SESTIER DE CASTELO |
ciexa de San Isepo de Castelo |
CONTRADA S. PIERO DE CASTELO |
Cenni storici: la Repubblica era appena uscita
vittoriosa dalla terribile guerra che l’aveva vista contrapposta ai Legati di
Cambrai (1508-1510), quando il popolo espresse il
desiderio di avere anche a Venezia una chiesa dedicata allo Sposo di Maria.
Il 25 giugno 1512 il Senato autorizzava con
propria Parte l’inizio la
costruzione della chiesa di San Isepo de Castelo assieme a un Monastero di monache,
concedendo al mantenimento una rendita annua di 400 ducati. La fabbrica, di cui non è noto il nome
del progettista, sorse lungo il rio
omonimo, da questo separata dalla fondamenta fianco la ciexa
sulla quale prospettava il fianco sinistro, scandito da doppie lesene che
però l’apertura in epoca successiva di finestroni semicircolari, ha in parte
interrotto. Sempre sul lato sinistro, sporgendo dal muro perimetrale, si nota
facilmente la scala a chiocciola, rara nel suo genere, che permette il
passaggio fra la chiesa e la casa canonica. Il 21 marzo 1513, il Patriarca Contarini concede la
facoltà di fondare il Monastero e poi anche 40 giorni di indulgenza a chi
avesse contribuito con denaro ai lavori in corso. Nel 1516 papa Leone X, ratificando il permesso di costruzione, faceva
partecipe il Monastero di tutte le indulgenze e le grazie che nel tempo erano
state concesse dai papi all’Ordine di Sant’Agostino. Nel 1519 lo stesso concesse indulgenze spirituali a coloro che, nel
giorno di San Giuseppe, avessero visitato la nuova chiesa e contribuito con
denaro al suo completamento. Nel 1525
le strutture murarie della chiesa erano poco più che principiate, mentre
invece l’annesso Monastero progrediva più velocemente e veniva a costituire
il nuovo margine lagunare della città. Per aiutare le monache che vivevano di
sola carità, il 24 febbraio 1530
un gruppo di cittadini e mercanti ottenne dal Consejo di Diese il permesso
di erigere una pia Confraternita, con lo scopo di procurare i fondi
necessari ad accelerare il compimento degli edifici. Insufficienti le rendite a mantenere le
numerose monache, il 30 aprile 1534
papa Clemente VII disponeva che il beneficio della chiesa parrocchiale di
Santa Giuliana (cui da allora fu aggiunto nell’intitolazione anche San
Giuseppe) di Villa del Conte (PD), allora però diocesi Vicentina, fosse unito
al Monastero, stabilendo che le monache avessero da eleggere un Vicario per
la cura delle anime di quella parrocchia. A causa dell’intervenuta morte del
papa, la Bolla fu confermata dal successore Paolo III, il 3 novembre dello
stesso anno; questo importante beneficio sarà
riconfermato nel 1540 anche da papa Paolo III e solo nel 1818, con Bolla di Pio VII, la
parrocchia pervenne alla Diocesi padovana, a cui appartiene ancora oggi. Mentre un’ulteriore indulgenza fu
concessa nel 1562 da papa Pio IV, il consistente afflusso di risorse consentì
di riprendere speditamente i lavori, specialmente quelli all’interno della
chiesa e finalmente la dedicazione della chiesa a San Isepo
avvenne il 24 giugno 1543, come
ben si può leggere inciso sullo stipite destro del portale d’ingresso: “A Dio alla Vergine Maria alla Patria
nell’anno 1543 consacrato”. Il 24 giugno 1563 il vescovo di Veglia, Costantino de’ Rossi, consacrava
l’altar maggiore, la cui cappella si era realizzata a spese della nobile
famiglia Grimani.
Con ciò la chiesa poteva dirsi ultimata.
