SESTIER DE CANAREGIO |
ciexa de Sant'Agiopo |
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CONTRADA S. GEREMIA |
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Cenni storici: realizzata, assieme all'attiguo convento, ad opera dell'Ordine Francescano nella seconda metà del XV secolo (la chiesa fu consacrata nel 1493), le forme gotiche della costruzione francescana sono ancora riconoscibili nelle proporzioni del corpo centrale, in origine più basso di quello attuale, e nelle finestre ogivali rimaste dal lato del chiostro. Sulla sinistra della chiesa si estendeva
il cimitero che accoglieva, probabilmente fin dal 1434 sia i frati che i
poveri. L'ospeal de San Jobe compariva sull’angolo a meridione, fra il campanile e la sponda del rio. Verso il ponte dei tre archi, l'edificio della schola de devozion de la Pietà occupava l'angolo settentrionale del cimitero, ricordandovi la deposizione del Cristo. I lavori, iniziati poco dopo il 1450 da A. Gambello in forme gotiche, continuarono dopo il 1471 ad opera di P. Lombardo e T. Lombardo i quali, rispettando lo schema strutturale preesistente, ultimarono l'edificio in stile rinascimentale, che ne divenne una delle primissime affermazioni in Venezia. Alle ingenti spese di costruzione contribuì con grande passione il nobilomo Cristoforo Moro, futuro Dose, il quale nel corso del 1443 aveva anche soggiornato nell'attiguo ospeal (fondato nel 1378 dal nobilomo Zuane Contarini). Nel 1451 l’influente Moro ottiene che l'altar maggiore cambi dedicazione e sia intitolato a San Bernardino da Siena, dichiarato ufficialmente Santo l'anno precedente e suo intimo amico. Il nobilomo continuerà con costanza e fede a finanziare largamente i lavori e tre mesi prima di morire, divenuto Dose (1462-1471) lascerà in testamento la somma di 10.000 ducati affinché la chiesa venisse completata. Al Moro è legata anche la realizzazione dell'ospissio Moro, in un blocco di casette poco distanti dalla chiesa, oggi scomparse. Nel corso di un restauro reso necessario dalla vetustà dell’edificio, nel 1693 padre Francesco dalla Giudecca "fece fabricar di novo a fundamentis le sette cappelle". In età napoleonica la chiesa fu chiusa al
culto e parzialmente spogliata della sua ricca decorazione pittorica, in
particolare le pale di G. Bellini, V. Carpaccio, M. Basaiti che lasciarono la chiesa nel 1815,
per essere fortunatamente depositate presso le Gallerie
dell'Accademia dove ancora oggi è possibile ammirarle. Riaperta al culto, la chiesa è oggi parrocchiale. |
Opere d'arte: navata: il soffitto a crociera ha sostituito il precedente, originario, a capriate lignee. lato destro, primo altare: altare Foscari Realizzato nel 1510, dalla nobile famiglia Foscari, i cui stemmi sono visibili alla base delle colonne. all'altare: pala con San Pietro d'Alcantara con i Santi Bonaventura, Francesco Solano, Rosa da Viterbo, Margherita da Cortona e Chiara (1750 circa) di A. Zucchi, un tempo nella cappella Cendon. In origine stava la pala Agonia di Gesù nell'orto dei Getsemani (1510), di M. Basaiti. La quale opera potrebbe essere stata commissionata dal Dose Francesco Foscari. lato destro, secondo altare: altare di San Giobbe Realizzato nel 1480, le sue eccezionali dimensioni, che ripropongono in un certo senso uno spazio architettonico simile all'arco trionfale d'ingresso al presbiterio, sottolinea il ruolo di particolare importanza volutamente assegnatogli, dopo che il culto del più antico titolare della chiesa era stato qui trasferito dall'altar maggiore, dedicato a San Bernardino. all'altare: dipinto Teofania di Giobbe (1822) di L. Querena, realizzato appositamente per sostituire la pala Madonna in trono col Bambino e i santi Francesco, Giovanni Battista, Giobbe, Domenico, Sebastiano, Ludovico da Tolosa e angeli musicanti (1478), di G. Bellini. Si suppone che essa sia stata commissionata dalla schola de devozion de San Giobe e forse lo stemma col cavallo rampante, ancora oggi non identificato e posto alla base dei pilastri, appartiene a qualche