SESTIER DE CASTELO |
ciexa de San Daniél |
CONTRADA S. PIERO DE CASTELO |
monaci cistercensi |
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monache agostiniane |
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canoniche regolari lateranensi |
Cenni storici: La tradizione vuole che, prima ancora che
la sede dogale fosse trasferita da Malamocco a
Rialto, nella porzione di terreno racchiusa fra il rio de le Verzene
a nord, il rio
de San Daniél a est, il rio de San
Gerolamo a ovest, nell'820
la nobile famiglia Bragadin fondasse
qui un oratorio, dedicandolo al Profeta San Daniele. Comunque sia, il primo documento in cui si
cita l'esistenza del luogo di culto risale al 1046 e quindi, assoggettato nel tempo al vescovado di Castello,
nel 1138 l’allora vescovo Giovanni
Polani, la donava a Manfredo abate di San Benigno
di Fruttuaria (Piemonte), dell'Ordine cistercense,
affinché nella parte di terreno verso sud fabbricasse un monastero. Grazie al
sostegno economico di Leone Molin (il cui nome
figura su una delle porte d’argento della chiesa di San Marco) la costruzione
venne presto ultimata. Il complesso fu
reso dipendente dall’Abbazia di Fruttuaria e in
protezione della Sede Apostolica, disposizione che nel 1156 venne confermata da papa Alessandro III. Quest’ultimo anzi, venendo
a Venezia nel 1177, con un diploma
confermò al monastero tutti i privilegi e la proprietà dei beni. Il giorno 7 febbraio 1219 San Danièl la
nuova chiesa venne consacrata alla presenza del legato apostolico Ugolino (poi
papa Gregorio IX), del patriarca di Grado, Angelo Barozzi
e di altri cinque vescovi; ciò fa supporre che l’antico oratorio, sottoposto
tra la fine del XII e l’inizio dell’XIII secolo a interventi
di radicale restauro, fosse ora diventato una chiesa. Nel 1220
il vescovo di castello, Marco Nicola, fa dono al monastero di un ampio
terreno vacuo che si stende verso
ovest, e sul quale i monaci costruiscono alcuni molini a vento. Nel 1325, dopo qualche resistenza ma
alfine contro l’assegnazione di una rendita annua, questo terreno viene
ceduto al Governo che vi realizzerà l’Arzanà novo. In questo periodo inizia una fase di
decadenza materiale ma anche morale del monastero, che culmina nel 1387, quando ad abitarlo vi era
rimasto solo il Prior
Giorgio di San Giorgio di Piemonte, un monaco scismatico che professava
pubblicamente obbedienza all’antipapa Clemente VII. Della questione il Governo interessava papa
Urbano VI, il quale nel 1389 sollecitò l’Abate del convento di San Giorgio Maggiore in isola
ad intervenire insediandovi Antonio Gallina, monaco di quel monastero, e a
operare per allontanarvi nel contempo il Giorgio. Al principiare del XV secolo, l’incuria e lo stesso scorrere del tempo avevano
minato le strutture di chiesa e monastero, che infatti minacciavano rovina.
Dopo alcuni tentativi di provvedervi, incapace il Prior Michele di Sebenico a far fronte alle gravose spese per il restauro,
si volse a cercare chi potesse far rifiorire gli antichi splendori
dell’osservanza religiosa. Venne perciò in contatto con Chiara Ognibene che, con un gruppo di donne devote, svolgeva
vita di ritiro e preghiera. Ad ella il Prior manifestò la
disponibilità a cederle gli edifici, sentiti i superiori, mantenendo per sé
le rendite dei beni di proprietà del monastero. Nel 1437,
avocando la giurisdizione sul monastero a Roma, papa Eugenio IV (al secolo
Gabriele Condulmer, veneziano) prescrive al primo
Patriarca di Venezia, Lorenzo
Giustinian, che previa assenso della nobile
famiglia Bragadin (che sul convento deteneva il juspatronato) fosse
colà istituito un monastero di monache sotto la regola di Sant’Agostino,
vestendo l’abito delle monache di Sant’Andrea de la zirada.