Nel 1595
si attua la realizzazione del controsoffitto, che nascose le capriate
precedentemente a vista e infine con l’inizio dei lavori del mausoleo del Dose Marino Grimani,
cui di fronte venne fatto corrispondere l’altare dedicato a Sant’Agostino, la
chiesa assumeva il suo aspetto attuale. Caduta la Repubblica, mentre già sotto la
prima occupazione austriaca (1798-1806) si iniziava a discutere in merito ad
una razionalizzazione delle numerose comunità ecclesiastiche esistenti in
città, nel 1801 le Agostiniane
venivano invitate a sgombrare la chiesa e il monastero per andare ad unirsi
con le loro consorelle di Sant’Alvise (Contrada de San Marcuola). Alle Agostiniane succedettero le Visitandine di
San Francesco di Sales (obbedienti alla Regola di
Sant’Agostino e suore di clausura), le quali fuggendo dalla Rivoluzione
Francese, erano arrivate a Vienna e da qui inviate dall’Imperatore austriaco
a Venezia. Esse recavano con sé la preziosa reliquia del cuore di San
Francesco di Sales e, giunte a San Isepo,
assunsero anche la custodia dell’antica icona bizantina della “Beata Vergine della cintura”, che in
questa chiesa si onorava a cura dell’omonima Scola de Devozion. E’ noto che la loro origine francese si
prestò in seguito a salvare la chiesa e il convento dal furore distruttivo
dei successivi editti Napoleonici, così le Visitandine,
dedite all’istruzione delle ragazze nobili e che grazie a questa attività
potevano mantenersi senza sussidi pubblici, rimasero a San Isepo de Castelo ininterrottamente fino al 1912. Nel 1913
le Visitandine, sospinte dall’autorità pubblica a lasciare
gli edifici, lasciano definitivamente la città per raggiungere Treviso dove
le attende un nuovo convento, appena ultimato per espressa volontà di papa
Giuseppe Sarto, ex patriarca di Venezia. Mentre il Monastero viene adattato a
scuola pubblica, lo stesso anno il rettore delle monache diviene il
cappellano della chiesa, che fu consegnata alla basilica di San Piero de Castelo (un tempo chiesa parrocchiale titolare
della vasta, omonima, Contrada). Infine, nel 1923 il cardinale Pietro La Fontaine
staccava San
Isepo de Castelo
da San
Piero de Castelo e la elevava a Chiesa
Parrocchiale, quale è tuttora, assegnata ai Padri Salesiani. |
sopra la porta d’ingresso, appoggiato
alla controfacciata il barco, ossia il coro pensile, a travatura lignea e
decorazioni a tempera. Caratteristica la serie di ampie finestre
rettangolari, protette da grate in ferro battuto, dietro alle quali le
monache assistevano alle funzioni religiose. sotto il barco,
ai lati:
dossali lignei; segue: gruppo di sculture lignee (secolo XVII –
XVIII); segue: tele (secolo XVII) raffiguranti Santi, che un tempo forse decoravano il
soffitto. sotto il barco,
sulla parete a destra: legno policromo Cristo
(secolo XVIII).
Le illusioni
prospettiche barocche e le prospettive architettoniche (secolo XVII) sono
pera di A. Torri. I tondi sono
opera coeva di P. Ricchi.: tondo centrale: affresco San Giuseppe in gloria, tondo laterale, verso l’entrata: affresco La gloria di Santa Monica, tondo laterale, verso il presbiterio: affresco La gloria di Sant’Agostino.
Secondo Altare dedicato a Sant’Agostino fu
poi detto anche della Sacra Famiglia o di San Giuseppe, perché le suore Visitandine, subentrate alle Agostiniane, nel 1801 vi
posero un gruppo, senza valore, rappresentante appunto la Sacra Famiglia. altare: ricco di colonne e di decorazioni
è lavoro di tardo cinquecentista. ordine
inferiore, a sinistra: statua San
Giovanni; a destra: statua San
Pietro. ordine
superiore, a sinistra: statue Ezechiele
e Daniele; al centro: bassorilievo; a sinistra: statue Isaia e Geremia; ordine superiore, a sinistra: Baruc; a destra: Osea. all'altare: pala Padre
Eterno e Sant’Agostino, Santa Maria Maddalena, Santa Caterina, Santo Stefano,
Re David (fine secolo XVI) della scuola del Tintoretto, attribuito
a G. Gambarato
da altri a S. Peranda. Alla parete:
tela ovale San Bartolomeo (secolo
XVI-XVII) di Autore ignoto. Terzo Altare realizzato in
legno, è dedicato al Sacro Cuore. all'altare: pala Il
Sacro Cuore appare a San Francesco di Sales, Santa
Giovanna de Chantal e Santa Margherita Alacoque (fine XVIII secolo) di F. Boscarato.