potente membro della confraternita che promosse l'iniziativa. lato destro, terzo altare: altare Sanudo Realizzato nel 1510, dalla nobile famiglia Sanudo e dedicato alla Purificazione della Vergine. all'altare: dipinto Vergine col Bambino in gloria e i santi Francesco, Chiara, Pietro, Andrea e Giacomo (1543 circa) di B. de' Pitati (con collaborazione di J. Pisbolica), proveniente dalla cappella mocenigo nella soppressa chiesa di Santa Maria Mazor, sostituì la pala Presentazione di Gesù al tempio (1510), di V. Carpaccio. L'opera potrebbe essere stata commissionata da Piero di Matteo Sanudo, uno degli esecutori testamentari del Dose Cristoforo Moro, che nel 1509 legò un importante lascito alla chiesa. lato destro, monumento: monumento funebre a Renato Voyer Palmy d'Argenson, ambasciatore di Re Sole a Venezia (morto nel 1651), di C. Perrault. In luogo di questa "macchina barocca" stava un tempo il trittico Annunciazione tra i Santi Antonio e Michele Arcangelo (1447), di A. Vivarini, oggi in sagrestia nella cappellina Da Mula. lato destro, quarto altare: Altare della schola picola de Sant'Andrea del tragheto de Marghera e Mestre, che il sodalizio chiese ed ottenne di poter spostare e riedificare nel 1585. all'altare: pala con Santi Andrea, Pietro e Nicola di Bari (1565 circa) di P. Bordon. Terminata la ricostruzione dell'altare, la cornice si rivelò di dimensioni maggiori del dipinto, che perciò venne integrato con l'inserimento del Padre Eterno (fine del XVI secolo). lato destro, porta cappella Contarini: sopra la porta vi è collocato il monumento funebre a Paolo e, Agostino, Procuratori de San Marco e Ermolao Nani (post 1641), che nel testamento del 1636 Zorzi Nani raccomanda ai figli di far erigere in memoria degli avi, realizzato su disegno di M. dall'Aquila.
cappella Contarini questa cappella dovrebbe essere in realtà il primo nucleo della chiesa di Sant'Agiopo, fatta erigere dal nobilomo e filantropo Zuane Contarini (fondatore dell'omonimo, attiguo ospeal) e salvata dalla devota ostinazione della figlia Lucia quando, volendo ampliare la chiesa se ne era disposta la demolizione. L'ambiente conserva intatto il primitivo aspetto gotico; i monogrammi di San Bernardino sulle chiavi di volta dovettero essere aggiunti più tardi, quando per volontà di Cristoforo Moro, gli venne dedicata la chiesa. all'altare: pala Natività (1540), opera di G. Savoldo. Sulla porta che conduce alla sagrestia, la tomba per il Cardinale Marco Antonio Da Mula (morto a Roma nel 1570), in stucco con dorature, è della bottega di A. Vittoria. cappellina a destra del presbiterio: cappella Corner eretta in onore della Vergine, a spese del nobilomo Piero Corner nel 1586, come si legge nell'iscrizione. Gli stemmi della famiglia Corner si trovano alla base delle colonne dell'altare. all'altare: dipinto San Giuseppe, scuola del Piazzetta, attribuito allo scolaro A. Marinetti. presbiterio: la parte scultorea del presbiterio venne integralmente assegnata a P. Lombardo. arco trionfale: impostato su pilastri a candelabre, che reggono, poste sopra un disco analogo a quello che sorregge i santi sul portale d'ingresso, la rappresentazione dell'Annunciazione con l'Arcangelo Gabriele e Maria. Su ambedue i lati dell'arco trionfale (sopra l'angelo e sopra Maria) lo stemma del Dose Cristoforo Moro. Lungo il sottarco, la serie dei profeti dell'Antico Testamento si dirige verso il culmine, dove si trova l'Agnello, rivolto verso l'altar maggiore. sulla chiave di volta: uno splendido putto sorregge sulla sinistra un pomo e domina la navata. la cupola: inseriti nei pennacchi, quattro Putti sorreggono i tondi con gli Evangelisti (1475); otto finestre ne circondano la base; al vertice: immagine divina del Padre. sulla parete a destra: Ritratto del Dose Cristoforo Moro (copia del XVI secolo) da un originale di G. Bellini. a terra: lastra tombale del Dose Cristoforo Moro e della moglie Cristina Sanudo. (1470), bottega di P. Lombardo. altar maggiore: alzata lignea in legno dorato del 1615 (fine XVI secolo) Arte