Il Prior
Michele si sarebbe accontentato di ricevere una conveniente pensione tratta
dalle rendite dei beni. Nel dicembre dello stesso anno, presente Andrea Bragadin, il Patriarca, dichiarando estinto l’ordine di
San Benedetto ed istituito l’Ordine di Sant’Agostino, pose in possesso di
Chiara Ognibene la chiesa e il monastero. Ai monaci
cistercensi subentravano dunque le monache agostiniane. La chiesa venne subito sottoposta a
ripetuti restauri, che si tennero nel 1437,
nel 1451 e poi ancora nel 1473. La veduta del de' Barbari del 1500 mostra la fabbrica disposta
sull’asse est/ovest lungo il rio de le Verzene
e da questo separata dalla stretta fondamenta fianco la ciexa
sulla quale prospettava con tutto il fianco sinistro. L’edificio, di impianto
gotico, pare però essere già stato allargato con l’aggiunta di due navate
laterali, di cui quella visibile, sulla destra, è affiancata dal campanile
verso la zona absidale. La semplice facciata della chiesa è preceduta dal
tradizionale portego.
Nel 1504 le monache ottengono da papa Alessandro VI di poter essere aggregate alla Congregazione dei Canonici Lateranensi, successivamente, nel 1604, papa Giulio II concede loro di mutare l’abito grigio delle agostiniane nella veste bianca con il classico “rocchetto” di lino proprio delle canoniche regolari Lateranensi. Ancora nel 1604 papa Clemente VIII consegna il monastero alla direzione del
Patriarca di Venezia e nel 1659
Alessandro VII emette una bolla in cui muta definitivamente l’antico titolo
della superiora da Priora a Abbadessa. Un disegno conservato al Museo Correr ed
eseguito probabilmente alla fine del ‘700,
mostra la pianta della chiesa suddivisa in tre navate separate da due file di
colonne, nonché la zona absidale formata da tre cappelle a pianta quadrata e
fondo piatto. Caduta la Repubblica nel 1797, nel corso della seconda
occupazione francese (1806-1814), dopo la soppressione del convento sancita
con il decreto del 28 luglio del 1806, le canoniche regolari Lateranensi
vengono trasferite nel convento della Celestia. Nel novembre di quello
stesso anno, spogliate di ogni arredo sacro, la chiesa e il monastero vengono
consegnati alle truppe della Marina Militare. Nel corso della seconda occupazione austriaca della città (1814-1848), il complesso ospita dal 1815 le truppe austriache e quindi nel 1839 vengono demoliti chiesa e campanile mentre nell’ex monastero si insedia il Collegio dell’Imperial Regia Marina. Le strutture superstiti son ancora oggi
caserma, rispettando l’impianto conventuale originario, come da rilievo
eseguito da Giovanni Casoni, anteriore al 1839 e
conservato al Museo Correr. Nei chiostri sopravvivono bifore accecate, patere
e vere da pozzo. La bella epigrafe commemorativa della
fondazione, che stava sopra una delle porte d’ingresso laterali, è scolpita
su una lastra di marmo greco. Venne strappata dal muro e rotta in tre punti
durante la demolizione. Fu donata nel 1824 al Seminario Patriarcale, dove si
trova. Oggi l’area è destinata ad alloggi del
personale della Marina Militare Italiana. |
sopra la porta d’ingresso, appoggiato
alla controfacciata stava il barco, ossia il coro pensile, probabilmente a travatura
lignea e con la serie di ampie finestre rettangolari, protette da grate in
ferro battuto, dietro alle quali le monache assistevano alle funzioni
religiose. vicino al barco: due mezzelune di
F. Pittoni. sopra il barco,
alla parete:
quadro lungo, opera di Zanti. sotto il barco: un altarino, sul
quale stavano due tavole di Sante Monache (Santa
Martina e Santa Chiara) di
Alvise Vivarini (oggi alle Gallerie dell’Accademia).
