SESTIER DE CANAREGIO

San Giobbe, profeta e martire

CONTRADA

S. GEREMIA

ricorrenza il giorno 10 maggio del calendario liturgico veneziano

Santo titolare della chiesa di:  SANT'AGIOPO

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Penitenti

San Geremia

Giobbe è una figura molto nota nella Bibbia e alla tradizione cristiana, soprattutto quale modello di santità e di pazienza. Egli "visse nel paese di Hus", che viene generalmente identificato con la regione posta tra l'Idumea e l'Arabia settentrionale. Era "l'uomo piú facoltoso di tutti gli Orientali" e possedeva cammelli, buoi, asini e schiavi in grandissimo numero.

Pare che Giobbe non fosse ebreo ma era comunque un uomo "retto, timorato di Dio e alieno dal male". Ebbe sette maschi e tre femmine e nella sua famiglia esercitò funzioni sacerdotali offrendo, ogni sette giorni, sacrifici per ciascuno dei suoi figli. Egli era quindi al colmo della ricchezza e della felicità quando improvvisamente fu colpito da una lunga serie di disgrazie che lo privarono in breve tempo di ogni suo avere e perfino della prole.

Bellissime, pur nella loro lapidaria semplicità, le sue parole di rassegnazione davanti alla perdita delle cose e dei figli: "Iahweh ha dato e Iahweh ha tolto: il nome di Iahweh sia benedetto". Egli viene colpito da una ributtante malattia che lo riduce tutto una piaga, ma non perde la sua flemma, neppure davanti allo scherno e alla derisione della moglie e neppure quando, cacciato di casa, passa i suoi giorni in un letamaio.

E' qui che lo trovano tre amici, i quali, informati della sua disgrazia, sono accorsi a confortarlo; fra i quattro s'instaura un lunghissimo dialogo, nel quale essi discutono del dolore nel mondo, includendo Dio e l'uomo, la giustizia e l'ingiustizia, la felicità e la sventura, il destino e il senso della vita. Ai tre amici: Eliphaz il Themanita, Baldad il Suhita e Saphar il Naamatita si aggiunge poi anche un certo Eliu ed infine Dio medesimo, che si rivela nella gloriosa manifestazione del suo mistero (teofania).

Nella discussione prende per primo la parola Giobbe che, in un monologo drammatico, sfoga tutto il suo dolore maledicendo il giorno della sua nascita e chiedendosi perché mai all'uomo viene data la vita, quando poi è condannato ad essere infelice, ma Giobbe ignora che, in verità, la sua è una prova ostinatamente voluta da Satana e che Dio ha soltanto permessa.

Gli interventi che seguono tengono fede alla teologia tradizionale dell'antico Israele: Dio è buono e giusto; la rivelazione, la ragione e l'esperienza dimostrano che egli, come premia i buoni ricolmandoli di ogni felicità, cosí punisce i cattivi assoggettandoli al dolore e alle calamità della vita. Applicando questo principio, essi fanno intendere a Giobbe, dapprima velatamente ma poi con maggiore asprezza, che alla radice delle sue disgrazie deve esserci necessariamente qualche grave peccato. Non è tuttavia difficile a Giobbe dimostrare, con l'esperienza dei fatti, come spesso l'empio è felice mentre il pio è sventurato ma risultando vane le sue argomentazioni, non gli resta che protestare ripetutamente la sua innocenza, appellandosi al giudizio di Dio. In questo frangente appare il quarto amico, Eliu, che prospetta la tesi secondo cui il dolore, oltre che punire il peccato, può servire anche a prevenirlo o a purificare l'uomo che se ne è reso colpevole.

Finalmente, dall'alto di una nube, è Dio stesso che fa sentire la sua parola ammonitrice ed a Giobbe non resta che umiliarsi davanti all'infinita e imperscrutabile sapienza di Lui, gettandosi "sulla polvere e sulla cenere". Infine proclamato innocente, egli viene restituito alla sua antica felicità nel godimento di beni due volte superiori a quelli che aveva avuto precedentemente. Riebbe i suoi armenti, generò di nuovo sette figli e tre figlie, visse ancora altri centoquarant'anni e "vide i suoi figli e i figli dei suoi figli fino alla quarta generazione e morí vecchio e pieno di giorni".

Nonostante il contenuto del libro biblico, la tradizione cristiana preferí sempre restare fedele alla figura di Giobbe quale modello di santità, spesso accostandolo al Cristo sofferente. In genere egli è chiamato "profeta" e da qualcuno anche "martire" per le sue molte sofferenze. Il suo esempio di straordinaria pazienza fu proposto all'imitazione dei fedeli già da San Clemente Romano e poi da San Cipriano da Tertulliano e da tanti altri, sia in Oriente che in Occidente.

Nella liturgia latina è ricordato nel breve elogio del Martirologio Romano il 10 maggio, le liturgie orientali invece hanno anche un Ufficio in suo onore, e precisamente il 27 aprile in Abissinia, il 6 maggio nelle Chiese greca e melchita, il 22 maggio a Gerusalemme e il 29 agosto nella Chiesa copta.

In generale però il culto dei Santi vetero-testamentari, così fortemente radicato nella Chiesa Orientale non fu mai popolare in Occidente, esso infatti non nasce quasi mai da un moto devozionale del popolo ma è di origine intellettuale e colta. In questo contesto, la dedicazione di chiese veneziane ai Santi: Mosé, Samuele, Geremia e Zaccaria ha un'origine molto complessa, dovuta soprattutto agli stretti rapporti che la città intrattenne per lungo tempo con Bisanzio.

L’unica eccezione è rappresentata da Giobbe, considerato il rappresentante del povero e del diseredato, immagine storica del Cristo sofferente, tanto che la dedicazione della chiesa a Venezia, nata in un contesto popolare, appartenne in origine all'ospedale per i poveri, da questi passerà al piccolo oratorio annesso e, in seguito, alla chiesa.

San Giobbe
L'iconografia ufficiale ritrae il Santo completamente spoglio mentre seduto a terra invoca la misericordia di Dio.

 

San Giobbe
L'etimologia del nome Giobbe deriva dall'ebraico: "perseguitato" e "sopporta le avversità".

Patrono della musica.