Sostituì la tela Trasfigurazione del Cristo
di P. Veronese, oggi alle Gallerie
dell’Accademia. Lungo la parete:
grande grata in ferro che divide la chiesa dal locale da dove le Monache
assistevano alla Messa.
Cappella laterale
destra Non è certo se ciò
fosse stato progettato sin dalla fondazione, ma solo nel 1929 in questa
cappella, fino ad allora priva di altare e di ogni ornamento in quanto
fungeva da passaggio interno fra la chiesa e il locale attiguo, venne
installato un capitélo
precedentemente situato in Paluo, e fu
ricavato l’altarolo e la piccola grotta ove fu
collocata l’immagine della Vergine Immacolata di Lourdes. sopra l’arco d’entrata: organo pensile
cinquecentesco ligneo, con intagli e dorature; in luogo
delle portelle:
tela Madonna col Putto e San Gaetano da Thiene
(secolo XVI) Autore ignoto; al di sopra, tondo: affresco Annunciazione (Maria). sulla parete destra: tela San Giuseppe (secolo XVI) di Autore ignoto. all’altare: statua
in gesso policromo della Vergine Immacolata di
Lourdes (secolo XX). Presbiterio La cappella
maggiore fu realizzata a spese del Procurator de San Marco Gerolamo Grimani,
che la fece adornare di fini marmi, di importanti affreschi alla parete
absidale e della pala all’altare. alla parete destra, sotto: dossali lignei
(secolo XVII – XVIII); sopra: entro ricche cornici intagliate (secolo
XVI): tela Adorazione dei Pastori
(secolo XVI) di Autore ignoto; segue: Ultima Cena (secolo XVI) di Autore ignoto; segue: Annunciazione (secolo XVI) di Autore ignoto; all’altare: pala
Adorazione dei Pastori e San Girolamo
(secolo XVI) attribuita a P. Veronese. parete absidale: strettamente
connessi con il tema della pala, si notano gli affreschi di Palma il
Giovane. a sinistra: Melchisedec; a destra:
Aronne; sopra a sinistra: il
Sogno di San Giuseppe; sopra a destra: La fuga in Egitto. sopra le
finestre, alle estremità dell’abside: figura femminile con
il calice (Vecchio
testamento) e
Figura femminile con gli occhi rivolti al raggio di luce (Nuovo testamento). Il
tutto, riquadrato da architetture illusionistiche, qualifica spazialmente il
semicilindro dell’abside. sulla parete sinistra: sotto: dossali lignei
(secolo XVII – XVIII); sopra: entro ricche cornici intagliate (secolo
XVI): tela Presentazione al tempio
(secolo XVI) di Autore ignoto; segue: monumento a Gerolamo Grimani,
padre del Dose
Marino Grimani, con lapide e busto (secolo XVI) di A. Vittoria; segue: tela Adorazione dei Magi di Autore ignoto (secolo
XVI); Cappella laterale sinistra Oggi dedicata al Santissimo. sopra l’arco d’entrata: organo pensile
cinquecentesco ligneo, con intagli e dorature; portelle
originali:
Madonna col Putto e Santa con vessillo
(secolo XVI) Autore ignoto; al di sopra, tondo: affresco Annunciazione (Angelo Gabriele). all’altare: tela San Carlo (secolo XVI) di Autore ignoto.
