SESTIER DE CASTELO |
San Daniele, profeta |
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CONTRADA S. PIERO DE CASTELO |
ricorrenza il giorno 21 luglio del calendario liturgico veneziano |
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Santo titolare della chiesa di: SAN DANIEL |
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Daniele, l'ultimo dei quattro profeti detti maggiori, era giudeo e nacque probabilmente a Gerusalemme da una famiglia nobile, forse imparentata coi re di Giuda. Nell'anno terzo o quarto di Ioakin, re di Giuda, cioè il 606-605, egli fu deportato a Babilonia per ordine di Nabucodonosor, assieme ad altri giovani dello stesso rango sociale; giunto a destinazione, secondo l'uso, gli venne cambiato il nome: Daniele divenne Baltassar. Ammesso alla corte, dopo che ebbe dato saggi sbalorditivi della sua rettitudine, venne nominato principe di Babilonia e in breve fu preferito su tutti i sapienti del regno. La prima prova della sua saggezza la dimostrò intervenendo nella causa inscenata contro Susanna: non solo ella fu sottratta alla morte a cui era stata ingiustamente condannata, ma la sentenza si ritorse contro i due giudici disonesti, dopo che essi erano stati convinti pubblicamente da Daniele a dichiarare la propria falsa testimonianza contro l'innocente. Con questo intervento egli acquistò immediatamente grande fama presso il suo popolo, gli esuli giudei, il cui numero era ulteriormente aumentato con la seconda deportazione del 598. La notorietà tra i babilonesi, e l'onore della fiducia del re e dei principi della corte, arrivò con la celebre interpretazione del sogno di Nabucodonosor sulla grande statua plurimetallica, abbattuta dalla piccola pietra staccatasi dal monte. Nel 593, anno dodicesimo di Nabucodonosor, Daniele, allora trentenne, si affermò quale oracolo di Dio, favorito dalla scienza dei segreti, superiore di gran lunga a quella di tutti i magi, indovini, saggi e caldei di Babilonia. Poco tempo dopo egli interpretò un altro sogno di Nabucodonosor, quello del grande albero rigoglioso, abbattuto e reciso, che risorse dalle radici con la magnificenza di prima. Chiamato dal re, Daniele spiegò il senso di quel sogno, invano cercato dai sapienti: l'albero era il simbolo stesso del re, che per la sua superbia sarebbe privato della gloria regia e ridotto allo stato umiliante di una bestia fino a che non riconoscesse che l'Altissimo detiene il dominio sul regno degli uomini (Dan. 4, 21 sg.). Nuova prova dello spirito di sapienza che Dio gli aveva donato, Daniele la diede nello svelare il senso delle enigmatiche parole Manè, Thecel, Phares nella cena di Baltassar, il quale nella lunga assenza di suo padre Nabonide, ne teneva le veci a Babilonia: questa cena di gala con tutti i principi e dignitari di corte, con le mogli e concubine, costituiva un affronto alla religione dei giudei, in quanto in essa si faceva uso dei vasi sacri del Tempio di Gerusalemme. L'orgia si arrestò, però, alla vista della mano misteriosa che scriveva sul muro segni ignoti. I sapienti, maghi e indovini, chiamati dal re, non furono capaci di decifrare la scrittura. Allora, su consiglio della regina, fu introdotto Daniele, che dopo aver rifiutato i doni che il re gli prometteva, lesse e interpretò le fatidiche parole, che contenevano la sentenza di Dio sulla fine di Baltassar e del suo impero, sentenza che si compì quella stessa notte, subentrando l'impero persiano a quello babilonese (538). Sopravvissuto al crollo dell'impero babilonese, Daniele vide i primi anni del nuovo impero persiano: la sua ultima visione è datata dall'anno terzo di Cliro (536), quando egli, nato verso il 620, era già più che ottantenne. |
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