La chiesa Sul lato
nord-orientale della crosera
(incrocio) fra il rio de Santa Giustina,
il rio de San Zuane Lateran, il rio de Sant’Antonin ed il rio de San Francesco de la vigna, si apre campo Santa Giustina con le superstiti strutture del complesso
religioso un tempo intitolato alla Santa Martire. Secondo il consueto schema
urbanistico, anche qui il fianco della chiesa (il destro) si dispone
direttamente sul campo
formandone così la quinta più qualificata. Sebbene in
assenza di alcuna documentazione storica, non di meno la tradizione vuole che
questa sia una delle chiese più antiche di Venezia, la cui fondazione
risalirebbe tra il IX e il X secolo ad opera di San Magno, vescovo
di Oderzo, dopo una miracolosa apparizione della Santa. E’ il periodo storico
in cui è provato l’avvio del primo sviluppo edilizio della città, quale
conseguenza dell’insediamento del Governo del giovane ducato nelle isole di
Rivoalto. Attualmente,
i documenti a noi pervenuti che fanno riferimento alla chiesa risalgono ai
primi anni del XII secolo e
precisamente al 1106. Ciò permette
di ritenere che la notizia della sua consacrazione avvenuta nel 1207 ad opera di Ugolino, vescovo di
Ostia (poi papa Gregorio IX), si debba riferire certamente non più
all’edificio originario ma ad uno successivo, nel frattempo ricostruito. Resta il
fatto che l’unica immagine antica della fabbrica si ricava dalla pianta del
1500 del de’ Barbari, in cui è chiaramente raffigurata una costruzione gotica
ad una sola navata. Mentre la facciata rimane completamente in ombra, il
fianco destro è perfettamente leggibile, scandito da lesene collegate dalla
serie degli archetti ciechi e aperto da lunghi finestroni ogivali, con la presenza
di un portale laterale con lunetta archiacuta. Orientata verso levante, si
individua agevolmente anche l’abside poligonale, che ripropone gli stessi
motivi architettonici del fianco in fatto di lesene e finestre. Dall’evidenza
degli elementi architettonici, è corretto ritenere che la chiesa avesse già
subìto una terza ricostruzione, probabilmente avvenuta intorno alla prima
metà del XV secolo, e portata a
termine secondo i canoni del gotico maturo. Nuovamente
rovinosa nel 1500, essa venne
ricostruita per la quarta volta grazie alla generosità di sei senatori, e nel
1514 la chiesa venne nuovamente
consacrata da Domenico Zon, vescovo di Chissamo in Candia. In questo caso
però persiste la totale assenza di qualunque termine di confronto, (immagine
o altro), con cui verificare l’effettivo rimaneggiamento, che probabilmente
si dovette limitare a qualche finitura degli altari, motivo per cui sarebbe
giustificabile una consacrazione. Trascorso un
secolo, nella prima metà del ‘600
la badessa Perpetua Pasqualigo fece eseguire a proprie spese ulteriori lavori
di restauro dell’edificio; e saranno gli ultimi. Nel 1797
cadeva la Repubblica, il 25 aprile 1810
Napoleone firmava a Compiègne un nuovo decreto in materia di soppressione dei
monasteri, dopo quello del 1806. A Venezia l’editto causò la chiusura di
altri 15 monasteri maschili e 25 conventi femminili. Nell’elenco erano
comprese questa volta anche le agostiniane di Santa Giustina, che in capo a
due mesi dovettero lasciare liberi chiesa e convento. Successivamente,
venne abbattuto il campanile, mentre invece la chiesa ed il convento furono
soppressi e trasformati in scuola militare. Nel 1844 l’aula della
chiesa venne suddivisa in tre piani ed adibita agli usi scolastici che
tutt’oggi mantiene. Il fianco destro, con la triplice serie delle finestre
corrispondenti alle suddivisioni interne, è stato completamente rimaneggiato
ed ha definitivamente perduto ogni definizione architettonica legata alla
funzione religiosa precedente. |