Ambone sovrastato dal baldacchino ornato da
doppia fila di fiocchi, è collocato fra la cappella laterale e il secondo
altare, la balaustra: tre riquadri con
intagli e dorature; La Fede, Sant’Agostino,
San Giuseppe (1777) firmato G. B. Secondo Altare Dedicato alla Natività
è pure detto di Giovanni Vrana (ammiraglio
dell’Arsenale, sepolto davanti all’altare assieme alla figlia e al genero) o
anche di Lepanto. altare: sul paliotto è espresso a rilievo
lo schieramento delle flotte avversarie in occasione della battaglia navale
di Lepanto, con scritta dedicatoria e data della vittoria: 7 ottobre 1571
(giorno di Santa Giustina). all'altare: pala a bassorilievo in pietra Presepio e San Giovanni Battista (1571) firmata
da D. Grazioli. Mausoleo Grimani Attorno e sopra
la porta laterale si sviluppa il sontuoso monumento funebre al Dose Marino Grimani
(† 1605) e alla moglie Dogaressa Morosina Morosini
(† 1613) costruito fra il 1595 e il 1605, dunque ancora vivente il Dose, da G. Campagna e F. Smeraldi detto Fracà, proto di San
Marco,
su progetto di V. Scamozzi. Per
dare luogo alla “macchina” fu necessario spostare il primo altare verso l’entrata,
mentre in contemporanea fu realizzato anche il sottostante pavimento di marmo
bianco, rosso e nero. Il monumento, in
marmo di Carrara, è suddiviso orizzontalmente in tre parti dalle quattro
colonne e dai quattro pilastri interni e verticalmente nello spazio da terra
fino alla trabeazione, nell’attico e nel frontespizio triangolare. Le quattro
colonne che sostengono la trabeazione poggiano su alti piedistalli e si
concludono con capitelli di ordine composito. piedistalli centrali: leoni rampanti in rilievo, reggenti una
croce con una delle zampe anteriori, attorniati da un nastro svolazzante con
la scritta “Sidera cordis”
(allude alla croce dello stemma assunta dai Grimani
a ricordo della Crociata). piedistallo
laterale sinistro: donna seduta che
tiene nella mano destra un libro segnato da una croce e nella sinistra una
sfera armillare; piedistallo
laterale destro: donna seduta sopra un trofeo d’armi che imbraccia
uno scudo con leone rampante. fra le due
colonne a sinistra tra le due cariatidi bassorilievo in bronzo Incoronazione del Dose Marino Grimani,
gettato da C. Groppo; al di sopra: sotto mascherone
da cui si dipartono festoni e palme, con manto e corno ducale giace la statua
di marmo del Dose disteso sull’urna; sul retro: Angelo a mosaico su campo d’oro, di A. Gaetano; al centro: la porta laterale che reca in
chiave di volta un mascherone; al di sopra: iscrizione entro
elegante cornice in marmo, cimata da una testa d’angelo alata e sostenuta da
due cariatidi sorgenti dalla porta; fra le due colonne a destra: tra le due cariatidi bassorilievo in
bronzo il Patriarca presenta alla Dogaressa la
rosa d’oro donatale da papa Clemente VIII gettato da C. Groppo; al di sopra: sotto mascherone
da cui si dipartono festoni e palme, giace la statua di marmo della Dogaressa distesa
sull’urna nella medesima posizione del marito; sul retro: Angelo a mosaico su campo d’oro, di A. Gaetano. attico: ha origine al di sopra della
trabeazione, anch’esso diviso in tre parti da quattro piccoli pilastri e
coronato da un cornicione. da sinistra: statua virtù cardinale della Temperanza (vaso) segue: stemma Grimani sormontato da testa
d’angelo e corno ducale; segue: statua virtù
cardinale della Giustizia (bilancia
e spada); al centro: bassorilievo marmoreo incorniciato Il Doge e la Dogaressa inginocchiati adorano la Vergine
col Putto; segue: statua virtù cardinale della Fortezza (tronco di colonna); segue: stemma Grimani e Morosini dalla banda sormontato da testa d’angelo e corno ducale; segue: statua virtù
cardinale della Prudenza (specchio). frontespizio triangolare: questi posa sul
cornicione in corrispondenza delle colonne e dei pilastri interni e porta,
fissate su altrettanti acroteri, le tre virtù teologali. al centro: sporge zampa di
leone in bronzo reggente il pomolo
dello stendardo ducale di rame; da sinistra: in
corrispondenza del pilastro esterno sinistro dell’attico candelabro con fiamme; segue: statua virtù
teologale della Carità (bambini) segue: statua virtù
teologale della Speranza; segue: statua virtù teologale
della Fede (calice e croce); segue: in corrispondenza del
pilastro esterno destro dell’attico candelabro con fiamme. Primo Altare all'altare: pala Cristo
morto, un Angelo e il committente inginocchiato (1573) di M. Parrasio.