Primo Altare Secondo Altare Terzo Altare
Cappella laterale
destra all’altare: dipinto
Natività di Maria di D. Tintoretto. Presbiterio L’altar maggiore
fu completamente rifatto verso la metà del ‘600, secondo i contemporanei “con buon disegno e finissimi marmi”. all’altare: pala Daniele tra i leoni di P. da Cortona (oggi alle Gallerie
dell’Accademia). Cappella laterale sinistra
Primo Altare sopra la porta
laterale: mezzaluna di F. Pittoni. Secondo Altare ricostruito, il
nuovo altare venne inaugurato il 17 maggio 1637 per accogliere il corpo di
San Giovanni martire, duca d’Alessandria, che secondo la tradizione sarebbe
arrivato a Venezia da Costantinopoli nel 1112, portato dal Prior Rodoaldo, al quale lo aveva donato un nobile della famiglia
Zorzi. (dal 1810 presso la cappella della Croce in
chiesa di San Piero de Castelo) all’altare: pala San Giovanni martire battezzato da Cristo del A.
Varotari detto il Padovanino. sopra la porta
laterale: mezzaluna di F. Pittoni. Terzo Altare
- tela San
Girolamo di M. Basaiti (scomparsa alla meta del ‘600) -
tra gli ornamenti con i quali la nobile famiglia Venier aveva arricchito la
chiesa, la pala Santa Caterina disputa con gli
idolatri di Jacopo
Tintoretto (già piuttosto deteriorata nel 1797, oggi perduta). - due Storie
di Davide di Martino de Vos. - tavola Beata
Vergine e San Giuseppe adorano il bambino Gesù di Ottaviano Angaran,
che sostituì la pala Visita dei Pastori
di D. Tintoretto. - tavola Annunziata
di L. Giordano. - pala San
Girolamo e Sant’Agostino di padre
M. Cappuccino. - mezzaluna Azioni della vita di Cristo di F. Pittoni.
-
sopra la porta della sagrestia: mezzaluna Sacra
famiglia di F. Pittoni. - sopra la porta che dalla chiesa immetteva nel monastero: bassorilievo Daniele fra i leoni, che sarebbe da identificare con quello che attualmente è murato sulla facciata di Ca’ Bragadin, in Barbaria de le Tole (Contrada Santa Giustina).
San Giovanni Grisostomo (dito); San Giovanni
duca d’Alessandria (corpo); San Beda monaco (parte di mascella e dente); San Quirino
Fanciullo e martire (nodo) Santa
Margherita vergine e martire (dito); Santi Apostoli Pietro,
Paolo, Giacomo Minore, Filippo e Mattia(ossa); Santi Giovanni
e Paolo martiri
(ossa) San Daniele
martire (osso) |
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Interno: appoggiato alla controfacciata e sorretto
da alcune colonne, si ha notizia dell’esistenza del barco (coro pensile), usato
dalle monache agostiniane che nel 1437
erano subentrate ai monaci cistercensi. Alla fine del XV secolo le originarie strutture gotiche subiscono una parziale
modifica; all’unica aula vengono aggiunte due navate laterali, più basse
della centrale, che ne sono divise ciascuna da una teoria di tredici colonne
di marmo rosso di Verona. La base delle colonne poggiava sopra un antico
pavimento che fu scoperto all'epoca della demolizione, esso era posto circa
un metro sotto il livello del pavimento più recente e a trenta centimetri
sopra il livello del comune marino. Verso la fine del XVI secolo e durante la prima metà di quello successivo non
furono pochi gli interventi subiti dalla chiesa e che riguardarono non solo
il rinnovo dell’apparato decorativo e degli arredi, ma anche le sue strutture
vennero modificate rispetto a quelle preesistenti di epoca gotica. Dopo la loro ricostruzione in marmo, nel 1637 si consacrano alcuni altari
laterali fra cui quello dedicato a San Giovanni martire, duca di Alessandria e
quindi, nel 1663 venne completato
il nuovo altar maggiore. Nove in tutto erano gli altari, definiti “magnifici”
dai contemporanei, disposti tre lungo ciascuna navata laterale e uno in
ognuna delle tre cappelle absidali, la cui realizzazione si colloca anch’essa
all’incirca in questo periodo. Un disegno conservato al Museo Correr ed
eseguito alla fine del ‘700,
conferma la pianta della chiesa su tre navate suddivise da due teorie di colonne,
e mostra la zona absidale con le tre cappelle a pianta quadrata e fondo