Opere d’arte all’interno Planimetricamente
la chiesa era formata da una sola ma ampia navata, con due altari lungo ciascun lato e l’altar maggiore
nell’abside. Come era d’uso nelle chiese conventuali femminili, sopra la
porta d’entrata era ricavato il barco
pensile (ossia il coro poggiante sopra colonne) da dove le religiose
partecipavano alle funzioni entrando in chiesa direttamente dal convento. entrando dalla porta
maggiore: sotto
il barco, alle pareti: dipinto Ultima Cena
opera di S. Peranda e Cristo crocefisso
tra i ladroni e San Longino a cavallo, opera di J. Palma il giovane. soffitto
del barco: dipinto Resurrezione di J. Palma il giovane con quattro
chiaroscuri di S. Peranda. controfacciata: ai
lati della porta: dipinti Cristo nell’orto e Cristo flagellato,
opera di M. Vecellio, seguono: dipinto Natività di P. Liberi e pala San Magno vescovo
di Eraclea con i santi Sebastiano e Rocco, opera di G. Contarini, sopra
la porta: dipinto Santa Giustina, San Giovanni e San Giuseppe,
opera di P. Vecchia, al
di sopra: dipinto Santa Giustina in prigione visitata da un
angelo, di F. Zanimberti. organo: le portelle raffigurano San Pietro e San Paolo, opera di S. Peranda (fu venduto nel 1810 ad una
parrocchiale). altare laterale della
Madonna: all’altare: pala La Santa casa di Loreto trasportata dagli angeli
opera di A. Aliense, sopra
la cornice: Battesimo di Santa Giustina,
opera del Padovanino, sotto: Natività di P. Mera detto il Fiammingo,
segue: Annunciazione
di S. Peranda. altare laterale: altare Dolce altare: ricchissimo di marmi porfidi e serpetini, realizzato
dalla nobile famiglia di Ca’ Dolce. Qui si trovavano le due statue prima che
con il rifacimento seicentesco venissero spostate negli intercolumni
dell’altar maggiore. altare laterale: all’altare:
stava esposto un simulacro, rozzamente
scolpito nel marmo, trasportato da Candia dove era un tempo venerato come
miracoloso e che si diceva fosse quello della Vergine. cappella maggiore: alle
pareti: Cattura di Cristo nell’orto,
opera di F. Ruschi, e Andata al
Calvario di M. Ponzone. all’altare: pala Martirio di Santa Giustina opera di J. Palma il giovane (fu dato in deposito nel 1839 alla parrocchiale di
Agordo), statua in marmo Cristo,
opera di T. Lombardo. agli
intercolumni: due statue di marmo, opere di A. Lombardo e di P. Milanese. tabernacolo: realizzato intorno al 1660, si sviluppava fastosamente su
due ordini di colonne corinzie, tutto decorato con marmi finissimi, aveva
vasi e balaustre di bronzo dorato
(fu spostato nel 1811 nella chiesa di Sant’Aponal,
dove ancora si trova). battistero: qui si trovava esposta alla venerazione la pietra sulla
quale la tradizione vuole che Santa Giustina abbia pregato inginocchiata
prima del martirio. alle pareti: secondo l’usanza di molte chiese veneziane, i quadri che
non decoravano gli altari erano esposti alle pareti, appesi sopra e sotto i
cornicioni vi erano i dipinti di: Gesù crocefisso e le Marie, e Visitazione
di A. Aliense; Doge genuflesso
innanzi a Santa Giustina (rendeva grazie per la vittoria di
Lepanto) di P. Vecchia; dipinto San Magno fa
costruire la chiesa di Santa Giustina, opera del Varotari;; dipinto Cattura di Santa
Giustina, opera del Padovanino;
dipinto Santa
Brigida con un Pontefice e altri Santi, di B. d’Anna; Fra le molte
reliquie si conservava il corpo di San Placido martire, nonché la
figura della B. V. Maria detta di Spagna. |
Il Convento Il convento, dalla fronte assai modesta,
formava l’angolo con la facciata della chiesa e prospettando direttamente sul
rio de Santa Giustina chiudeva il breve
tratto di fondamenta che arrivava ai piedi del ponte che ancora oggi mette in
comunicazione con la barbaria de le
tole.