veneta. coro dei frati: organo settecentesco a una tastiera, in origine sopra la parete d'ingresso nella cantoria e qui trasportato nel 1953. Il coro, ligneo, è del 1590. cappellina a sinistra del presbiterio: cappella Marin La costruzione fu ordinata dal nobilomo Francesco Marin e il figlio Cristoforo ne eseguì la volontà nel 1502, anno della morte del padre. all'altare: San Francesco, statua mutila, forse frammento di un complesso più vasto, della bottega di L. Bregno. lato sinistro, quinta cappella: cappella Testa Conserva la tomba di Bernardino Testa, mercante novarese morto nel 1548, il quale stabilì nel testamento di "esser sepolto nella chiesa di San Job dove se vita sarà penso cum l'aiuto de Dio far far una cappella cum una archa". In effetti gli stemmi della famiglia Testa, una testa di leone bilinguata, sono scolpiti sul prospetto esterno della cappella. Venne in seguito intitolata a San Diego, quando nel 1610 vi fu istituita la schola de devozion de San Diego. all'altare: dipinto sopra una lastra di rame, San Diego in preghiera dinanzi alla Vergine col Cristo morto, tra i santi Francesco e Antonio (fine XVI secolo) scuola del Veronese. lato sinistro, quarta cappella: cappella Foscari Dedicata a Sant'Antonio e così chiamata perchè lo stemma della nobile famiglia è posto sull'arco di ingresso. Di essa si ignorano le vicende costruttive. all'altare: la statua di Sant'Antonio è circondata dal dipinto Madonna col Bambino in gloria, San Giovanni da Capistrano e San Francesco Solano che battezza i negri d'America (1696), di M. Balestra. lato sinistro, terza cappella: cappella Cendon Eretta a spese della famiglia Cendon, originaria di Chioggia, i cui stemmi compaiono negli angoli dell'arco esterno. all'altare: dipinto La Vergine al sepolcro di Cristo (1870 circa), di C. Zatti. alla parete destra: quattordici stazioni della Via Crucis (1750) di A. Zucchi. all'entrata, sulla sinistra: lapide sepolcrale del giovinetto Girolamo Gallarate, 1512 (XVI secolo) di Anonimo veneto. lato sinistro, seconda cappella: cappella Martini Il mercante Giovanni di Pietro Martini, veneziano e membro di questa famiglia di mercanti di seta originari di Lucca, e la sua sposa fiorentina Cornelia, vollero ricreare in questa chiesa un frammento di Firenze, spingendosi fino al punto di importare a Venezia il materiale per la realizzazione della volta della cappella. volta: in terracotta invetriata, entro cornici di frutta sono incastonati i medaglioni in terracotta bianca e oro su fondo azzurro con, Padre Eterno e i quattro Evangelisti (1475 circa), ad imitazione ed unico esempio a Venezia dell'arte di L. Della Robbia. all'altare: pala marmorea San Giovanni Battista tra i Santi Francesco e Antonio (1475 circa) bottega di A. Rossellino. La presenza del Battista si spiega con il nome del committente. lato sinistro, prima cappella: cappella di San Luca o Grimani Non è nota la storia della sua costruzione; probabilmente nel 1493, anno in cui venne consacrata la chiesa, ancora non esisteva. Ciò si deduce dal fatto che Marin Sanudo definiva la cappella Martini la "prima a San Giobbe". Entro il 1539 doveva però essere già eretta, poichè in quella data il Procurator de San Marco Piero Grimani ne garantiva il giuspatronato. In quell'atto, come nel testamento, egli la chiama con il nome dell'Evangelista: "vogio che sia fata l'archa a San Job nella nostra cappella de San Luca". all'altare: pala in marmo bianco, San Luca tra due angeli (inizi del XVI secolo), bottega di A. e T. Lombardo. La figurina di San Pietro fu aggiunta più tardi, alla morte del Grimani (1553) in onore del Santo omonimo. in sagrestia: questo ambiente ha conservato intatti i suoi arredi: gli armadi lignei seicenteschi e il raro soffitto con cassettoni dipinti "a grottesca", in ognuno dei quali è raffigurato un profeta o un santo. sul pannello centrale: non dipinto Stimmate di San Francesco (fine XVI secolo) di Anonimo Veneto. sulla parete d'ingresso: Sposalizio di Santa Caterina (circa 1504), di A. Previtali.
