proprietà
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Un edificio trecentesco, appartenuto alla
famiglia Morosini, pervenne successivamente agli Zane, che lo
ristrutturarono radicalmente, e da questi passò ai Venier che, nel 1784, lo
vendettero alla famiglia Collalto.
Da circa un secolo è sede di un
Istituto scolastico, intitolato a Livio Sanudo, grande geografo del
Cinquecento.
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descrizione
architettonica
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Nel
1628 la ricca famiglia degli Zane ereditò il cospicuo patrimonio di un Ramo della
famiglia Giustinian, tra cui anche
il teatro di San Moisè, che fu amministrato per circa un secolo dai nuovi
proprietari e vide in scena spettacoli di grande importanza storica, come
la prima rappresentazione dell'Arianna
di Monteverdi nel 1639. Disponendo di
larghissimi mezzi finanziari, nel 1665, il capofamiglia, Domenico Zane, decise
una radicale ristrutturazione di Ca’ Zane, il cui impianto risaliva al XIV secolo.
Il
progetto venne affidato all’architetto Baldassarre Longhena, che al tempo aveva
lo studio in una delle molte caxe
di proprietà degli Zane, in Contrada San Severo, per la quale egli non
pagava affitto essendo proto (ossia capomastro) alle
dipendenze della famiglia.
Il grande
architetto non vide però il completamento dei lavori poiché morì nel 1680;
essi vennero proseguiti negli interni e nella facciata posteriore che
prospetta sul cortile, affidati dal nipote Marin Zane, erede di Domenico,
ad Antonio Gaspari e conclusi poi da Domenico Rossi.
La facciata principale che prospetta
sul rio de Sant’Agostin ma prosegue
anche poco oltre il canton
(angolo) con il rio de San Giacomo, fu realizzata
nel 1672 da Baldassarre Longhena. Essa richiama in tutta evidenza (sebbene
in tono minore) quelle di Ca’ Rezzonico e di Ca’ Pesaro, anche se più forte
si coglie l’analogia del linguaggio architettonico con quest’ultima. In
particolare il rivestimento a bugnato del pianterreno e le due grandi porte
d’acqua, separate a Ca’ Pesaro da una nicchia e qui a Ca’ Zane da una finestra, del tutto uguale
alle due per lato che in maniera distanziata scandiscono il ritmo del pé pian (piano terra).
Lo stesso ritmo costruttivo imposta il
primo e il secondo soler (piano).
Al primo nella pentafora viene ricava la trifora centrale con il semplice
artificio del maggior aggetto del pergolo (balcone), mentre al secondo
lo stacco dei pergoli di ciascuna
finestra garantisce l’uniformità del disegno accentuata dall’assenza delle
lesene con capitello ionico presenti invece al primo soler. Conferisce forza e senso di solidità a tutta la
struttura l’andamento orizzontale, evidenziato dalle cornici marcapiano e dalla
sporgenza del cornicione superiore; il tutto è reso aggraziato dalle
differenti teste (di turchi, di negroidi, di lanzechinecchi) scolpite in
ogni chiave di volta, opera probabilmente di Francesco Cavrioli.
All’equilibrio esteriore non
corrisponde l’interno di Ca’ Zane, caratterizzata
da una pianta asimmetrica, che mostra sulla destra una stretta stanza
illuminata da una sola finestra ed un portego stretto verso la
facciata, soluzione costruttiva che può essere probabilmente spiegata dall’avvenuta
integrazione di edifici preesistenti.
Secondo la moda ed il gusto del tempo,
al termine del vasto giardino, oggi scomparso, venne in seguito realizzato il
Casin, per ospitare le raccolte d’arte,
la biblioteca, le rappresentazioni musicali e le feste.
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note
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La
famiglia degli Zane, una fra le più antiche di Venezia,
apparteneva al gruppo delle “casate vecie”, cioè le ventiquattro famiglie
che rivendicavano antiche origini tribunizie. Il loro simbolo araldico era
una volpe (“zana” appunto) rampante ed erano talmente ricchi che nel
Cinquecento venne coniato il detto “l’haver
de Ca’ Zane” per indicare un enorme capitale.
Come tutte le grandi famiglie veneziane, anche gli Zane si suddividevano
in diversi Rami, che univano al nome quello della Contrada di residenza: vi
erano gli Zane di Santa Maria Mater Domini, gli Zane di San Paternian, gli
Zane di San Marzillan e, appunto, gli Zane di San Stin, dal nome della vicina
chiesa di Santo Stefano Confessore (detta dal popolo San Stin, demolita nell’800).
In questa chiesa il Ramo aveva la cappella di famiglia, opera dell'
architetto Domenico Rossi.
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