Costruito su una fascia di terreno
rettangolare donato ai canonici regolari della chiesa di San Salvador dal nobilomo Lorenzo Dolfin, la struttura del monastero si sviluppava
a ridosso del fianco sinistro della chiesa in una serie di edifici articolati
intorno a cortili interni ed ad un ampio chiostro porticato. Un’alta mura
rinserrava poi l’area adibita ad orti che dal convento arrivava fino alla
laguna. Con decreto
del papa Nicolò V, nel 1448 le
monache agostiniane, provenienti dal monastero di Santa Maria degli Angeli,
nell’isola di Murano, subentravano ai canonici regolari, prendendo però
possesso del convento solo nel 1453. Essendo la chiesa parrocchiale, alle
monache spettò la nominavano del piovan
(parroco). E’ ritenuto
probabile che anche il monastero sia stato sottoposto ad ulteriore
ampliamento nel 1514, in
particolare il chiostro, negli anni in cui si edificava la nuova chiesa. Agli inizi
del ‘600 a spese della badessa
Perpetua Pasqualigo furono eseguiti ulteriori lavori di restauro e
ricostruzione del monastero. Nel 1810 il convento venne soppresso e successivamente completamente demolito, tranne una piccolissima porzione rimasta a ridosso della chiesa. La distruzione del complesso portò inoltre all’apertura dell’attuale fondamenta Santa Giustina, che raggiunge un edificio scolastico ed un nucleo abitativo di recente costruzione, entrambi realizzati cancellando l’orto delle monache. Per un breve tratto lungo la laguna, sopravvive l’antico muro di cinta, miracolosamente salvato dalla distruzione e giunto ai nostri giorni. |
La facciata Nella prima
metà del Seicento, il procurator de San Marco, nobilomo Marco Soranzo, lasciava in
testamento una cospicua somma di denaro da destinare al rifacimento della
facciata della chiesa, che per suo espresso volere avrebbe dovuto riportare
l’effige, l’urna e l’epigrafe del donatore e dei figli Girolamo e Francesco. L’incarico
della realizzazione venne affidato a Baldassare Longhena, che nel 1640
avviava la costruzione utilizzando la pietra d’Istria. Il celebre architetto aveva
previsto nel progetto un unico ordine con colonne, poggianti su alti
basamenti decorati da motivi geometrici in rilievo, che sostenevano un’alta
trabeazione sopra la quale si impostava l’attico con un coronamento a timpano
circolare. Come era stato
disposto dal donatore, sopra le urne (ancora oggi visibili nella parte
superiore degli intercolumni), vennero posti i tre busti dei Soranzo,
scolpiti da Clemente Moli. Nel 1797
cadeva la Repubblica, e nel 1810 la chiesa venne soppressa e
trasformata in scuola militare. Nel 1844 si ebbe il taglio di tutto
l’attico, così che assieme alle statue di coronamento sparì anche lo stemma
di Ca’ Soranzo; dalla facciata furono in seguito rimossi anche i tre busti
dei componenti della nobile famiglia. |
Santa
Giustina e la battaglia di Lepanto Alla notizia della vittoriosa battaglia
navale di Lepanto, Venezia organizzò immediatamente festeggiamenti degni di
una delle più floride città d’Europa quale essa era. In seguito però, volendo eternare la vittoria,
il Governo fece coniare una nuova moneta in argento, detta “ducatone” ma
chiamata anche “giustina” perché recava impressa l’immagine della Santa ed il
motto “memor ero tui Justina virgo”.
Venne inoltre disposto che il 7 di
ottobre di ogni anno (giorno della vittoria dedicato alla Martire), il Dose si recasse in visita ufficiale
nella chiesa di Santa Giustina dove venivano celebrate solenni funzioni per
ricordare la vittoria navale, combattuta e vinta dalla cristianità nel 1571
anche grazie al sacrificio dei comandanti veneziani Sebastiano Venier e di
Agostino Barbarigo. Il Governo manteneva a spese pubbliche 12
monache di questo Monastero e nel giorno della visita il Dose faceva dono alle monache di 25 “giustine” d’argento. |
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Il campanile Come ben risulta
dalla pianta del de’ Barbari, nel 1500 il campanile ancora non era
stato costruito. E’ possibile che la costruzione sia iniziata entro il primo decennio del secolo successivo, anche se nelle piante prospettiche successive a quella del de’ Barbari esso non compare mai. Caduta la
Repubblica nel 1797, si ha comunque notizia che il campanile venne
completamente demolito nel 1841, reso inutile dal fatto che ormai dal
1810 la chiesa ed il convento erano stati soppressi e trasformati in scuola
militare dagli occupanti Francesi. |
Il
sasso di Santa Giustina Oggi custodito in chiesa di San
Francesco de la Vigna, lato sinistro sesta cappella, cappella Priuli), non si cerchi a terra ma sulla parete di destra a fianco
all’altare, dove si troverà “… un sasso
fitto nel marmo, sul quale Santa Giustina orando lasciò le vestigia delle
ginocchia, quand’era inseguita dagli sgherri di Massenzio.” |