisferiche ripropongono in termini moderni gli effetti spaziali e
luminosi degli organismi bizantini. Il doppio
ordine contribuisce al senso di elegante verticalità che s’impone all’osservatore
mentre il sistema delle cupolette minori e delle profonde arcate laterali fa
intendere l’articolazione dell’insieme. La sua
complessità è ribadita dalla scelta accurata fatta da Tullio Lombardo dei due
ordini (corinzio e ionico) nei pilastri che cadenzano il ritmo oltre che nell’insolita
adozione dell’attico sopra l’ordine maggiore. Anche la
funzione del disegno della pavimentazione, realizzato in marmi policromi su
tessitura geometrica, ripropone e proietta a terra i rapporti proporzionali
dell’edificio. Per
ovviare alla scarsissima luminosità interna, dovuta alla notevole altezza
delle case e delle fabbriche del monastero che appoggiandosi direttamente sui
fianchi resero impossibile l’apertura di finestre adeguate, i frati si
rivolsero a Vincenzo Scamozzi il quale, tra il 1569 e il 1574, realizzò le lanterne
sopra alla copertura di ciascuna cupola. Con ciò egli modificò l’aspetto
esterno dell’edificio, che perse le usuali (per Venezia) coperture con cupole
emisferiche e cipolla. La
parete sinistra della chiesa è dominata, nella sua parte mediana, dalla
grande macchina che riunisce in una
struttura unitaria l’organo, la cantoria e il portale laterale della chiesa,
che immette nella Marzaria San Salvador. Un lavoro elegante e di accurata composizione, eseguito
dal Sansovino nel 1530 , pochi mesi dopo che il grande architetto era giunto
a Venezia. Più tardi, Sansovino ritornerà a san Salvador per progettare l’elegantissima
cornice marmorea per la pala dell’ Annunciazione
del Signore (lato
destro, terzo altare). Pur nella
sua semplicità, l’elegantissima opera si presenta in doppia struttura: la
struttura esterna, con colonne scalante d’ordine ionico (adatte al genere
femminile di Maria Annunciata) e la cornice interna, in marmo, modellata come
un fregio continuo, in una corona di foglie d’alloro. |
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Il
campanile Il campanile, i
cui lavori di costruzione iniziarono nel 1206, in seguito però per l’azione
di qualche evento atmosferico o per la vetustà della struttura, non venne
completato e rimase a lungo mozzo. Fu restaurato
o, forse più semplicemente portato a termine, nel corso del 1895, con l’aggiunta
di sedici metri in altezza e la semplice cella campanaria in stile romanico. |
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Il
monastero Assieme alla
ricostruzione della chiesa operata nei primi decenni del XVI secolo, anche il
convento conosceva una riforma radicale: demolitivi vecchi stabili, si
provvide nel corso di quasi tutto il 1500 alla realizzazione di due moderni chiostri
di differente dimensione, così come del vasto e fastoso corpo del refettorio. Recenti
restauri hanno altresì evidenziato la qualità dell’apparato decorativo
dispiegato nell’insieme e nelle singole parti della grande struttura: spicca
proprio il monumentale portale di accesso al refettorio nella cui ricchezza d’ornato
si volle vedere l’intervento di Michele Sanmicheli, così come gli stucchi e
gli affreschi sulla volta della sala, attribuiti a Fermo Ghisoni. Caduta la
Repubblica nel 1797, i successivi provvedimenti napoleonici contro gli ordini
religiosi videro l’abolizione la congregazione dei canonici, incamerati i
loro beni nel demanio, trasformato il monastero in caserma. Oggi è proprietà
della Telecom che lo ha trasformato in un centro direzionale. |
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Le
botteghe e le case In occasione
della completa rifabbrica della chiesa, non meno attenzione venne impiegata
nella rifabbrica e razionalizzazione delle case e delle botteghe adiacenti
sia al fianco della chiesa, sia lungo Marzaria San Salvador, che lungo il lato esterno del chiostro più piccolo, su calle del Lovo. Non deve
stupire tale preoccupazione per questa parte squisitamente funzionale e
commerciale dell’immobile: le rendite garantite dagli esercizi commerciali
erano rilevanti nell’equilibrio economico della comunità dei canonici. |
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