cappellina Da Mula chiusa da un cancello in ferro battuto. all'altare: trittico Annunciazione tra i Santi Antonio e Michele Arcangelo (1447) di A. Vivarini, qui trasferito dalla navata destra quando fu costruito il monumento funebre a Renato Voyer Palmy d'Argenson, ambasciatore di Re Sole a Venezia. al di sotto: urna lignea che conteneva il corpo ritenuto dell'evangelista Luca, ma in realtà del beato Luca, monaco orientale, spoglie restituite nel 1986 a una delegazione della chiesa Greco Ortodossa. a destra: sportello della teca dell'olio santo, una tavoletta con Cristo morto. a sinistra: dono del Dose Cristoforo Moro, San Bernardino, testa in terracotta, che fino al 1609 si trovava collocata sull'altar maggiore. |
Facciata e portale: la semplice facciata, con le ampie finestre rettangolari aperte successivamente è tripartita da lesene; un tempo, al posto del timpano attuale, essa era conclusa da un coronamento curvilineo trilobato, simile a quelli delle chiese di San Zuane in bragora, Sant'Aponal e la Carità. Con i fondi pervenuti dal testamento del Dose Cristoforo Moro, i commissari incaricano P. Lombardo alla costruzione del portale, in pietra bianca, realizzato alla fine del XV secolo, che donerà alla città (assieme al presbiterio) il primo esempio di arte rinascimentale applicata entro uno spazio sacro. Gli stipiti sono caratterizzati dallo spinoso cespo di base che si trasforma in fiori e frutti dei quali si cibano uccellini ed altri animali simbolici. Sopra l'architrave, elegantemente rifinita con motivi floreali, il particolare iconografico della lunetta che riporta un globo solare mentre emana raggi che divengono frecce, immagine biblica del contagio della peste. Nella lunetta i raggi pestilenziali, punizione divina per il peccato, non raggiungono il paesaggio sulla destra, tutelato da San Giobbe, nè le abitazioni sulla sinistra, difese da San Francesco. Sull'arco stanno i tre santi francescani: al vertice, testimonianza della committenza dogale, la statua di San Bernardino da Siena con il saio francescano e i piedi scalzi dell'Ordine dei francescani osservanti. Sostiene la tavoletta (l'aquila solare) con il monogramma IHS (Iesus Hominum Salvator) che irradia un cerchio di raggi e fiamme, sole incandescente dell'amore divino. A sinistra San Lodovico vescovo, noto a Venezia come Sant'Alvise, il quale indossa sopra il saio francescano le insegne episcopali. A destra il predicante e teologo Sant'Antonio da Padova, santo popolare, costantemente invocato nelle necessità quotidiane. Si vince la peste ed il peccato realizzando in sè stessi l'immagine del Redentore: dominati da San Bernardino, i santi francescani riflettono sulla proposta fatta da Giobbe e Francesco. |
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Interno: le semplici forme originarie della chiesa francescana sono testimoniate dalla navata, oggi con soffitto a crociera ma in origine a capriate lignee lasciate a vista, austerità da mettere in relazione con la spinta riformatrice della Chiesa veneziana nei primi decenni del '400. E' immediata la percezione di asimmetria dell'ambiente, in cui alla parete sinistra, articolata in cappelle, corrisponde una parete destra uniforme e sulla quale in effetti non si potè costruire alcunché perchè appoggiata all'ala del convento. L'interno, di forte impronta toscana, non segue la tradizione delle chiese veneziane (ancora oggi testimoniata ai Frari) di interrompere la navata con il setto marmoreo che ospita il coro. In questa chiesa infatti il luogo riservato alla preghiera monastica viene posto dietro il presbiterio, una scelta innovatrice che influenzerà decisamente le chiese monastiche realizzate successivamente a questa. Contribuisce a conferire unità allo spazio interno, altrimenti irregolare, una serie di elementi: il profondo presbiterio, l'arco trionfale e la cupola, elementi collegati da cornici dallo squisito rilievo, che corrono lungo tutta la navata e persino all'interno di alcune cappelle. Sulla destra, la mancanza delle rispettive pale collocate in