piatto. |
Suor
Maria Arcangela Salvadori
(† 1521) In odore di
santità, la monaca si sarebbe ritirata nel campanile del monastero, in
perpetuo digiuno a pane e acqua. IL corpo era
deposto in una cassa di ebano con tarsie in avorio di squisita fattura. La reliquia venne
posta nel 1667 sull’altare dell’Oratorio interno del convento. |
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Facciata e portale: la facciata visibile nella veduta del de’
Barbari del 1500 è tripartita a
seguire le diverse altezze del tetto retrostante; davanti al portale
d’entrata si stende il tradizionale portego. |
Andata del Dose al monastero de le Verzene. Ogni anno, il 1° di maggio, dopo essersi recato a far visita alle
monache di clausura del vicino monastero delle Vergini, il Dose si fermava poi
a visitare anche quello di San Daniele, che, divenuto anch’esso di clausura,
ospitava le figlie delle nobili famiglie veneziane. |
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Monastero: alcune delle piccole case che componevano
il monastero erano raccolte su tre lati intorno ad un cortile posto a
sinistra della chiesa, altre invece stavano appoggiate al muro di cinta che,
delimitando la proprietà del convento, si innalza a filo del rio
per innestarsi contro l'abside della chiesa in corrispondenza del ponte che
metteva in comunicazione il convento con la sponda dell'isola opposta. Nel 1637
dalla chiesa i lavori si estesero anche al convento che fu ampliato e
ristrutturato. Un disegno conservato al Museo Correr ed eseguito alla fine del ‘700, mostra la pianta del monastero sviluppatosi attorno al chiostro e, più in là, l’orto. Nel corso della seconda occupazione francese (1806 - 1814), dopo la soppressione avvenuta in conseguenza del decreto del 28 luglio del 1806, la chiesa e il monastero di San Daniél vennero consegnati alle truppe di Marina nel novembre di quello stesso anno. Il convento fu adibito dapprima a
caserma, divenne poi collegio militare ed in parte trasformato in abitazione
privata, per ritornare infine nuovamente caserma della Marina Militare
Italiana ed essere oggi adibito ad alloggi per il personale militare di
stanza a Venezia. Nei vari passaggi di destinazione d'uso,
esso fu sottoposto a gravi manomissioni ed oggi si presenta irriconoscibile
dal punto di vista architettonico poiché tutte le fabbriche esistenti al
momento della soppressione furono completamente ricostruite. L'unico elemento che riconduce all'antico
impianto è costituito dalla disposizione planimetrica degli edifici intorno
agli spazi, che con la vera da pozzo posta al centro, suggeriscono
l'originaria disposizione dei chiostri. |
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Campanile: (campaniel) nella veduta del 1500 di de’ Barbari, si eleva sul lato destro della chiesa,
addossato alla navata. La canna è in mattoni a lesene con cella
a bifore e cuspide a pan di zucchero. Viene demolito con la chiesa nel 1839. |
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Bibliografia: Flaminio Corner “Venetia città nobilissima et singolare”. Stefano Curti, Venezia 1663 Flaminio Corner “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane e torcellane” Stamperia del Seminario,
Padova 1758 Giambattista Albrizzi “Forestier illuminato. Intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne,
della città di Venezia e dell’isole circonvicine.” Giambattista Albrizzi, Venezia 1765 Andrea Da Mosto “I Dogi di Venezia. con particolare riguardo alle loro tombe.” Editore Ferd. Ongania, Venezia 1939 Cesare Zangirolami Giulio Lorenzetti “Venezia e il suo estuario” Edizioni Lint, Trieste 1956 “Storia delle chiese dei monasteri delle scuole di Venezia rapinate e
distrutte da Napoleone Bonaparte.” Arti Grafiche E. Vianelli, Mestre, 1962 Umberto Franzoi / Dina Di Stefano “Le chiese di Venezia” Azienda Autonoma
Soggiorno e Turismo, Venezia 1975 Alvise Zorzi “Venezia scomparsa” Electa Editrice, Venezia 1977 |