E’ tratta da un disegno di P. Veronese.
In questa chiesa si veneravano: ·
San Pietro
martire (corpo) ·
San Claudio
martire
(corpo) ·
San Policarpo Vescovo di Smirne (costa e piede) ·
Santa Anastasia
martire
(gamba) ·
San Marcellino
papa e martire
(osso) ·
San Sergio martire (osso) ·
San Menna
martire
(parte del cranio) ·
Veste di San
Giuseppe (frammento) ·
Beata Vergine
della Cintura (icona
bizantina) ·
Cuore di San
Francesco di Sales (reliquia) |
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L'interno: ad una sola navata, con il profondo
presbiterio absidale introdotto da un alto arcone e
affiancato da due cappelle, conserva la mistica semplicità delle chiese
conventuali. Lungo il lato destro si trovano tre
altari, tre sono gli altari nelle rispettive cappelle absidali, mentre lungo
il lato sinistro se ne contano due. E’ interessante notare che anche verso la
fine del XVIII secolo viene segnalata la presenza di otto altari, ma va
tenuto presente che la cappella absidale destra fino al 1929 è stata usata
quale via di collegamento interno fra la chiesa e il locale adiacente.
Probabilmente alla partenza delle Visitandine,
questa servitù di passaggio fu imposta dalla necessità per i Padri Salesiani
di poter raggiungere la stanza attigua che fu mantenuta di pertinenza della
chiesa ad uso di sagrestia. Un tempo a vista, le capriate del tetto
vennero successivamente occultate alla vista con la realizzazione del
soffitto piano interamente affrescato, al cui superficie complessiva è di ben
540 mq. La composizione, che allusivamente raddoppia verso l’alto il volume
della chiesa e ne sfonda gli spazi, costituì nella seconda metà del secolo
XVII il più significativo esempio del genere in città, quando ormai gli
artisti locali diffidavano di una tecnica che male si prestava alle
caratteristiche ambientali, climatiche e costruttive. In Venezia l’unico raffronto
è possibile solo col deperito e poco documentato soffitto della ciexa de
Sant’Alvise (Contrada de
San Marcuola), peraltro eseguito dagli stessi
autori. Originale del primo cinquecento (e tipica
presenza nelle chiese conventuali) sopra la porta d’ingresso, a travatura
lignea e sostenuto da due colonne, si appoggia alla controfacciata il barco, ovvero
il coro pensile, ad uso delle monache del convento e collegato con le
fabbriche dell’annesso Monastero. Realizzata la Cappella maggiore e il
bassorilievo esterno del portale nel 1563
a spese del Procurator de San Marco Gerolamo Grimani,
il padre del Dose
Marino Grimani, per il quale venne in seguito qui
costruito il mausoleo in sua memoria e della moglie, la Dogaressa Morosina Morosini, la chiesa è stata
definita anche il Pantheon della
famiglia Grimani. In particolare, il grandioso
monumento, che occupa la gran parte della parete sinistra dell’edificio,
venne eretto tra il 1595 e il 1605, su progetto di Vincenzo
Scamozzi. Per la varietà del marmo impiegato, per le sculture spesso
impreziosite da dorature, per i pannelli in bronzo, per la tecnica del
mosaico dietro le arche marmoree dei due coniugi e persino per l’affresco che
riquadra, all’intorno, lo spazio del monumento sul muro della chiesa, è considerato
un eloquente esempio del passaggio fra il gusto pomposo del tardo Cinquecento
l’architettura spettacolare e fastosa del barocco del Seicento veneziano. Ai lati dell’altar maggiore, di recente
scoperti, si notano gli affreschi di Palma il Giovane; essi vengono ricordati
nei testi, praticamente senza interruzione dal 1648 al 1796. Poco tempo dopo
però, forse all’avvento delle suore Visitandine che
sostituirono le Agostiniane, essi furono ricoperti e in seguito non più
ricordati. Riportati alla luce, essi rappresentano oggi a Venezia, l’unico
documento esistente delle attività di frescante di
questo pittore. |
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Facciata e portale: la fronte si propone sul campo San Isepo, il cui spazio è definito