origine sui primi tre altari rinascimentali (i capolavori di G. Bellini, V. Carpaccio, M. Basaiti, oggi conservati presso le Gallerie dell'Accademia), impediscono di percepire quanto efficacemente quelle creazioni pittoriche contribuissero, con la creazione di uno spazio illusorio tridimensionale, a compensare la reale profondità della parte opposta. A sinistra si aprono, praticamente intatte, le cappelle originarie. Su tutte s'impone certamente la cappella MARTINI, per l'unicità del soffitto e per il suo aspetto dal gusto fortemente toscano. Al termine della navata, l'ampia apertura dell'arco trionfale, con il putto che posto sulla chiave di volta domina la navata sorreggendo sulla sinistra un pomo, il frutto dell'albero della colpa ma anche simbolo dell'intenso amore divino. Unito all'Annunciazione, posta ai lati e raffigurata dalle statue dell'Arcangelo Gabriele e di Maria, ricorda la data fondamentale del 25 marzo, che però rappresenta anche la data della fondazione di Venezia, il 25 marzo 421, avvenuta in quella che è ritenuta la chiesa più antica della città: San Giacomo de Rialto. L'arco trionfale rivela immediatamente le proporzioni del presbiterio: la pianta è perfettamente quadrata e viene elevata dai pilastri angolari alle dimensioni di un cubo perfetto, che a sua volta sorregge la cupola, simbolo della volta celeste. Sui pennacchi che la sorreggono, stanno i quattro medaglioni degli Evangelisti, quindi le otto finestre che ne circondano la base, in diretto riferimento alla cupola della Genesi in San Marco: ai sette giorni della creazione, dei quali fa parte il mondo attuale, succederà l'ottavo che non avrà mai fine. Al culmine la patera con il Padre Eterno. La cupola di Sant'Agiopo proietta verso il compimento dell'ottavo giorno il riferimento alle cupole di San Marco. Si proclama così il destino provvidenziale di una città considerata fin dalla sua nascita pienamente inserita nel percorso della salvezza. Questo il motivo per cui viene ripetuto su ambedue i lati dell'arco trionfale (sopra l'angelo e sopra Maria) lo stemma del Dose Moro. Davanti all'altar maggiore, eretto alla gloria di San Bernardino da Siena, il Dose Cristoforo Moro volle essere sepolto a piedi scalzi e nell'abito francescano. L'armonia delle nuove forme rinascimentali è già tutta nella sobrietà della lastra tombale, nelle eleganti volute che scorrono lungo i margini a unire gli stemmi dogali ripetuti negli angoli. |
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Campanile: (campaniel) le forme gotiche dell'antica chiesa
francescana sono ancora riconoscibili nel campanile, terminato nel 1464. Una sottile linea bianca in
pietra d'Istria divide i piani scanditi dalle lesene, si incurva nelle bifore
della cella campanaria, sottolinea con un tratteggio gli archetti pensili del
coronamento. Il limite nell'uso del marmo e la preferenza per il materiale povero e prodotto a stampo, sono una precisa scelta imposta dalla sobrietà francescana. |
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Monastero: lo scorrere degli edifici in fondamenta de canaregio raccordandosi alle nuove costruzioni sorte nel tempo in campo S. Agiopo, paiono interrompersi con la facciata della chiesa e lo spazio libero alla sua destra. Invece un grande convento francescano del '400, che si sviluppava intorno a due chiostri, formava un complesso unitario alla sua destra e avanzava a chiudere, lungo la linea in pietra bianca che ancora segna sul pavimento l’originaria estensione, il piccolo sagrato. Dopo le demolizioni ottocentesche, che videro la quasi completa distruzione dei due chiostri, sopravvisse la sola serie di archi sullo sfondo e la bella vera da pozzo, che ancora oggi occupa il centro dell'antico cortile. In seguito, sull'area del secondo
chiostro sorse dapprima un pretenzioso giardino
botanico, (uno dei primi realizzati in Europa), che in seguito venne
abbandonato finché tutta l’area non divenne proprietà dell'ENEL che la
destinò alle attività del CRAL. Ai nostri giorni (2009), tutto giace in penoso abbandono. |