Ospeai & Ospissi |
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Nel corso del nel 1357, tale Bortolomio Verde ottenne dal Mazor Consejo l'autorizzazione ad istituire un ricovero per accogliere le "peccatrici penitenti" nell'isola dei Santi Cristoforo e Onorio; tuttavia, nonostante le nobili intenzioni, questo l'ospissio ebbe vita breve e venne chiuso pochi anni dopo la sua fondazione. Dopo questo primo e remoto tentativo, l'iniziativa venne nuovamente intrapresa solo nel corso del 1703 quando, dietro autorizzazione del Consejo dei Diese, il patriarca Giovanni Badoer con la cooperazione di tale Elisabetta Rossi e Rinaldo Bellini, diede vita ad una Congregazione che in breve tempo attirò intorno a sè l'interesse caritatevole di molti nobilomeni veneziani, di mercanti e di sacerdoti. Con la comune benevolenza arrivò anche la prima sede, in corte Borella (Contrada Santa Maria Formosa, Sestier de Castelo) dove rimase fino al 1705 quando il pio loco si trasferì alla fine della lunga fondamenta de Canaregio, dalla parte opposta della chiesa di Sant'Agiopo (Contrada San Geremia). Qui, lasciti testamentari iniziarono ad alimentare le rendite, ma fu nel 1725 che affluì il legato più cospicuo, quello dalla nobildonna Marina Priuli da Lezze, che permise l'avvio e la realizzare l'attuale costruzione. Successivi contributi da parte del Patriarca Piero Barbarigo, di Marina Nani Donà e di altri patrizi e cittadini veneziani, resero rapidamente florida l'Istituzione, che in questo periodo passò ad essere amministrato da un Sovegno che si diede i propri Capitoli del 1731. Non mutò mai il fine istituzionale del pio loco, cioè quello di ricoverare le prostitute che si fossero ravvedute e altre donne che avessero dato pubblico scandalo e avessero ora bisogno di essere aiutate; impiegandole in un lavoro onesto. Di norma le Penitenti dovevano avere non meno di 12 anni e non più di 30; essere veneziane o dimorare a Venezia da almeno 1 anno; essere sane di mente e di corpo, non gestanti, ritiratesi da almeno 3 mesi dalla vita peccaminosa. Alla caduta della Repubblica, in conseguenza agli editti napoleonici del 1807, presso il pio loco de le Penitenti vennero concentrate anche le ospiti dell' Ospissio del Socorso (Contrada Anzolo Rafael, Sestier de Dorsoduro) dopo che questa, a causa degli stessi editti, era stata soppressa e chiusa. L'antica missione del pio loco venne lentamente meno col venir meno delle sue ospiti, così che a conclusione dell'ultima guerra mondiale, dopo il 1945 iniziarono ad essere accolte donne profughe provenienti soprattutto dall'Istria e dalle ex colonie in Africa. Da questa realtà sorsero successivamente due Istituzioni: gli Ospizi Riuniti di San Giobbe e il Pensionato San Giobbe, composti rispettivamente di 43 e 64 stanze. Nel 1956 l'Ospissio de San Boldo, (Contrada San Boldo, Sestier de San Polo), l'Ospissio Aletti (Contrada San Moisé, Sestier de San Marco) e l'Ospissio Bandi (Contrada San Canzian) vennero chiusi e qui concentrate le ricoverate. Attualmente tutto il grande complesso versa in stato di deplorevole abbandono.
L'edificio. Il primo tentativo di dare ospitalità ad ex prostitute sarebbe stato intrapreso nel 1357, quando pare che un ospizio venisse costruito nell'isola dei Santi Cristoforo e Onorio. Tuttavia, nonostante il nobile fine, l'iniziativa non ebbe grande fortuna, forse proprio a causa dell'insularità, concludendosi poco tempo dopo. L'iniziativa venne ripresa solo nel 1703, quando in corte Borella venne ospitata la prima sede del pio loco de le penitenti, che qui rimase fin verso la fine del 1705, quando da qui si spostò in una casa posta quasi alla fine della lunga fondamenta de Canaregio, dalla parte opposta della chiesa di Sant'Agiopo. Nel 1725 circa, iniziò la costruzione del pio loco nelle forme attuali, sulla base del progetto che venne predisposto da Giorgio Massari, che ne diresse anche la realizzazione. Il modello di riferimento, come spesso è accaduto a Venezia, fu quello delle Zitelle (attribuito al Palladio, ancora oggi visibile nell'isola della Zueca): la chiesa al centro fra le due ali dell'ospissio, i corpi di fabbrica si estendono in una linea continua lungo il tratto della fondamenta e all'interno intorno ai chiostri (di cui uno soltanto è stato però portato a compimento). Dal 1730 al 1738, si lavorò alla realizzazione delle due ali del pio loco, che risultano architettonicamente definite da finestre su tre piani, collegate da fasce ornamentali in pietra d'Istria e dalle due porte d'ingresso ornate da altrettante sovrapporte. Completata la costruzione del pio loco, si iniziarono i lavori della chiesa, la cui facciata è rimasta incompiuta. La grande casa era divisa al suo interno in tre reparti e ogni reparto a sua volta era organizzato in quattro zone ben distinte: refettorio, dormitorio, laboratorio, coro. L'edificio, posto all'estremo margine nord della città, il suo convergere all'interno ed un tempo terminante con l'affaccio direttamente sulla vastità della laguna, il disporre di più corti e di un chiostro, la similitudine rilevabile con il modello adottato dai monasteri che consente unicamente una vita di comunità, fanno del pio loco un luogo pensato per una comunità chiusa, che quasi desiderasse restare emarginata, vagheggiando forse l'insularità delle origini nell'isola dei Santi Cristoforo e Onorio.
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