lateralmente dal corpo del Monastero e dal rio
de San Isepo, mentre il lato opposto
alla chiesa è occupato da un fabbricato relativamente recente. La facciata dell’edificio è del semplice
tipo a capanna, definita agli angoli da una coppia di lesene appena rilevate,
così come appena sporgente è la cornice del frontone triangolare. Un alto
zoccolo in pietra d’Istria giustifica la scalinata di accesso. Inserito al centro di un partito
architettonico concettualmente modesto, il portale è rimasto sospeso fra il
rappresentare un elaborato ingresso, oppure assolvere all’arduo compito di
essere considerato “la” facciata. Nello spazio agibile a partire dalle due
lesene interne, l’ordine inferiore è ritmato dall’intersezione dei pilastri
fra le finestre rettangolari esterne e le nicchie interne, e quindi fra queste
e gli stipiti del portone d’ingresso. L’elemento di spicco della composizione è
costituito dall’elaborato timpano che orna la parte centrale dell’ordine
superiore del portale e che fu realizzato a spese del Procurator de San Marco Gerolamo Grimani. Oltre il portale, nella parte superiore
della facciata, qui semplicemente intonacata, si aprono lateralmente all’oculo centrale
due grandi finestre allungate. Nel mezzo del frontone triangolare si
apre una piccola croce. |
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Monastero: Dal Monastero di San Giuseppe di Verona
furono condotte a Venezia due monache, Monaca e Antonia, che presentandosi al
Patriarca ottennero la facoltà di fondare il nuovo Monastero. Attorno alla
prima Priora, Monaca, ben presto si raccolsero cinquanta monache, devote
all’esatta osservanza della Regola Agostiniana. Con l’aiuto della pia Confraternita
all’uopo costituita, con le numerose indulgenze, grazie e rendite, esse
portarono a compimento la costruzione del Monastero contemporaneamente alla
chiesa. Gli edifici conventuali vennero
sviluppandosi intorno a tre chiostri in successione, che costituiscono ancora
oggi un complesso di notevole bellezza e vastità che, nonostante le
alterazioni subite dai posteriori interventi di ristrutturazione e l’uso
improprio cui gli spazi conventuali furono destinati nell’Ottocento, permette
ancora oggi di leggere il primitivo impianto cinquecentesco, specie nel terzo
chiostro (il più lontano dalla chiesa), dove le arcate dei porticati e le
logge si sono conservate praticamente intatte. Il grande Monastero ospita oggi
l’Istituto Nautico, intitolato a Sebastiano Venier e l’Istituto professionale
attività marinare, intitolato a Giorgio Cini. |
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Il campanile: (campaniel) emergendo dalla falda di un tetto, fu
costruito nel XVII secolo. Ha la canna realizzata in mattoni e la
cella si apre in otto fornici suddivisi in bifore a tutto sesto per ciascun
lato, incorniciate in pietra d’Istria. La cella è sormontata da un tiburio ottagonale con quattro finestrelle quadrate. La cuspide, in piombo, è costituita da spicchi inflessi. |
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Bibliografia: Flaminio Corner “Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, tratte dalle chiese veneziane e torcellane” Stamperia del
Seminario, Padova 1758 Giambattista Albrizzi “Forestier illuminato. Intorno le cose più rare e curiose, antiche e moderne,
della città di Venezia e dell’isole circonvicine.” Giambattista Albrizzi, Venezia 1765 Andrea Da Mosto “I Dogi di Venezia. con particolare riguardo alle loro tombe.” Editore Ferd. Ongania, Venezia 1939 Giulio Lorenzetti “Venezia e il suo estuario” Edizioni Lint, Trieste 1956 Umberto Franzoi / Dina Di Stefano “Le chiese di Venezia” Azienda Autonoma
Soggiorno e Turismo, Venezia 1975 Paolo Rizzo “San Giuseppe di Castello” Arti Grafiche Carrer, Favaro Veneto (VE) 1993 Tudy Sammartini / Daniele
Resini “Campanili di Venezia” Edizioni Grafiche
Vianello, Treviso 2002 |